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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000 |
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Secondo me sono due i poli grossi sul discorso della violenza. Uno è che Lotta Continua e Potere Operaio avevano un quadro militante che si era formato sul discorso degli scontri di piazza, sia a Roma sia a Milano, dove ci furono gli scontri del 12 dicembre e poi soprattutto quelli del marzo del '72, che sono stati probabilmente gli scontri più grossi che ci sono stati a Milano se si eccettuano quelli del novembre del '69. Allora le Brigate Rosse quello che fecero è semplicemente il discorso non della violenza ma della clandestinità. Però il discorso della violenza, non intesa come supporto alle lotte, quindi come violenza che in qualche modo porta le lotte a vincere ma sempre a livello di massa, in realtà secondo me comincia a prendere piede sulla difficoltà di costruire le lotte e di renderle paganti a livello di scontro sociale. Dunque, diventa una scorciatoia per cui hai dei risultati politici sull'immediato che non riesci ad avere con una tessitura di una rete di conflitto e di scontro sociale in fabbrica e nei territori.
Sotto un certo aspetto paga perché c'è anche il rapporto seduttivo con i media purtroppo, anche per noi. Le cose della violenza hanno un riflesso immediato che ti abbaglia come se fosse un elemento di successo, senza capire la stessa amplificazione che i media fanno di episodi di violenza certo significativi ma non così importanti. E' un po' come succede con il terrorismo, per cui gli stessi giornali alimentano una paura spropositata delle capacità militari di queste organizzazioni armate che invece dal punto di vista militare sono totalmente ridicole. Non si è mai posto un serio problema con lo Stato dal punto di vista dello scontro militare, anche quando le BR sono state al massimo delle loro possibilità era sempre un confronto completamente fuori scala. Mentre invece se lo vedi dal punto di vista dei giornali questi aumentano questo allarme che ci sia un pericolo per lo Stato. Ciò in parte è una cattiva coscienza come sempre succede nei padroni; in parte secondo me nei comunisti è una scelta abile, cioè una scelta di incrementare l'effetto di paura proprio per andare a uno scontro senza la mediazione legale, perché questo hanno fatto. Di fatto è stato un piccolo colpo di Stato, naturalmente non bisogna esagerare, la grande maggioranza degli italiani non ha avuto conseguenze dirette; però, per quanto riguarda 100.000 persone c'è stato un vero e proprio piccolo colpo di Stato, per cui sono state sospese le garanzie, hanno cominciato a rendere retroattive le leggi. Per noi le leggi erano come la giungla per i vietnamiti in realtà, nelle società complesse la legge ti funziona così.
Da una parte c'era questo discorso dei mass-media, dall'altra parte però c'era il fatto che dava dei risultati immediati anche sul basso comando sociale, di fabbrica ad esempio. Il famoso slogan "colpirne uno per educarne cento" era in realtà una cosa che a quel livello funzionava.
Fra l'altro noi su questo avevamo avuto anche esperienze concrete e precise in diversi posti nel Veneto ma anche a Roma. Avevamo fatto una campagna sistematica che aveva comportato anche qualche cosa effettivamente di violenza fisica, per esempio alla Fatme nei riguardi di due o tre capi che erano quelli dei reparti dove si avvolgevano le bobine elettromagnetiche. Lì c'erano molte donne, quindi era una situazione particolare anche perché il tessuto di organizzazione delle donne era più debole, e c'erano dei fenomeni davvero di caporalato stile primo capitalismo, in cui le spingevano a delle prestazioni pazzesche. Funzionava ancora il cottimo e lì c'era la norma, e questa veniva sempre spostata in avanti. Lì è stata per tre anni completamente interrotta la cosa colpendo due o tre di loro e ciò si era riverberato su centinaia di quadri della fabbrica. Tutto ciò senza toccarli, o meglio alcuni sono stati toccati, uno è stato anche ferito alla gamba, ma si noti che il clima era tale che non c'è stata neanche una vera indagine, i poliziotti hanno fatto qualcosa ma niente più. Perché c'era anche un clima di solidarietà tra gli operai; anche gli stessi comunisti che sapevano com'era andata la cosa non avevano la forza politica di denunciarti, in parte perché alcuni di loro avevano pure simpatia, e quelli che non ce l'avevano tuttavia avevano in fabbrica un clima tale che non era per loro possibile collaborare con i poliziotti. E credo che la stessa sia successa alla Fiat.
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