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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000 |
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Analisi dei propri percorsi politici.
Una delle cose più caratteristiche dell'esperienza di Potere Operaio è di avere proposto questa dimensione dell'odio degli operai per la propria condizione. Una delle cose che ha caratterizzato proprio intellettualmente Potere Operaio era che gli operai che aderivano al gruppo, compresi quelli vecchi tipo Sbrogiò, avevano in odio la propria condizione operaia. L'operaismo ha anche l'aspetto soreliano della valutazione dell'operaio come produttore, in cui la condizione operaia viene affermata con orgoglio; ora, benché noi abbiamo in realtà pure preso delle cose dalla tradizione anarco-sindacalista, però c'era un punto su cui la differenza era netta ed era il fatto che per noi (detta in maniera molto schematica) il fine della lotta era la distruzione della condizione di classe operaia, non invece la sua generalizzazione come elemento morale positivo. Detto in una maniera famigliare, noi eravamo amici degli operai che odiavano il loro essere operaio, anche se ovviamente abbiamo incontrato operai assolutamente rispettabili che difendevano con orgoglio la loro condizione. Però, la scelta volutamente era parziale nel corpo stesso della classe operaia, quindi pensavamo fino alle estreme conseguenze poi. Per noi non è stato intellettualmente un problema contrapporci, eventualmente sul terreno stesso della violenza, con le organizzazioni operaie, perché non avevamo questa cosa per cui l'operaio in quanto tale fosse la dimensione della verità; quindi, a noi sembrava anche inevitabile che si finisse alle mani ed eventualmente a maniere più pesanti con la tradizione socialdemocratica. Non che ricercassimo questo come elemento di verità, però non ci sorprendeva che le cose si mettessero in maniera tale per cui alla fine ci trovavamo il PCI come controparte dal punto di vista della repressione; ci sembrava, forse con un elemento di masochismo, perfettamente coerente con quello che noi pensavamo del PCI e della socialdemocrazia. Le cose che i socialdemocratici tedeschi avevano fatto dopo la Prima Guerra mondiale non ci sembravano dei tradimenti, ma a loro modo una forma di coerenza con quella interpretazione della condizione di classe per cui appunto la socialdemocrazia parte dalla riaffermazione in qualche maniera della centralità del processo produttivo e della posizione che la classe operaia occupa là dentro, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Quindi, tutto questo che per noi era una atteggiamento comunista nelle condizioni e con l'esito che si usava in Italia, finiva col presentarsi come un atteggiamento anticomunista, ma anticomunista lì vuol dire contro il PCI. Anche Lotta Continua ovviamente in parte faceva delle cose analoghe, ma per noi era come un canale di azione fondamentale quello di interpretare la socialdemocrazia come il vero nemico sul terreno dell'organizzazione di classe. Da qui anche esigenze che altrimenti sembrano inconcepibili. Per esempio, per noi è stata fondamentale la critica a Gramsci, erano anni in cui tutti civettavano con Gramsci; oppure la critica dell'esperienza socialdemocratica tedesca e delle sue analogie con quella sovietica. Qui ci sono le cose belle di Sérge in cui in fondo la stessa organizzazione russa viene tutto sommato interpretata come una variante di quella kautskiana, ovviamente su posizioni diverse dato che per i russi è fondamentale tutto l'elemento di espropriazione e riappropriazione da parte dello Stato socialista, però lo schema era analogo a quello kautskiano socialdemocratico; poi loro non volevano impossessarsi dello Stato, mentre i russi facevano un discorso sull'appropriazione. Quando dico i russi non dico necessariamente Lenin e non dico in ogni caso tutto Lenin; ci sono delle sue cose, tipo "Stato e rivoluzione", che vanno esattamente in un altro senso. Però, tutta la teorizzazione del Partito Comunista russo è fatta in realtà in maniera assai analoga alla socialdemocrazia tedesca, su posizioni più radicali e tenendo conto che i russi erano costretti alla clandestinità, costrizione che i tedeschi non avevano; ma per il resto tutto l'apparato, il funzionario di professione ecc. coincideva. C'era anche una sorta (e su questo Walter Benjamin ha ragione) di accecamento da parte dei bolscevichi russi attorno al progresso, al fatto comunque che l'Unione Sovietica dovesse competere sul piano della produzione di ricchezza con i paesi capitalisti.
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