CONDANNA PROCESSO EX-CUEM BIS

Mercoledì scorso (27 febbraio) è stata comunicata la sentenza della cassazione riguardante il processo “Ex-Cuem bis”. La sentenza ha confermato la condanna per tutti gli imputati a quattro mesi (considerato lo sconto di un terzo della pena per rito abbreviato). Data l’aria che si respira in questo Paese dopo le ultime elezioni politiche, questa sentenza non giunge inaspettata. La criminalizzazione di ogni tipo di tentativo di rispondere ai bisogni più comuni in maniera collettiva senza passare attraverso canali istituzionali non è, senza dubbio, una novità degli ultimi anni, ma è una lezione che il governo attuale ha imparato benissimo dai suoi predecessori.

Basti guardare le operazioni repressive di Milano, di Torino e di Trento: proprio in questo quadro di repressione sistematica l’esperienza dell’Ex-Cuem, come tentativo di costruire una risposta collettiva ai nostri bisogni, diventa un bagaglio della nostra storia recente che non possiamo permetterci di dimenticare.
Non vogliamo parlare di quanto o come questo processo sia stato una farsa. Di come quel giorno noi imputati assieme all’altra cinquantina di studenti presenti avessimo deciso di rimanere dentro l’Università, e di difendere ciò che ci era stato tolto con la forza. Non eravamo certo disposti a rinunciare: tanto basta per essere considerati “colpevoli” di resistenza.

A ben vedere, ciò che più fa specie, è che i nuovi studenti dell’Università in via Festa del Perdono, che passano per i corridoi tra una lezione e l’altra, non sappiano nulla di cosa sia stata l’Ex-Cuem. Nella loro narrazione avvelenata professori, rettore e vari media hanno fatto passare la libreria Ex-Cuem come il punto di raccolta di una pericolosa banda di scappati di casa, senza voglia di studiare, e chiaramente senza mai approfondire quel che succedeva effettivamente dentro (e fuori) quelle quattro mura.

La nostra voglia di studiare è dovuta alla nostra voglia di costruire, di cambiare, di distruggere, di ribaltare lo stato di cose attuali, uno stato di cose che ci sta portando all’autodistruzione come genere umano e di cui voi Professori spesso ne insegnate le basi e ne difendete i confini. Questa è una voglia che non si può liquidare con dei commenti di poco spessore sul chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Abbiamo affinato il nostro occhio critico, sviluppando uno sguardo che ormai è lontano da quello di chi vive nelle “torri d’avorio”, torri nelle quali si lavora alimentando il distacco tra il mondo Accademico e Scientifico e il resto della società civile; le Università, ormai aziende a tutti gli effetti, si sentono deresponsabilizzate da tutto ciò che accade al di fuori di loro.

Al contrario, un’esperienza come quella della libreria Ex-Cuem non traeva forza solo dalla risposta autorganizzata che forniva a tutte le mancanze dell’università (come ad esempio l’aula studio serale, le fotocopie ad offerta libera e la circolazione libera e gratuita del materiale universitario), ma anche dal tentativo di far da ponte tra l’università e il resto della città. A tal proposito sono stati condotti diversi laboratori, conferenze ed eventi culturali a vario titolo (come presentazioni di libri e performance artistiche) in grado di rivolgersi anche al resto della cittadinanza. Ebbene, la potenza dell’Ex-cuem non si esaurisce qui. È stato un enorme banco di prova per diversi individui, che si sono sperimentati nel costruire un percorso politico e sociale assieme.

Siamo stati condannati a quattro mesi di reclusione per aver preso chiaramente una parte, indipendentemente da questa o quella condotta tenuta il giorno dello sgombero. Il processo in questo senso è stato illuminante. Pochissime prove, tutt’al più testimonianze della Digos che ha visto tizio e caio fare le sentinelle, poi gli altri resistere come meglio abbiamo potuto alla carica. Resisteremmo ancora, e se possibile resisteremmo di più, per tutto quello che l’Ex-Cuem per noi rappresentava.
Ma i desideri e le passioni che hanno costruito l’Ex-Cuem pulsano ancora, resistono agli sfratti, si organizzano contro il sempre più pervasivo attacco ai poveri e agli sfruttati, si incendiano giocando nelle vie di Parigi, provano a tessere trame di solidarietà, studiano, approfondiscono.
Perchè, come scrivemmo sui muri di quella che fu l’Ex-Cuem, “non serve andare lontano, perché sotto ogni asfalto c’è il mare e dietro ogni angolo la luna”.

Gli Amputati