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SOLIDARIETÀ CON SILVIA E ANNA IN SCIOPERO DELLA FAME

Ieri sera, 14 Giugno 2019, a Varese era in programma la proiezione del film “Esilio”. Il film, diretto dal regista varesino Maurizio Fantoni Minnella, e presentato presso la sala Montanari, narra l’esilio del sindaco Mimmo Lucano dal suo paese, Riace.

Alcune persone, hanno aperto uno striscione e distribuito volantini in solidarietà con lo sciopero della fame di Silvia e Anna, due compagne anarchiche detenute nel carcere speciale dell’Aquila. Protestano per il trattamento subito, che molto somiglia a quello del 41 bis. Il loro obiettivo: il loro trasferimento immediato e la chiusura della sezione AS2 del carcere aquilano.

Qui sotto il volantino completo:

Qui la locandina dell’evento:

 

 

 

VAFFAGRILLO & 5 STELLE

Con colpevole ritardo, riportiamo un simpatico episodio avvenuto a Varese lo scorso sabato.

Il king del vaffa day, Beppe Grillo, si è beccato un sonoro vaffanculo! Ebbene sì: in occasione del suo spettacolo  presso il teatro Apollonio (al proletario prezzo di 40€ a biglietto), alcuni guastafeste hanno deciso di andare a cantargliene quattro. Qui sotto il testo completo del volantino distribuito, e alcune foto della serata.


VAFFA GRILLO E IL SUO PSEUDOMOVIMENTO 5 STELLE!
A proposito del voltafaccia del partito di Grillo e della Casaleggio Associati da quando è al governo
Il Movimento 5 Stelle nasce e si propone ai cittadini come un’organizzazione politica moderna ed orizzontale. Esso vuole rappresentarsi come il superamento di un’idea antiquata di gestione del potere, come argine al malaffare dei partiti, per andare oltre le vecchie ideologie, un movimento né di sinistra né di destra (“PD e Forza Italia condividono gli stessi sporchi interessi e sono responsabili della rovina del Belpaese”).
La rabbia buona di un comico milionario che sbraita sui palchi di tutta Italia, le idee di onestà, di innovazione tecnologica, di democrazia diretta, la crisi economica e le politiche di austerity imposte dalla Banca Centrale Europea e dalla finanza internazionale contribuiscono a creare quel consenso che porta il M5S a vincere le elezioni del 4 marzo 2018. Poi forma il governo con la Lega e qui dimostra quello che è realmente: una formazione politica al servizio delle multinazionali e delle banche.
Prima di andare al potere, i Cinquestelle si spacciavano per quelli che stavano dalla parte dei movimenti locali che difendevano i loro territori dalle devastazioni causate da grandi opere inutili, costose e nocive; dicevano di essere contro l’acquisto dei cacciabombardieri americani F35, erano schierati con i gruppi che non accettavano le vaccinazioni obbligatorie. Unica loro “coerenza”, il livore contro gli immigrati, al limite della xenofobia e del razzismo, che si è concretizzato nel cosiddetto Decreto sicurezza e immigrazione che prevede, tra l’altro, l’abolizione della protezione umanitaria, la restrizione del sistema di accoglienza, l’esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo che pertanto non possono richiedere la residenza. Il “Decreto sicurezza” è un decreto non solo razzista e liberticida, ma interviene direttamente contro le lotte dei lavoratori e dei movimenti per la difesa del territorio e per la casa. Per il blocco stradale e ferroviario, per esempio, non è più prevista un’ammenda ma la reclusione fino a dodici anni e per l’occupazione di immobili la pena arriva fino a quattro anni.
“Fermeremo le trivellazioni.” No Triv era lo slogan pentastellato contro le scavatrici nelle acque del mediterraneo, ma adesso Di Maio ha detto Sì Triv. Identico voltafaccia per le trivellazioni in Basilicata.
“Bloccheremo l’acquisto degli F35.” Passati dai banchi dell’opposizione a quelli di governo i pentastellati hanno cambiato idea. A confermarlo le parole della ministra della Difesa Trenta che ha assicurato che non taglierà gli ordini degli F35.
“Bloccheremo il TAP.” (Trans Adriatic Pipeline: il gasdotto che dal Mar Caspio arriverebbe in Italia). «Con il governo del Movimento 5 Stelle quest’opera la blocchiamo in due settimane». Questo prometteva Di Battista in caso di vittoria alle elezioni. Adesso dicono che è impossibile fermarne la realizzazione.
“Bloccheremo il TAV.” Con l’analisi “costi/benefici”, il M5S è passato dal No Tav al Nì Tav…per diventare, probabilmente dopo le elezioni europee, Sì Tav.
“Chiuderemo l’ILVA di Taranto”, e l’ILVA è ancora lì a inquinare e ad avvelenare lavoratori e popolazione.
Da No Vax a Sì Vax. Con l’adesione al Patto trasversale per la scienza promosso dal virologo Burioni e sottoscritto anche da Renzi, Grillo si è rimangiato tutto quello che prima delle elezioni sosteneva aderendo alle campagne no vax. Anche la sua omonima ministro della sanità, Giulia ha cambiato la propria posizione. “Vaccinarsi è fondamentale. L’obbligatorietà la decide la politica in base alla situazione epidemiologica”.
Il Movimento 5 Stelle conviene al sistema. La grande palla di spacciare il Movimento 5 Stelle come un qualcosa di nato spontaneamente sui meetup, ad opera di gente incazzata, piena di civismo va vista per ciò che è, una palla. Trattasi, invece, di un progetto ben preciso, creato appositamente per impedire che il crescente malcontento degli italiani provati dalla crisi sfociasse in una vera ribellione, come sta accadendo in Francia.
IL RE GRILLO È NUDO!
NON FACCIAMOCI PIÙ INCANTARE E FREGARE DA QUESTO BUFFONE DI CORTE!
Liberi pensatori varesini

