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INTERVISTA A FRANCO PIPERNO - 31 AGOSTO 2000

In questo c'è sicuramente una promozione dell'individuo come di quello che io chiamo l'individuo sociale, che poi per me è la categoria interpretativa più interessante: io sono convinto che il punto di approdo dell'operaio-massa, per dirla in termini a noi famigliari, sia stato poi l'individuo sociale, cioè l'individuo che è all'altezza del genere, l'individuo in cui l'elemento di cooperazione con l'altro è diventato un bisogno suo stesso. Allora, questo individuo sociale a mio parere per molti aspetti c'è già e noi dovremmo cercare di agire (in questo mi interessa il tuo discorso sulla cooperazione politica) come se lui già ci fosse, non come se dovessimo costruirlo. Detto in altri termini, secondo me bisogna agire come se fossimo nella pienezza dei tempi, non che bisogna aspettare ancora un'altra epoca o un'altra cosa. In questo per esempio gli elementi diciamo salvifici del messaggio cristiano, oppure delle cose di san Francesco d'Assisi, sono per me delle cose intellettualmente enormemente interessanti. Concepire la fine della storia, nel senso che non c'è la necessità di rincorrere di progresso in progresso, quanto c'è la necessità di vivere all'altezza delle nostre possibilità; quindi, bisogna avere per esempio un atteggiamento negativo verso le cose che comportano troppo futuro, cioè avere anche al limite un atteggiamento un po' negativo verso il futuro come imbroglio. Ovviamente anch'io penso agli elementi inediti, mai visti, però quelli per me sono più elementi nascosti del presente che elementi che devono ancora venire, che bisognerà aspettare altre generazioni e industrializzare il mondo. Mi interessa dunque il fatto che sia possibile subito qui, il che non vuol dire che dobbiamo scontrarci con lo Stato, non nel senso che non bisogna scontrarsi, intendiamoci, questo va da sé, io continuo a pensare che sia un diritto la violenza esercitata in forma di autodifesa e anche di affermazione delle proprie cose; però è diverso questo, che è un modo a mio parere saggio e inevitabile di concepire la lotta politica, dal pensare che tu viceversa per prima cosa devi scontrarti con lo Stato. Io tenderei più a trovare tutti quegli aspetti del territorio immaginario dove lo Stato non c'è, non è capace di esserci, e che sono però elementi che a noi interessano e piacciono, piuttosto che avere una logica antagonista. La cosa che rimprovero per esempio a Rifondazione (a livelli di discorsi, perché poi a livello di pratica non sono mica tanto antagonisti quanto dicono) è far derivare la linea politica dall'antagonismo. Intanto interpretano la storia come una specie di iniziativa continua dei capitalisti in cui l'elemento invece di innovazione e di ribellione delle lotte non c'è; non dico che siano tutti così, però nella vulgata sono sempre i capitalisti che fanno l'innovazione e quindi non si vede mai l'altro elemento. Nello stesso part-time c'è evidentemente un elemento di riduzione drastica delle garanzie, è sicuro che ci sia; ma io sono abbastanza vecchio da ricordarmi l'Italia del pieno impiego, la vita operaia degli anni '60, la nostra esperienza è nata da quella situazione. Quindi, io trovo un po' orripilante dover sostenere parole d'ordine come "aumentiamo l'occupazione"; naturalmente mi rendo conto degli aspetti invece di reddito che sono importanti e non solo non li nego, ma preferisco affrontarli direttamente anziché con questo discorso in cui tu faresti il contrario di quello che pensi. Tu, sindacato o Bertinotti, pensi che sia sfruttamento il capitalismo? E tu nello stesso tempo ti batti per aumentare questa cosa? Il patto segreto tra sindacati e padroni è sempre stato questo, che lo sviluppo avrebbe portato altri posti di lavoro, quindi c'era una complicità di fondo, tra l'altro comprensibilissima per l'aspetto che ricordavi poc'anzi di vendita della merce che ha istituzionalmente il sindacato; quello punta a vendere la merce al prezzo migliore, fa anche bene dal suo punto di vista, però se tu dai un giudizio sul carattere alienante della forma di produzione capitalistica non puoi sentirti contento dal proporre che questa forma si espanda ulteriormente. Quindi, bisogna affrontare il nodo del reddito dividendolo dal lavoro, come per altro è nei fatti; solo che non abbiamo nessuna forma organizzativa. Ci sono anche delle altre cose che vanno in questa direzione, ci sono delle cose di radicalità, penso che l'esperienza industriale ci ha fatto anche interiorizzare un modo di rapportarci al tempo che è profondamente caratterizzato e limitativo. Il tempo è una delle cose di libertà collettiva degli uomini (degli esseri umani voglio dire, non di libertà del singolo); però, poiché è un elemento convenzionale, è una sorta di definizione, la definizione del tempo è una cosa che ti puoi prendere come uno dei gradi di libertà che hai. Naturalmente non lo può definire il singolo, non sto dicendo questo, però a livello di esigenze collettive il tempo è una variabile dipendente da queste esigenze; non è viceversa che ci sia un tempo che scorra comunque qualsiasi cosa fai e quindi sia la misura di tutte le cose eccetera. Ma questo per me ha delle conseguenze (ripetendo delle cose che sono state già dette e scritte) anche nel modo per esempio di concepire il calendario. Per me è interessante il tentativo di riconcepire il calendario, perché se si va a vedere esso, malgrado che sia rimasto dal punto di vista astronomico grosso modo lo stesso, fra il periodo medioevale e il periodo industriale ha avuto un profondo sconvolgimento: nel Medioevo ogni giorno era una cosa particolare, come nella tradizione pagana, legata a un santo e in cui bisognava fare certe cose, anche i maya fanno così, per tutte le esperienze contadine del calendario un giorno non è per niente uguale all'altro; nella civiltà industriale, invece, a partire dai puritani si è riscoperta la settimana in cui c'è un solo giorno differente, che è la domenica, e tutti gli altri sono uguali per il ritmo lavorativo.

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