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DAL POZZO CONTRO IL RAZZISMO

Dopo il lamentìo per il presunto boicottaggio, i leghisti di Ceriano Laghetto, Cogliate e Lazzate continuano con il piagnisteo.
Nella frazione Dal Pozzo, luogo scelto per la festa della Lega Nord nella zona delle Groane, è stato distribuito casa per casa un volantino, scritto da alcuni residenti, che mettono in guardia i compaesani dal partecipare a quella che è a tutti gli effetti una festa razzista.
Ecco il testo del volantino:

DAL POZZO, FESTA LEGA NORD: EVENTO ANNULLATO?

“Evento annullato”.
Queste le fascette comparse su molti manifesti che pubblicizzavano la prossima festa della Lega a Dal Pozzo, frazione di Ceriano Laghetto.
Gran sospiro di sollievo nella frazione al confine con Saronno, ma conviene non lasciarsi andare a facili entusiasmi: i leghisti infatti lamentano un tentativo di boicottaggio da parte di vandali notturni.
Come è, come non è: vandali li chiamano loro, antirazzisti li chiamiamo noi.

FASCISTI A LEGNANO

Lo scorso 8 settembre a Legnano ha aperto al pubblico la nuova sede dei fascisti di Lealtà Azione, il progetto politico che è diretta emanazione della Skinhouse di Bollate.
Lealtà Azione ha l’ambizione di diventare in poco tempo una realtà politicamente solida ed estesa sul territorio nazionale. L’ambiente da cui arrivano questi figuri è il circuito hammerskin, in particolare il gruppo che fa riferimento alla Skinhouse di Bollate. Il progetto politico è evidente: uscire dal ghetto, rifiutare l’immaginario legato ai naziskin, darsi una nuova verginità politica e radicarsi nel territorio, puntando ad avere consenso e seguito tra la popolazione.
Per una realtà di naziskin è stato decisamente un cambio radicale, questo cambio ha ricevuto diversi seguiti (col tempo si sono affiliati a Lealtà Azione, e al progetto nazionale chiamato Feder-azione, diverse realtà nazionali del circuito hammerskin come Firenze, Genova e Catanzaro), ma non ha ricevuto consenso unanime nella galassia dei naziskin, tant’è che Do.RA (Comunità Militante dei Dodici Raggi) ha deciso di proseguire col proprio nome e il proprio progetto, che poco si integra con quello di Lealtà Azione.
A livello locale i vertici di Lealtà Azione sono quella generazione di naziskin che nei primi anni duemila si è resa protagonista di aggressioni a chiunque non rappresentasse il prototipo dell’italico vigore: alternativi, omosessuali, stranieri, sovversivi etc.
Stefano Del Miglio, leader di Lealtà Azione, era nel gruppo che assalì diversi compagni fuori da Conchetta nel 2004, insieme a Pedrazzoli e altri nazisti dello stesso gruppo. Il progetto politico di Lealtà Azione prevede il diffondersi a macchia di leopardo di sedi e gruppi affliati. Attorno a Bollate, sede della skinhouse aperta nel 2009 e vero cuore pulsante del progetto, negli anni hanno aperto diverse sedi:
Milano, via Giuseppe Govone 35, “Avamposto”
Milano, via Vittorio Pareto 16
Monza, via Dante 3, “Valinor”
Lodi, via Milite Ignoto 8, “Vallum”
Magenta-Abbiategrasso, via Damiano Chiesa 19, Abbiategrasso, “Astrea”
Firenze, via Mario Pagano 12, “Il rifugio”
Genova, viale Cembrano, Sturla, “La superba”

E infine:
Legnano, viale Gorizia 72/A, “Avalon”

E’ evidente che tante sedi, tanti progetti, necessitano di una cassa costantemente rifornita di denaro.
Sugli ingenti fondi di Lealtà Azione ci ritorneremo.
Per ora ci interessa soffermarci sul progetto. Anche sui social e in generale sul web è in corso una ridefinizione dell’identità di Lealtà Azione, sempre più “politica”. Questo, naturalmente, non significa niente affatto che i nazisti hanno deposto le lame e sono ora docili agnellini, tutt’altro. Significa che i due piani su cui agiscono sono ad uno sguardo ingenuo sempre più divisi, restando ovviamente entrambi parte dello stesso agire politico. La scommessa di questi anni è quella di governare. Ci sono riusciti a Monza con l’assessore allo sport, ci sono riusciti facendo entrismo nella Lega Nord con Stefano Pavesi in zona8 a Milano. L’ambizione è prima o poi quella di non doversi più mascherare indossando abiti altrui, ma di presentarsi col proprio simbolo.

