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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000

Allora, bisogna vedere la soglia della cooperazione a partire dalla quale è possibile intervenire per usare queste cose anche in un altro modo; anche se io confesso che su molte cose non saprei come usarle in un altro modo, perché penso che ci sia bisogno concretamente dell'esperienza per capirlo. Però, a me questa sembra una via positiva (nel senso ottocentesco di positiva, nel senso di concreta) per affrontare anche le nuove forme che deve avere l'organizzazione politica. Dicevo poco prima che a mio parere siamo, come in altre epoche, in un momento in cui produzione e lotta politica coincidono: solo se sei capace di produrre quei bisogni o desideri o passioni che riescono a utilizzare queste nuove tecnologie tu hai un tipo di protagonismo. Altrimenti ovviamente puoi anche avere sempre (cosa assolutamente legittima e umana e tanto di cappello) le forme di resistenza, comprese le forme operaie di resistenza, che sono dignitosissime intendiamoci, però nello stesso tempo a me viene come un magone. A Crotone, ad esempio, hanno lottato per tenere aperto uno stabilimento chimico, cosa che non ha più alcuna giustificazione da nessun punto di vista, compreso un fatto culturale per via che una volta non si teneva conto di quanti danni quella cosa provocava all'ambiente, oggi invece è una sensazione assai più diffusa con cui tu devi fare i conti. Malgrado questa situazione, per tre anni c'è stata questa lotta da parte degli operai di Crotone, che hanno peraltro un passato illustre perché è l'unico insediamento operaio che ci sia stato in Calabria, è relativamente antico (ha almeno 70-80 anni), è stato importante anche nei periodi della lotta del dopoguerra per le terre e tutto il resto, era un presidio operaio nel Sud. Però, di fronte a questa cosa, anche quando la vedi nelle forme radicali di lotta (perché hanno incendiato mezzo paese), ti viene una sorta di magone, perché è come quelli che lottano contro le macchine, anche se da una parte ti senti sentimentalmente con loro. Per me è la stessa sensazione che ho avuto con quelli delle Brigate Rosse, giudicavo pazzesco quello che facevano, ma ovviamente nello stesso tempo mi sono sentito per alcuni aspetti dalla loro parte: come una parte che era destinata a perdere ma che toccava perdere insieme. Allora, con gli operai ho questa sensazione alle volte, che magari tocca perdere con loro perché non c'è un'altra possibilità, però quel tipo di cosa è perduta, non ha storia. Casomai c'è da capitalizzare su quella sofferenza, è una brutta espressione, voglio dire che c'è da tenere conto degli elementi di sentimentalità che ci sono proprio in quel modo di difendersi: questi elementi sono invece tutti positivi.


Nel tuo discorso hai per molti versi toccato il nodo della soggettività. In generale, vediamo però come esistono delle forme di soggettività che magari esprimono conflitti che tuttavia non necessariamente vanno in una direzione altra rispetto all'esistente, inteso non solo come ciò che sono le macrodimensioni ma anche per quello che riguarda la quotidianità di una vita e di bisogni colonizzati dal dominio capitalistico. Pur nell'interessante ambivalenza delle rivendicazioni che partono dal locale e dal territorio, abbiamo visto anche forme di conflitto tese semplicemente a prendere il posto e i benefici di qualcun altro, reazionarie o che comunque vanno in tutt'altra direzione rispetto ad un'espressione di alterità. Bisogna dunque tenere conto di una grossa differenza tra quello che è il conflitto e quella che è l'alterità rispetto all'esistente. In questa ambiguità e in questa ambivalenza, come è possibile pensare, anche progettualmente, ad una soggettività che vada in una direzione di alterità rispetto a modelli di comportamenti e di bisogni imposti dal dominio capitalistico?

Io penso che in ogni esperienza di cooperazione umana tu abbia nello stesso tempo sempre in agguato l'elemento del comando. Intanto voglio dire che a me interessa meno il capitalismo in quanto sfrutta gli operai di quanto mi interessa il capitalismo come sistema di controllo. Mentre negli aspetti di sfruttamento economico degli operai io ci vedo un carattere assolutamente datato della formazione capitalistica, e quindi a mio parere in deperimento fin dall'inizio ma in maniera significativa sotto i nostri occhi, invece, per quanto riguarda il capitalismo come capacità di elaborare forme di controllo e di disposizione sul tempo altrui, si tratta di tutt'altro, il discorso mi sembra più serio e penso che questa attitudine al controllo e al disciplinamento sia una facoltà umana. Prima dicevo degli operai contro la fatica: non sono stati gli unici nella storia dell'umanità a lottare contro la fatica, però a un certo punto sono secondo me stati loro i grandi protagonisti di questa cosa; e così è stato il capitalismo.

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