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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000

Un altro tentativo che Lotta Continua fece, con alterni successi, fu quello su Reggio Calabria.

Lì fu bravo proprio Adriano Sofri. Il primo quotidiano era Mò che il tempo s'avvicina; lì c'era anche Moreno che, a parte quella gaffe che ha fatto di fare il consigliere del Ministro dell'Istruzione Onofri durante il governo Berlusconi, cosa che è veramente stata una caduta, però merita tanto di cappello. Lui fa il maestro di strada insieme con la sua compagna che è la Melazzini; è una di quelle forme di esperienza che hanno a Napoli e che sono notevoli, sono soprattutto cattolici, anche lui lo è. Si occupano dei ragazzi che evadono l'obbligo scolastico non nel senso di costringerli ad andare a scuola, ma nel senso di inseguirli come fanno ad esempio in America con gli indiani, il che è un'ottima cosa: tu non cerchi di disciplinarli, accetti e semmai ti metti al servizio. E riescono a far acquisire a questi ragazzi degli strumenti culturali attraverso un metodo diverso dalla scuola. Là a Napoli è in gran parte l'ex gruppo di Lotta Continua che lo fa. Noi questa cosa più missionaria in realtà non l'abbiamo mai avuta, anche se io personalmente stimo molto questa capacità anche nei cattolici che non c'entrano con Lotta Continua. Io onestamente ho una difficoltà ad occuparmi della sofferenza in quanto tale, forse per miei problemi, già mi sento che soffro abbastanza per aggiungere altra sofferenza. Ho una difficoltà a mobilitarmi per i lebbrosi non perché non capisca la cosa, è come quando un mio amico muore di cancro, io non ci vado, non ho la forza. Però, apprezzo questa cosa anche se la sua radice mi sembra problematica. Fra l'altro ho discusso a Roma con Curcio, lui ha fatto Sensibili alla Foglie, molti di questi materiali, a parte quelli di rievocazione e documentazione degli anni '70, hanno questa attenzione alle forme di sofferenza, che so l'handicappato, quello con tre gambe o con otto teste. Rispetto a ciò io ho un atteggiamento di emozione più che di ragione: ho sempre pensato che la vera sofferenza sia nella normalità. In questo sono influenzato moltissimo da Kafka, in particolare da quel racconto che si chiama "La metamorfosi", in cui quell'impiegato si trasforma in uno scarafaggio: mi è sembrato un manifesto della sofferenza che viene dalla regolarità della vita. Poi c'è la sofferenza che naturalmente è atroce, però dal mio punto di vista uno che nasce con quattro piedi ha già abbastanza argomenti da capire perché soffre, è come uno che manca di una cosa; ovviamente è una condizione assai penosa, però nello stesso tempo a mio parere c'è come una ragione che non dipende dal sociale, dipende da una cosa più complicata. Invece, la sofferenza dell'impiegato è di origine sociale, è come un surplus di sofferenza che non è necessario. Io sono dell'idea che ci sia una necessità di accettazione nella vita dei propri limiti, penso male di ogni prospettiva paranoica di finirla con i problemi, non credo che ci sarà mai una società senza problemi. Quello che mi sembra più importante è eliminare i problemi inutili, cioè eliminare le ragioni di sofferenza superflue, la sofferenza che viene in una società di regime capitalistico, quella che ha origine nelle convenzioni umane; essa non è un tipo di cosa necessaria come il fatto che non sai volare o che invecchi, qui a mio parere c'è più la tradizione dei classici e dei pagani per cui devi accettare il carattere limitato del tuo essere, il fatto che sei fragile, che crepi, che c'è il dolore. Nella sofferenza di origine sociale, nell'incapacità di identificarti, nel sentirti solo, nell'essere anche solo, c'è invece un surplus di sofferenza che tu puoi eliminare. A mio parere l'azione politica è soprattutto volta a questo tipo di cose. Con questo non sto dicendo che non ho stima per chi si occupa di lebbrosi, per Madre Teresa di Calcutta o per esempio per suor Teresina, che si è occupata in carcere di me, di Toni e degli altri; noi nelle carceri ci siamo passati e ci siamo usciti, loro continuano ad andare lì non per ragioni politiche. Quindi, ciò lo apprezzo molto, però per me è come una divisione del lavoro, io non sarei capace di fare quelle cose e non riuscirei a concepire l'azione politica in quel senso, probabilmente per limite culturale mio. Da questo punto di vista Potere Operaio mi sembrava più laico, una cosa in cui da una parte non si raccontavano frottole sulle sofferenze e dall'altra parte invece avevi in odio la sofferenza che veniva dalla condizione di classe, perché quella è una sofferenza anonima e generale. Questa non è la sofferenza che deriva dal fatto che la natura ha specializzato il tuo corpo e invece in genere l'uomo non è specializzato, per cui uno che ha un solo braccio molto forte si sente sempre come una cosa estranea ed è soggetto ad un'orribile sofferenza, ma quella non è una sofferenza su cui l'azione politica possa intervenire facilmente. Quindi, una cosa che caratterizzava quel tipo di impegno era questa ricerca della sofferenza nella normalità, è la condizione normale che è l'origine della sofferenza e non invece l'evento raro, eccezionale. Poi naturalmente e indirettamente c'era anche la rivalutazione che veniva dall'atteggiamento nei confronti del lavoro: dal cosiddetto rifiuto del lavoro veniva un atteggiamento culturale di apertura verso altri modi di vivere fra cui l'ozio, concepito non come pigrizia ma come crescita interiore, che non ha bisogno di avere un fine, è cioè un fine in sé, è semplicemente la crescita della persona. Quindi, un occhio per le cose del Sud che per esempio nella tradizione industriale non c'era invece mai stato, per cui c'era un'attenzione per quelle forme di civiltà che esemplifico nel Sud ma potrei citare anche i paesi del Terzo Mondo.



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