OTTOBRE CON TEMPERATURE ALTE

Il mese di ottobre, oltre a un clima decisamente sopra le linee, ci ha regalato alcune pennellate utili a dare colore all’umore dei tempi, troppo spesso incolore, ma che la persona dotata di buon olfatto non fatica a riconoscere. E allora ecco la nostra carrellata di ottobre, tra notizie di merda e altre utili a rinfrancare lo spirito:

OMERO
Lo scorso 12 ottobre nel tardo pomeriggio, nel corso di una delle tante operazioni di controllo realizzata dalla sempre più militarizzata Polizia Locale a firma Alessandro Fagioli, è successo un inciampo. In zona stazione un agente della Locale si è rotto l’omero.
E’ successo in via Ferrari dove l’agente ha cercato di controllare due persone le quali, per una volta, si sono date alla fuga. L’agente, tutt’altro che agile e sportivo, cercando di trattenere uno dei due fuggitivi è rocambolescamente caduto riportando la frattura dell’omero.

NEGRI AL SUPERMERCATO
Il giorno dopo, nel capoluogo di provincia, uno dei tanti episodi che spesso rimangono nell’ombra è invece uscito alla ribalta nazionale. “Non voglio essere servita da un negro. Non mi va proprio”. Così una donna sulla quarantina, bianca, italiana, rispettosa della Legge, ha lasciato la spesa sul nastro trasportatore della cassa di un supermercato di Varese. Subito dopo ha lanciato alcune lattine in direzione del malcapitato e se n’è andata pur di non dover interagire con il cassiere di colore che in quel momento era l’unico a cui i clienti potevano rivolgersi.

NEGRI SULLE PANCHINE
Torniamo a Saronno, città in cui negli ultimi 5 anni si sono susseguite allucinanti ordinanze liberticide prima a tinta PD e poi Lega. Si è passati dal divieto di sedersi sui gradini o di bere dalle fontanelle, all’uso regolare del Daspo Urbano. Avete già i brividi? Ma il bello deve ancora arrivare. Allo sceriffo Fagioli è arriva una lettera con la firma di tanti commercianti di corso Italia per chiedere di “aumentare i controlli contro il degrado” e di “spostare le nuove panchine in altre location”.
A scatenare l’ultima presa di posizione, l’arrivo in centro di una dozzina di nuove panchine in piazza Volontari del Sangue, la preoccupazione dei negozianti è che invece di accogliere clienti affaticati tra un acquisto e l’altro servano ad altre persone per sedersi in non produttive attività di svago. “Tempo sfaccendato trascorso né a produrre né a consumare? Orrore! Sceriffo, pensaci tu!”
Parrebbe il Medioevo, per l’idea distorta che i più ne hanno, e invece è la quotidianità che ci viviamo. Finita qui? Ma va! L’ex assessore silurato Francesco Banfi direttamente dall’oratorio ci tiene a ricordare che “sbaglia chi legge un blando no alle panchine, al povero o un accenno di razzismo: nulla di tutto ciò. La richiesta che avanzano i commercianti è pulizia, ordine e decoro, da intendersi anche sprofondanti nelle questioni presidio del territorio e sicurezza: basterebbe questo per non avere sporcizia e panchine popolate da gente che beve alcolici, dorme, minaccia, fa risse o urina in bella vista. […]
Per dare un suggerimento all’amministrazione: occorre dare mandato alla Polizia Locale di controllare le panchine; può essere redatta una mappa della dislocazione dell’arredo urbano.”

