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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000 |
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Quindi, noi abbiamo sempre avuto un atteggiamento assai critico nei riguardi delle lotte di liberazione nazionale, ancorché secondo me giustamente e ovviamente eravamo con loro per una ragione primaria, come in prima approssimazione sei con quelli che lottano. Contrariamente a quello che facevano i compagni di Lotta Continua noi abbiamo fin dall'inizio molto insistito sulle condizioni di classe, per esempio sulla parola d'ordine del salario, che in qualche maniera americanizzava la proposta di Potere Operaio.
Per esempio, sul salario uguale per tutti per noi la cosa decisiva era il tipo di ricomposizione, non tanto perché pensavamo che gli aumenti salariali uguali per tutti trasformassero gli operai in quadri comunisti, ma quanto per il tipo di ricomposizione che permetteva. C'erano due cose. Secondo me prima di tutto c'era una maniera di svelare il meccanismo salariale e di ricondurlo ai rapporti di forza, sganciandolo dalle cose economiche, perché in tutta la tradizione sindacale e anche comunista era come se nello scontro capitale-lavoro tu dovessi tenere conto dei dati economici obiettivi, invece noi insistevamo sull'altro aspetto, per cui sul salario oserei dire in questo caso un po' come lo definisce Sraffa. Sraffa è una figura interessante, viene da questo giro ma poi è finito nell'algida Inghilterra a occuparsi delle opere di Ricardo, me nello stesso tempo è un uomo di grande intelligenza e grande lettore di Marx. In quel libretto aureo che è "Produzione di merci a mezzo di merci" sostiene apertamente che il salario è una specie di bottino di guerra, cioè quanto prenderai dipende dalla tua capacità, non dipende dal fatto del valore della forza-lavoro. A parte se ciò sia giusto o non sia giusto, da un punto di vista politico è un elemento di grande forza. Uno non si mette a lottare per far nascere il sole, perché normalmente è un processo che va da sé, quindi se il salario era determinato da leggi economiche c'era poco da giocare; se invece il salario è frutto del braccio di ferro per cui alla fine prende di più chi è più capace di imporre la cosa, la stessa lotta politica assume un tipo di legittimazione diversa, quasi ontologica, strutturale. Il libretto di Sraffa credo che sia uscito in traduzione italiana nel '59 o nel '60, io mi ricordo che ero ancora al liceo; nel '60 c'è stata una cosa per Tambroni che per la mia generazione è stata la prima esperienza, perché siamo usciti per strada anche a Catanzaro che era un posto sperduto, ci siamo scontrati con la polizia, è stata la nostra nascita. Questi elementi di scontro politico rendevano la lettura dei libri più significativa, come sempre succede perché vedi più cose se sei dentro le lotte. Mi ricordo in maniera viva la lettura di quello che in parte è anche un libro non facile perché è un libro algebrico; fra l'altro, come nei trattati di algebra, sembra avere la quantità di parole necessaria e solo quella, non una parola in più. E' come quando uno scrive delle equazioni, che hanno come un telegramma questo vantaggio di essere l'essenziale, o come quel libretto di 120 pagine che secondo me è un capolavoro. Non necessariamente io dico che il filone Quaderni Rossi e Classe Operaia venga da là perché non è vero, però certamente quello è un libro che è coerente con questo tipo di impostazione, malgrado che venga da tutt'altra direzione, perché alla fine è un libro colto e dotto. Però, ha funzionato come un modo diverso di affrontare tutto il problema economico e anche un modo di concepire le cose che Tronti scriveva in "Operai e capitale" quando parlava del carattere immediatamente politico della lotta economica, non poi il secondo Tronti dell'autonomia del politico.
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