Perchè Legnano
Legnano perchè dopo essersi sviluppati nel sud milanese con Magenta-Abbiategrasso e Lodi, a nord est con Monza, avevano bisogno di una sede nel nord/nord ovest milanese.
Ci provarono ormai tre anni fa con Saronno, prima organizzando un evento tramite la sigla Wolf of the ring, patrocinato dalla giunta Fagioli (Lega Nord) e assessore Guaglianone (Doma Nunch), poi organizzando un incontro contro l’aborto all’auditorium Aldo Moro insieme a FdI e l’allora consigliere comunale Alfonso Indelicato e infine organizzando un concerto dei Malnatt all’Old Jesse in via Maestri del Lavoro.
La risposta degli antifascisti fu convincente, e i nazisti cambiarono mira.
Escludendo le altre città in provincia con realtà conflittuali, escludendo Busto Arsizio che nella galassia dell’estrema destra è già occupata, rimaneva Legnano, e così è stato.
A riprova di come il progetto prevedesse inizialmente la sede a Saronno c’è il fatto che responsabile della sezione legnanese è Alessandro Liburdi, classe 1993, aspirante hammerskin del saronnese che ha fatto inizialmente da trait d’union tra il mondo di Lealtà Azione e l’estrema destra saronnese, nella fattispecie Fronte Ribelle e Doma Nunch.

E allora?
Tirando le fila del discorso appare evidente il progetto politico di Lealtà Azione, che necessita di una verginità tanto politica quanto “giudiziaria”. È per questo che Lealtà Azione, in questa fase, non ricerca la guerra tra bande contrapposte. Questo non significa affatto che non usino la violenza, solo viene fatta secondo tempi e modi che reputano non inficiare il consenso che stanno ricercando.
E quindi va bene fare appostamenti notturni a chi esce da un circolo di aggregazione a Saronno va meno bene ritrovarsi manifestazioni e azioni dirette contro le proprie iniziative, perchè questo macchia l’immagine candida e pura che vogliono darsi.
E quindi?

Le note musicale non sono che cinque, ma le loro melodie sono così numerose che nessuno può dire di averle udite tutte.
I colori fondamentali non sono che cinque, ma le loro combinazioni sono così tante che nessuno può immaginarle tutte.
Cinque soltanto sono i sapori, ma le loro mescolanze sono così varie che nessuno può dire di averle gustate tutte.
Le azioni d’attacco in battaglia sono soltanto due: l’attacco frontale ordinario e quello laterale di sorpresa, ma le loro combinazioni sono infinite e nessuno può dire di conoscerle tutte.
Sun Tzu, L’arte della guerra

IN SCIOPERO I DRIVERS DI AMAZON

Ieri mattina, 14 Settembre 2018, gli addetti alle consegne di Amazon hanno deciso di scioperare e bloccare la distribuzione, picchettando alcuni magazzini del nord Italia, tra cui quello di Origgio in provincia di Varese. In realtà non si tratta del primo sciopero dei lavoratori di Amazon, come già raccontammo tempo fa (https://www.autistici.org/lostroligh/origgio-sciopero-amazon/).

Amazon è un colosso americano del cosiddetto /E-Commerce/ intenzionato ad assumere il monopolio esclusivo nella distribuzione delle merci su scala globale. E sembra proprio che ci stia riuscendo rapidamente, se si analizzano i dati di un’estensione sul mercato con percentuali elevatissime e di un fatturato che cresce quasi esponenzialmente e senza segni di rallentamento, anno dopo anno.

Questo è reso possibile grazie ad una enorme quantità di merce di ogni tipologia, sempre disponibile nei magazzini, venduta a prezzi ultra-competitivi e consegnata in tempi rapidissimi. È un modello che per funzionare presuppone uno sfruttamento della forza lavoro a livelli inumani. E questa parola non è un’esagerazione o un’allegoria: lo sfruttamento è realmente inumano in quanto non più deciso da esseri umani in carne ed ossa, ma da un algoritmo a cui tutti si devono sottomettere. Il compito degli esseri umani, addetti allo sfruttamento, è semplicemente quello di verificare che tempi, ritmi e quantità di lavoro stabiliti dall’algoritmo vengano sempre rispettati. In caso negativo i lavoratori vengono messi sotto pressione, redarguiti, vessati e puniti. A completare il quadro, si aggiungono le condizioni contrattuali che garantiscono ad Amazon la ricattabilità più assoluta dei lavoratori, costretti ad obbedire senza battere ciglio, nel terrore costante di essere cacciati.

E questo dispositivo dell’algoritmo si applica sia ai lavoratori dei magazzini, che a quelli addetti alle consegne. Sono proprio questi ultimi, coloro che hanno deciso di paralizzare lo smistamento dei pacchi nella giornata di ieri. Infatti, l’introduzione di Amazon della consegna in giornata attiva sul territorio di Milano da Maggio, ha prodotto un forte incremento nel numero degli ordini e delle consegne. A questo però non è seguito un incremento nell’organico dei corrieri, rimasto pressoché invariato. Non serve un genio in matematica per comprendere che il carico di lavoro si è fatto ancor più insostenibile, sottoponendo i lavoratori ad una mole di consegne quasi doppia, rispetto a quella dei loro colleghi di altre aziende (circa 150 giornaliere, contro le 70-80 degli altri corrieri). E non bisogna dimenticare che anche la situazione di questi lavoratori di altre aziende non è proprio rosea, tutt’altro: un letamaio di padroni e padroncini, cooperative, subappalti e paghe quasi sempre misere associate anche qui a turni e carichi di lavoro massacranti.