Dobbiamo ammetterlo: non avremmo una fantasia tale da riuscire a inventare un racconto fantastico all’altezza.

PICCHETTO ALLA GLS A BRUNELLO
Il 23 ottobre a Brunello mattinata dei tensione ai cancelli dalla GLS, la compagnia di trasporto che ha una filiale gestita da un subappaltatore.
Un gruppo di lavoratori, 4 della ditta stessa e una decina di rappresentanti del sindacato Sol Cobas, ha bloccato attorno alle 7.30 l’ingresso della ditta fermando i camion in arrivo.
Ci sono stati momenti di alta tensione e uno dei titolari dell’azienda finito a terra è stato soccorso per un malore.
Sono intervenuti i carabinieri che hanno presidiato il picchetto di protesta.
I dipendenti lamentano la violazione dell’orario di lavoro con turni troppo pesanti e atteggiamenti intimidatori da parte dei manager.

NUOVA SEDE FDI A SARONNO
E infine torniamo nuovamente a Saronno, dove tra omeri fratturati e panchine vietate non ci si annoia mai. Il prossimo sabato 27 ottobre la città degli amaretti subirà l’ennesima violenza, è prevista l’inaugurazione del nuovo circolo Fratelli d’Italia, infatti in via Ramazzotti al civico 33 troverà casa la sezione di Saronno e di Cislago.
Dopo l’apertura, a fini esclusivamente elettoralistici, della sede adiacente corso Italia ora l’apertura di una nuova sede. E anche stavolta non mancano i nomi ad accompagnare la pantomima: annunciata la presenza di Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, dell’onorevole Paola Frassinetti, Carlo Fidanza, Andrea del Mastro e degli assessori regionali Riccardo De Corato e Lara Magoni.

Battiture

Ciò che ha fatto partire la battitura al Carcere dei Miogni di Varese, questa volta, è stata la rottura dell’asciugatrice e l’impossibilità di stendere le lenzuola e le coperte. Queste ultime nella sezione nuovi giunti vengono lavate una volta all’anno e passate di detenuto in detenuto, con le conseguenze igieniche di facile intuizione. La soluzione della direzione per poter stendere ad asciugare lenzuola e federe di un carcere con più di 70 detenuti? Una stanza di 12 metri quadrati senza finestre e riscaldamento; non serve commentare.

UNA MATTINATA AGITATA A GALLARATE

Anche ieri, 6 Dicembre, Gallarate ha vissuto un’altra frizzante mattinata di mobilitazioni degli studenti medi.

Agli alunni del Falcone è stato detto che le aule erano finalmente al caldo, ma alle 8 di mattina, quasi tutti stavano aspettando fuori dai cancelli, probabilmente non convinti che le riparazioni fossero state realmente eseguite. La preside, non disposta a tollerare il terzo giorno consecutivo di insubordinazione dei suoi studenti, si è presentata personalmente all’ingresso.

«La scuola è calda» ha detto; «entrate o tornerete durante le vacanze di Natale o di Pasqua a recuperare le ore» ha aggiunto, ribadendo la stessa linea di ieri. Molti studenti, forse realmente convinti che la situazione fosse migliorata, forse cedendo alle pressioni della dirigente, hanno deciso di entrare nelle aule. Altri invece, consapevoli della natura strutturale del problema, della sua non riparabilità nell’immediato, e convinti che la scuola sarebbe tornata ad essere nuovamente fredda, hanno deciso comunque di rimanere fuori in presidio per denunciare l’invivibilità del plesso scolastico.

Dopo qualche minuto di attesa per comprendere come riorganizzarsi, al grido di «Sciopero!/Sciopero!», è sopraggiunto dal fondo della via un gruppo di studenti dell’Ipsia determinati ad aggregarsi alla protesta. Anche loro lamentavano di essere al freddo e costretti a fare lezione in aule che cadono letteralmente a pezzi: piastrelle del pavimento che si gonfiano e scoppiano, calcinacci che cadono, sistema di riscaldamento malfunzionante e quant’altro. L’arrivo del gruppo ha portato una ventata d’aria fresca, e nell’atmosfera di euforia generale qualcuno ha acceso un fumogeno e lo ha scagliato nel cortiletto dell’istituto, oltre il cancello che la preside aveva fatto chiudere poco prima.

