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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000

Allora, il mio interesse, anche proprio umano, sentimentale, è su tutte le forme di cooperazione che noi possiamo fare senza prima aver fatto la rivoluzione e avere scacciato i nostri nemici. Se noi pensiamo per esempio che il comunismo sia un'alternativa prima di tutto di vita quotidiana, non di ideale proclamato, ma di modo di vivere, anche di umanità a mio parere, anche oserei dire di dolcezza, di un vivere più caldo, allora se è così la cosa interessante è sperimentare quello che a noi sembra adeguato a questo, e subordinare tutto a questo tipo di esperienza. Non pretendere che tutta l'Italia sperimenti, che tutti i centri sociali sperimentino, nessuna cosa di queste in partenza è universale, casomai l'universale sarà un punto di approdo. Ma per riacquistare il nostro potere di agire e quindi anche per potere appropriarci di questo terreno di possibilità che lo sviluppo delle scienze del lavoro umano, del sapere in generale permettono, non c'è una via diversa dallo sperimentare. Io non ci credo che ci sia una qualche teoria che sia in grado di dirci cos'è che dobbiamo fare, proprio perché siamo come se (in senso metaforico) fossimo passati attraverso uno stretto ed usciti in mare aperto, e che avessimo prima di tutto il bisogno di sperimentare nella navigazione, ovviamente aperti al naufragio, quello è assolutamente evidente. Quindi, da questo punto di vista sono interessato a tutte quelle esperienze in cui l'elemento di valore aggiunto (per ripetere il linguaggio dei nostri governanti) sia dato dallo sviluppo di forme di autogoverno. A me sembra enormemente più importante che un quartiere (entro certi limiti che sono dati dalle leggi ecc.) riesca ad appropriarsi di tutti quegli spazi di libertà che ci sono e non sono occupati da nessuno; non è che deve andare lì per cacciare un altro, perché alcuni non sono neanche capaci di vedere certe attività che il capitalismo non vede davvero poiché non hanno una possibilità di utilizzazione in termini di aumento progressivo del rendimento, semplicemente non le vedono perché da quel punto di vista è come se avessero l'orizzonte delimitato dagli strumenti che usano. Per me l'esperienza dei centri sociali non è mica interessante perché si proclamano di sinistra, lo dico onestamente, anche perché lì avrei moltissime cose da ridire: quello che per me è interessante è che questi si siano messi insieme e che abbiano in una certa misura costruito un loro spazio, o almeno lo hanno fatto per un certo periodo, perché poi come tutte le cose vere non è che debbano vivere eternamente. Però, per un certo periodo hanno esercitato questa libertà, hanno riempito di contenuti una possibilità che prima era una vuota possibilità semplicemente attraverso l'azione sociale. Quella è la forza, quello per me è un elemento di costruzione della soggettività. Spero anch'io naturalmente che si possa costruire poi una soggettività che in qualche maniera sia abbastanza universale da poter essere all'altezza del genere, dell'umanità; ma penso che questo, come in altre epoche, sarà un frutto di lavoro, di ricerca collettiva e anche di scelte drammatiche che ci saranno. Per esempio, sono in disaccordo con i miei amici qua a Roma che hanno fatto una Camera del nuovo lavoro, perché penso che sia sbagliato tentare di organizzare i precari attraverso un sindacato, secondo me è un errore. Ovviamente penso anch'io che ci siano queste forme di lavoro nuovo, e peraltro non vedo negativamente queste cose part-time ecc., ma anch'io chiaramente credo che ci sia bisogno di garantire loro dei diritti; ma questi diritti sono proporzionali alla loro forza, non è che vengono da qualche teoria generale su quello che è giusto per gli umani, è legato alla loro capacità di organizzarsi. Una cosa che a me interessa di questo tipo di lavoro che diciamo precario per intenderci in maniera grossolana, è che il tipo di garanzie che richiede sono quelle stesse che dovrebbero essere date in generale a tutti i cittadini. Piuttosto che regolamentare la forma di prestazione del lavoro precario attraverso degli accordi tra sindacati e padroni o cose del genere, secondo me sarebbe più giusto garantire per esempio al cittadino in generale delle cose che vanno dalla sicurezza alla pensione; in quanto tale questo sarebbe dal punto di vista economico assai più produttivo perché ovviamente scarica in parte i costi rispetto all'impresario, dall'altra parte dà la garanzia al precario che se lui quel lavoro che fa non gli va deve avere la possibilità di cambiare (possibilità che secondo me in realtà dal punto di vista pratico e fattuale c'è già, come vedi nei comportamenti delle persone). Però, noto anch'io che c'è una differenza di garanzie fra quel pacchetto di misure accordate al lavoro tradizionale e invece quell'altro, e penso anch'io che su questo bisogna fare, ma secondo me nel senso di garantire dei diritti in generale, per cui quelli diventano anche diritti del lavoro precario, ma non di rifare una cosa specifica e sindacale del lavoro precario. Comunque, al di là del fatto se siamo o no d'accordo su questo, io lo facevo come esempio per dire che ci sono alcune iniziative che non seguirei più; naturalmente fermo restando che se invece le fanno, la cosa funziona e va bene io sono contento, non è che abbia un atteggiamento negativo: non ci credo e non ci metterei delle energie in quella direzione, mentre invece sarei più interessato ad altre forme.

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