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Un tale diceva che ribellarsi è giusto, ma che bisogna farlo bene, saperlo fare bene, imparare a saperlo fare bene.
Ed ecco allora il primo dossier sul funzionamento del cantiere Tav in Valle. Si è cercato di ricostruire a che punto è il cantiere/fortino di Chiomonte, quali ditte ci lavorano, cosa fanno, come funziona il dispositivo di sicurezza che lo protegge e via dicendo. Tutte informazioni che dovrebbero essere di pubblico dominio, se la Valsusa non fosse stata trasformata in una zona di guerra, una colonia interna dove chi non si rassegna diventa un disfattista da debellare e anche solo il semplice fatto di raccogliere informazioni diventa un crimine da reprimere.
Un giornale ha definito questa attività di monitoraggio “macabra”. Il giornalista, evidentemente non troppo avvezzo agli aggettivi, dimentica che proprio il controllo capillare di ciò che avviene al di la di reti e del filo spinato ha permesso di scoprire ai no tav che nel cantiere lavorava una ditta senza il certificato antimafia. Ripetiamo, i no tav lo hanno scoperto, non i giornalisti.
Da qualche tempo i solerti difensori del cantiere impediscono addirittura di fotografare o filmare il modo in cui viene spesa questa montagna di soldi pubblici. Una scelta ben precisa per tentare di nascondere le irregolarità di quel cantiere.
Noi rivendichiamo il sacrosanto diritto di sapere cosa succede sul nostro territorio, così come il diritto di difenderlo e Tav watching è un utilissimo strumento allo scopo.
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