Gli studenti delle due scuole si sono aggregati e hanno iniziato a gironzolare per le strade di Gallarate gridando slogan che incitavano allo sciopero e alla ribellione. Il gruppo si è diretto prima verso l’Ipsia, per poi nuovamente tornare all’istituto Falcone quando hanno saputo che i loro compagni erano usciti dalle aule per ritrovarsi nell’atrio. Il caldo promesso alle 8 dalla preside si è rivelato una bufala, la rabbia è tanta, ma gli studenti rimasti dentro non possono uscire a causa del cancello chiuso.

Quelli fuori decidono quindi di rimanere ad attendere la loro uscita esponendo alcuni striscioni preparati spontaneamente sul momento. Nel confronto nato per scegliere gli slogan da utilizzare, si improvvisa qualche discussione. «Il freddo è solo uno dei problemi, la nostra scuola fa schifo, cade a pezzi ed è pericolosa» dice un ragazzo dell’Ipsia. «Con l’alternanza scuola-lavoro ci mandano a lavorare gratis» aggiunge qualcun altro.

Insomma è stata proprio una bella mattinata agitata quella di ieri a Gallarate, e ci sono tutte le premesse per vederne ancora nei giorni che verranno.

 

RUMORE SORDO

La casa circondariale di Varese, conosciuta come “carceri dei Miogni”, è un edificio risalente al 1893, una struttura molto fatiscente in cui sono rinchiusi circa 70/75 detenuti (capienza regolamentare 54) e lavorano circa 50/55 guardie carcerarie (previsti pianta organica 76). Non è nuovo alle cronache per il pessimo stato in cui vivono i detenuti; anche noi abbiamo riportato su questo blog alcuni episodi qui e qui.
In questi giorni gli abitanti del vicinato si sono lamentati perché i detenuti hanno fatto “battitura”, picchiando le pentole contro le sbarre per protestare contro le cattive condizioni igieniche in cui sono costretti a “vivere”. Ci auguriamo che la notte non porti consiglio, ma solo tanto rumore ancora e tanto disturbo per i benpensanti varesini.

MIGRANTI A VARESE

Giornata movimentata quella di mercoledì 26 luglio per i migranti che vivono nello stabile di via dei mille a Busto Arsizio. Questi hanno preso il treno in direzione Varese, dopo aver messo in piedi un piccolo corteo che ha attraversato le strade della città bustocca. Una volta arrivati alla stazione del capoluogo, ad attenderli c’erano i soliti sgherri in divisa e non, con dispositivi antisommossa e fare poco amichevole. Dopo averli circondati, li hanno costretti a rimanere in stazione, senza la possibilità che arrivassero in prefettura, come era nelle loro volontà. Solo una delegazione ha potuto raggiungere il palazzo del Prefetto, dove hanno fatto presente la marea di nefandezze cui sono costretti a sottostare a causa della gestione da parte del duo Garavello-Balansino, proprietari della KB srl. Con lo striscione che riportava la loro contrarietà alla gestione da parte della cooperativa, hanno presidiato la stazione per tutta notte, controllati a vista da digos, celere e sbirraglia di ogni tipo. Solo giovedì mattina hanno smontato per far ritorno a Busto. Subito è partita la canea mediatica con protagonisti politicanti vari della zona, tra cui il sindaco di Varese, della quale non riportiamo niente per rispetto dell’intelligenza umana.

SENZA DIGNITÀ

Gli agenti di Polizia Penitenziaria di Varese si sono recentemente lamentati della mancanza di fondi per materiali di cancelleria e forniture di vario genere. «Ci troviamo a lavorare in condizioni inaccettabili, eppure non accade nulla. Tutti i nostri motivi di lamentela sono stati esposti più volte al direttore, ma la risposta è sempre la stessa: non si può fare niente perché non ci sono i soldi. Una risposta che non possiamo più accettare per la nostra dignità e quella del nostro lavoro.» Ebbene sì, hanno parlato davvero di dignità.

ONORE!

Qualche giorno fa un vecchio partigiano stava tenendo un incontro con un gruppo di giovani scout sul monte San Martino, luogo simbolo della lotta partigiana contro i repubblichini nel varesotto.
Mentre parlava il partigiano “Pippo” sono giunti sul posto due macchine di nazisti che hanno iniziato a riprendere il discorso e intimidire i presenti: “sappiamo chi siete, veniamo a trovarvi”.
Onore!

UNO SGUARDO PIÙ AMPIO: RIDISEGNAMENTO URBANO E CONTROLLO SOCIALE

URBANISTICA, CONTROLLO, ECONOMIA.
CHE DIREZIONE HANNO I CAMBIAMENTI NELLE NOSTRE CITTÀ?

Seconda parte
UNO SGUARDO PIÙ AMPIO:
RIDISEGNAMENTO URBANO E CONTROLLO SOCIALE

Se nella prima parte di questo contributo ci siamo soffermati ad analizzare le dinamiche che legano urbanistica, controllo ed economia nella città di Saronno, in questa seconda parte del testo ci vorremmo soffermare in un’analisi un po’ più ampia di questi macro argomenti.
Ci interessa approfondire la questione del controllo pervasivo che caratterizza l’abitare in zone metropolitane, con lo sviluppo di nuove tecnologie ad hoc – come le telecamere intelligenti – e la relazione tra queste e il percepire se stessi all’interno di uno spazio urbano.
Quindi vireremo leggermente verso i cambiamenti urbanistici e architettonici nelle nostre città, in particolare al nesso tra gentrificazione degli spazi e gentrificazione della popolazione in senso classista.

1. “La sicurezza è libertà”: unidimensionalità dell’immaginario e controllo sociale

“Io non cammino, non marcio: strascico i piedi, io, mi fermo per strada, addirittura torno indietro, guardo di qua e guardo di là,anche quando non c’è da traversare.
[…] E poi mi sono accorto che andando in centro trovi sì qualche conoscenza,
ma ti accorgi subito che la tua conoscenza è un fatto puramente ottico.
Non trovi le persone, ma soltanto la loro immagine, il loro spettro, trovi i baccelloni, gli ultracorpi, gli ectoplasmi.”
Da “La Vita Agra” – L. Bianciardi

Nelle strade dei centri urbani, più o meno piccoli, è sempre più presente ed asfissiante la presenza di dispositivi di controllo di vario genere. Rispetto ad anni fa, in cui il controllo sociale avveniva solo nei confronti di chi varcava il confine della legalità, esso ha preso una dimensione totalizzante. Siamo passati da una sorveglianza mirata, ad una forma potenzialmente mirata. Un esempio su tutti che utilizzeremo come modello: alcune delle moderne telecamere segnalano chi, in base agli spostamenti o al fatto che rimanga fermo per troppo tempo rispetto ad una media prestabilita, risulta essere un soggetto sospetto.
Questo modello di sviluppo tecnologico basato sul controllo della stanzialità lo si è sperimentato nella città di Londra. Dopo gli attentati del 7 luglio 2005, sono state installate nelle stazioni dei mezzi pubblici (treni e metropolitana), questo tipo di telecamere che riconoscono automaticamente e segnalano i soggetti quando non escono dal raggio di queste entro un determinato periodo, situazione ritenuta non ordinaria per questi luoghi di transito.
Questo stato di sorveglianza onnipresente ci mette in una condizione sociale di sudditanza.
Il suddito è colui che passivamente accetta e subisce le pratiche che il Potere mette in atto nei suoi confronti, talvolta invocandole e mettendole in pratica lui stesso. Non sono rari infatti gli episodi di denuncia nei confronti di atti illegali di poco conto (furtarelli, venditori abusivi e quisquilie varie).
Di più. Sempre più diffusa all’interno delle città è la pratica delle zone a controllo del vicinato. I cittadini stessi si autoproclamano controllori volti a tutelare l’ordine nel proprio quartiere, segnalando alla Polizia ogni persona ritenuta sospetta poiché fuori dalle logiche della normalità.
Pensiamo che l’attuazione di questa dinamica non sia un fatto casuale ma consequenziale ad una pianificazione e ad una prospettiva ben delineate. Il Potere ha sempre avuto bisogno di rendere il cittadino partecipe della sua pratica poliziesca, individuandovi, oltre che un suddito, un complice. Oggi questo viene strumentalizzato dalla normalità conforme, diventando una protesi capillarmente diffusa del Potere stesso. Ciò abbassa ulteriormente la possibilità di diserzioni e ribellioni di ogni tipo. Il controllo diventa auspicabile poiché il bravo cittadino non ha nulla da nascondere; i trasgressori (o sospetti tali) vanno puniti, anche preventivamente, poiché fuori da ogni schema indotto. Dopo aver ribaltato il falso in reale, il Potere ha ulteriormente reso questa realtà l’unica possibile. Il reale diventa razionale. La razionalità crea il suo modello, da riprodurre e difendere. Il Potere, sempre più pervasivo e difficilmente percepibile, applica così la sua funzione normalizzatrice sulle vite degli individui.
Tutto ciò aumenta esponenzialmente se aggiungiamo tutti i dispositivi tecnologici che utilizziamo quotidianamente e che ci tracciano in ogni spostamento e/o comunicazione (con lo smartphone, con la connessione ad internet e con strumenti gps di ogni genere).
Questi dispositivi, umani e tecnologici, si introiettano a tal punto nella quotidianità, da dissuadere la maggior parte delle persone dal compiere qualsiasi tipo di atto ritenuto difforme rispetto alla normalità; non in quanto costantemente controllati, ma in quanto potenzialmente controllabili in qualsiasi momento.

2. Be happy, be smart:
rimodellamenti urbani nella città del dominio

“Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono:
ogni città va somigliando a tutte le città,
i luoghi si scambiano forma ordine distanze,
un pulviscolo informe invade i continenti.
[…] È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici
o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni
e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui
i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.”
“Le Città Invisibili” – I. Calvino

2.1 Un esempio:
dalla Parigi barricadiera a quella dei gran boulevard
Un esempio emblematico di piano di sviluppo urbanistico dominante e totalizzante lo si ritrova nella riorganizzazione urbanistica di Parigi tra il 1852 e il 1870. Questo tipo di assetto fu preso come esempio ad hoc per la ricostruzione e l’ammodernamento di molte capitali europee, dalla fine dell’ottocento fino a dopo la seconda guerra mondiale, ed è ancora oggi oggetto di studio e modello esemplare della metropoli del controllo. In prima battuta lo Stato procedette ad espropriare i terreni interessati dai piani di rinnovamento. Poi demolì gli immobili presenti e costruì nuovi assi viari attrezzati (dotati cioè di acqua, gas, fognature). Per trovare il denaro necessario a queste operazioni si ricorse massicciamente a prestiti bancari e pubblici, da 50 a 80 milioni di Franchi l’anno. Lo Stato avrebbe poi recuperato il denaro ricevuto in prestito rivendendo i terreni urbanizzati in lotti separati a soggetti che avrebbero poi dovuto costruire nuovi immobili rispettando un pacchetto di regole precise. Questo sistema consentì di dedicare ogni anno ai lavori di urbanizzazione risorse economiche raddoppiate rispetto a quelle normali del budget municipale. dan-morin-parigi_invasa_dagli_operai_demolitori-copiaParigi invasa dagli operai demolitori
(LE MONDE ULLUSTRE 1860 N. 143)

Prima della riurbanizzazione, Parigi non rassomigliava molto a quella che conosciamo oggi, sembrava più una città medievale con vicoli stretti, abitazioni ammassate disordinatamente nel centro e vie buie, abitate perlopiù dalla classe lavoratrice e da sottoproletari. Le classi medie “rispettabili” erano terrorizzate dal centro della città, storicamente focolaio di rivolte popolari e sommosse contro le classi dominanti, dalla Rivoluzione del 1789 ai “più recenti” moti del 1848. Haussmann, regista di questa vera e propria ricostruzione, fece radere al suolo questa parte della città, sostituendola con i Grand boulevard: strade ampie con incroci ad angolo retto che facilitavano i movimenti di truppe e la rimozione di barricate. Haussmann stesso ebbe a dire: “Abbiamo sventrato la vecchia Parigi, il quartiere delle rivolte e delle barricate, e aperto pezzo a pezzo un’ampia breccia nell’intrico impenetrabile dei vicoli”.

paris1853_grandeParigi 1853

Parigi_sventra_grande_1876Parigi 1876
Gli operai vennero espulsi dal centro cittadino e spinti nei quartieri collinari, come Belleville e Montmartre, che sarebbero poi diventati le roccaforti della Comune. La costruzione della nuova rete di boulevards oltre ad avere, come citato sopra, una valenza di ordine pubblico – non va dimenticato, infatti, che Haussmann oltre ad essere un architetto e urbanista era in primo luogo un Prefetto di Polizia – ne aveva altre due: la prima, di tipo economico, consisteva nel favorire gli investimenti privati (spesso al limite della speculazione edilizia) mobilitando una gran massa di capitali e determinando un vigoroso e generalizzato rilancio economico dei settori edilizio e commerciale; la seconda valenza, di tipo sociale, era quella di costituire il nuovo salotto buono della Parigi borghese e imprenditoriale, desiderosa di proporsi come la vera e unica, Capitale morale e culturale d’Europa, ricca di teatri, musei, ristoranti e caffè alla moda.
In poche parole quella che oggi chiameremmo città vetrina.

2.2 Urbanistica
Citando l’esempio della Parigi ottocentesca abbiamo voluto dimostrare – qualora ce ne fosse bisogno – come urbanistica e Potere (o controllo della città, che dir si voglia) sono strettamente legati.
Nelle nostre città si respira un’aria diversa. L’ideologia dominante è riuscita a fare vedere nella guerra ai poveri l’unica via verso l’uscita dalla crisi, primo fondamentale passo della stretta securitaria cui stiamo assistendo. L’aspetto di questa deriva securitaria lo si riscontra non solo sul piano dei dispositivi di controllo e repressione, ma anche in un ridisegnamento del paesaggio urbano. Questo tipo di mutamento foraggia non solo le esigenze di controllo del Potere ma anche il profitto e la speculazione sia di amministrazioni comunali sia di imprenditori edili. Lo scopo di questa nuova pianificazione urbana è quindi quello di dividere ed atomizzare sempre di più gli individui, smistarli, filtrarli e canalizzarli.
Al vecchio modello di “città fortezza” si va sempre più affermando un nuovo metodo architettonico di “gestione dei flussi dell’uomo/merce” in modo da eliminare ogni possibile rischio di attrito sociale e umano. Per scongiurare questi possibili attriti la gestione urbana si prodiga sempre più nel garantire un flusso continuativo per le sue strade: da una parte progetta la limitazione – se non l’annullamento – di luoghi “riparati e angusti” quali vicoli, portici e strettoie in quanto favorevoli all’elusione del controllo, dall’altra limita gli incroci e progetta strade sempre più grandi dove possibili scenari di scontro e sommossa sarebbero più problematici. Dal punto di vista dell’urbanistica, rilevanti sono quei piccoli provvedimenti presi per disincentivare alcuni comportamenti e alcuni modi di vivere nella città. Ci riferiamo ai dissuasori sonori installati nelle stazioni, oppure l’evoluzione di un oggetto comune come la panchina, resa sempre più scomoda e piccola – fino alle panchine monoposto installate a Varese – per impedire che a qualcuno venga in mente di dormirci.

2.3 Bonifica della povertà:
economia e popolazione durante la gentrificazione

“E Marisa disse:
«Hai trovato diverso il Quartiere. Ma la gente c’è ancora tutta, lo sai.
Si è ammassata nelle case rimaste in piedi
come se si fosse voluta barricare.

Quei pochi che sono andati ad abitare alla periferia,
dove c’è l’aria aperta e il sole,
nel Quartiere li considerano quasi dei disertori».
«Infatti» le risposi.
«Anche l’aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate.»”
“Il Quartiere” – V. Pratolini

Il conflitto sociale però non è qualcosa di così prevedibile e così gestibile, e il crescente impoverimento della popolazione non lascia dormir sonni tranquilli ad urbanisti e governanti.
I problemi, cioè la povertà e il disagio sociale, devono essere nascosti sotto il tappeto, come la polvere. A questo serve la gentrificazione: una sostituzione programmata e studiata della popolazione abitante un certo quartiere, una certa porzione di città. Altrimenti il gioco si incepperebbe in partenza: affitti più costosi necessitano di stipendi più abbondanti, quindi di lavori più remunerativi e di negozi all’altezza. Chi può spendere 20 euro due volte alla settimana dal barbiere? Non in molti. Allora è necessario che al barbiere hipster all’ultimo grido si accompagni la palazzina nuova abitata da giovani benestanti e col portafoglio gonfio.
Salta all’occhio la trasformazione, già compiuta, del cittadino come cliente. Ancora una volta per rendere meglio il processo in atto prendiamo ad archetipo la trasformazione avvenuta, e in corso, negli stadi italiani. Dallo stadio come spazio sociale – pur con tutte le sue contraddizioni – degli anni 70, 80 e 90, con capienze sempre maggiori per accogliere la sempre maggiore partecipazione nei diversi strati della popolazione e con prezzi quindi tendenzialmente adeguati alle differenze di classe, allo stadio come spazio di consumo e di profitto, dove a interessare sono i conti a fine partita e a fine anno. Non importa più rendere lo stadio accessibile a tutti. Infatti nei nuovi stadi – come lo Juventus Stadium – si riducono i posti a sedere e si punta tutto sul selezionare il tipo di spettatore. Con uno stadio più piccolo si potranno alzare agevolmente i prezzi dei biglietti, senza perdere in fattore di profitto. Si cerca di sostituire il tifoso classico con un tifoso-cliente. Per questo, nei nuovi stadi, centrali diventano tutte le attività ludico-consumistiche annesse alla partita, per trasformare l’evento in un momento monetizzabile al massimo.
Si sente parlare di riqualificazione, quasi a dare a questo progetto urbanistico e politico una valenza neutra, non di parte. Ma dietro a queste trasformazioni di quartieri e fette di città, la realtà è ben diversa: sotto questa progettualità smart, accattivante, veloce e moderna, le varie amministrazioni smantellano, mutano e sgomberano porzioni di città, svendendole a capitali privati.
Come negli stadi, tramite piccole trasformazioni strutturali, sono riusciti ad ottenere in maniera piuttosto indolore la trasformazione del tifoso in tifoso-cliente, così con la gentrificazione, e tutti i decreti legge correlati alla gestione e al controllo della città, cercano di trasformare il cittadino in cliente.

2.4 Repressione? Rompere la gabbia

“L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali,
le autorità costituite… L’uso della libertà, che tende a fare
di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente
le nostre sacrosante funzioni.
Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata;
ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino!
Repressione è civiltà!”
“Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”

Per rendere accattivanti a questi capitali certe zone, è necessaria, parallelamente al processo urbanistico, una vera e propria bonifica della povertà. La guerra ai poveri è in atto ogni giorno ed è straordinario il lavoro ideologico che la sottende, perché sono pochissimi gli occhi che la riconoscono. Ma anche questi pochi occhi sono un ostacolo alla trasformazione della città e quindi, insieme ai poveri, gli altri banditi (cioè messi al bando) sono coloro che si ostinano a lottare contro tutto ciò. Non a caso, al procedere dell’urbanistica e della bonifica della povertà, si accompagna anche un innalzamento della repressione per allontanare le presenze conflittuali, viste come fiammiferi in una polveriera.
Interessante a riguardo l’indirizzo degli ultimi provvedimenti in materia di repressione. Il decreto Minniti affila alcune delle armi più usate contro i conflitti sociali: foglio di via e sorveglianza speciale. In aggiunta regala ai sindaci il cosiddetto daspo urbano, con cui si potranno allontanare gli indesiderati senza le lungaggini e gli intoppi dell’iter burocratico del foglio di via.
Nel legiferare sul foglio di via salta all’occhio che viene resa più severa l’eventuale violazione – pratica diffusa per quanto riguarda il foglio di via, che ne ha disinnescato il potere repressivo. Non a caso; infatti il foglio di via – così come il suo fratello comunemente noto come daspo urbano – è la misura di allontanamento poliziesco per eccellenza. Senza condanna, solo sulla base di un pregiudizio poliziesco, una persona può essere allontanata da una zona. È evidente come in zone di riqualificazione, o di conflittualità manifesta, questo sia uno strumento chiave per il Potere, capace – se reso efficace – di allontanare le presenze scomode.
Il loro obiettivo? Creare zone bonificate da povertà e conflittualità.
Eppure, malgrado urbanistica securitaria e controllo poliziesco sempre più pervasivo, la rabbia continua ad esplodere. Il nuovo millennio è costellato di rivolte, da Ferguson a Tottenham, da Parigi a Baltimora. Protagonisti di questi tumulti sono i giovani abitanti dei quartieri periferici.
“Lungi dall’essere il residuo marginale di un sottoproletariato in via di sparizione, la racaille è l’estremo prodotto dell’alienazione urbana, tanto da divenire paradigma di una situazione sociale in costante aumento. Al contrario dei blousons noirs degli anni’60, figli degli operai della grande fabbrica fordista interna alla città, questi nuovi soggetti urbani non hanno alcun senso di appartenenza nei confronti del loro quartiere e del loro spazio di vita. Prodotto della dislocazione e dell’esclusione sociale, i racailleux vivono il proprio quartiere come i detenuti la propria cella.”
Alleanze ingovernabili contro lo stato di emergenza e il potere neocoloniale in Francia – Effimera

 

“Parallelamente al Capitale, chi si organizza per attaccarlo, o semplicemente per sopravvivergli, trova anch’esso le proprie geografie. Case occupate, strade discrete, vicini solidali, rifugi estemporanei e complicità sovversive.
Erigere un confine significa tagliare queste rotte, frapporsi tra l’individuo e il suo mondo ponendone delle condizioni di accesso.
Se sei produttivo e lavori sotto salario, se hai una residenza rintracciabile, se la liceità dei tuoi interessi è comprovata ti è concesso rimanere, fino a nuovo ordine.
La legalità dell’abitare è sottomessa al suo essere economia, nell’accezione più ampia del termine.
In una città dove ci sono più alberghi che case rivendichiamo il nostro abitare illegalmente, la possibilità di vivere ovunque si trovino dei validi motivi per farlo.
Rivendichiamo l’improduttività economica delle nostre vite, tutti i nostri illeciti interessi, la criminalità dei nostri affetti, la pericolosità di pensare di poter fare a meno di prigioni e carcerieri.”
“Sul Momento” – Il Pipandro