OSPEDALE UNICO: LA MENZOGNA NON È NEL DISCORSO, È NELLE COSE

In questi giorni, abbiamo appreso dalla stampa locale, la possibilità che il pronto soccorso di Gallarate venga definitivamente chiuso e trasferito a Busto Arsizio. La situazione viene descritta come drammatica a causa dell’organico insufficiente presso la struttura Gallaratese.

Le cause di questa situazione sono da imputare alla gestione scellerata e simil-mafiosa della sanità lombarda ad opera delle giunte susseguitesi negli ultimi anni. Privatizzazioni, tagli di spesa, esternalizzazione dei servizi, superticket, gestione aziendale-industriale delle strutture ospedaliere, mazzette e porcheria similare: la sanità lombarda rappresenta davvero un’avanguardia a livello nazionale. Che poi ci sia una giunta a traino ciellino (Formigoni), o a traino legaiolo (Maroni prima, Fontana ora), poco cambia: quello della sanità è un affare succulento attraverso il quale generare parecchi profitti.

I vari partiti politici che si susseguono, non rappresentano null’altro che gli interessi dei differenti gruppi di affaristi in competizione o in combutta tra loro per spartirsi le fette di questa ricchissima torta. Capita, a volte, che qualche testa salti o che qualcuno venga pizzicato con le mani nel sacco, ma si sa: nell’epoca dell’informazione ultraveloce, le persone tendono a dimenticare rapidamente, e basta solo attendere che si calmino un po’ le acque per ricominciare ad arraffare.

Certo, la tutela della salute passa assolutamente in secondo piano, ma questo conta poco. Così come poco contano i disagi, che scelte come quella di chiudere il pronto soccorso Gallaratese, potrebbero comportare nei confronti dei residenti nella zona.
Ma questa non è una decisione casuale, o come vorrebbero far credere emergenziale, bensì è inclusa pienamente nella progettualità della giunta regionale leghista che prevede accorpamenti tra due o più strutture ospedaliere a livello locale, allo scopo di alleggerire la spesa sanitaria.

Gallarate e Busto Arsizio ne sono coinvolte, e secondo stampa e leghisti, la costruzione di questo fantomatico ospedale unico sarebbe la panacea di tutti i mali. Eppure la proposta di chiudere il pronto soccorso di Gallarate, è da intendersi proprio come un primo passaggio verso ciò che poi si verificherà con la costruzione dell’ospedale unico: la diminuzione complessiva di organico, prestazioni erogate e posti letto disponibili. Questo comporterà pesantissimi disagi, nei confronti di coloro che perderanno il lavoro o verranno trasferiti, e nei confronti dei pazienti che non potranno permettersi il lusso del ricovero presso strutture private, e saranno costretti a lunghe attese o a migrare presso altri ospedali. Non è fantascienza immaginare che molti pazienti potrebbero essere piazzati in qualche struttura convenzionata con la Regione, magari gestita da qualche amico di amici bisognoso di gonfiarsi le tasche.

E l’ipocrisia del sindaco Cassani non tende a farsi attendere: si dichiara pronto a schierarsi al fianco dei suoi cittadini e a fare le barricate per difendere il pronto soccorso, tralasciando il fatto che questa decisione è conseguenza di una politica ben precisa, dettata proprio dallo stesso partito di cui fa parte.

GALLARATE: ESERCITO CONTRO I POVERI

Ci risiamo. Il sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, ne ha sparata un’altra delle sue. È più forte di lui, il nostro Salvinetto di provincia, non vuole assolutamente essere da meno rispetto all’originale in quanto a sparate e pagliacciate sul web.
Ci sarebbe da ridere, se non fosse che poi, i danni partoriti dalle menti di questi soggetti hanno conseguenze (a volte tragiche) sulle vite di tutti noi.
Alcuni giorni fa, in preparazione alla visita del sottosegretario all’interno Candiani (altro legaiolo di provincia simile ai due citati poco sopra), avvenuta a Gallarate durante la giornata di oggi (18 Giugno 2018), Cassani aveva dichiarato a mezzo stampa, la sua intenzione di richiedere un presidio dell’esercito presso la stazione ferroviaria. Le sue testuali parole: «In Toscana ci sono unità dell’Esercito in cittadine di 40 mila abitanti, io penso che Gallarate, anche per il ruolo nevralgico della sua stazione, possa ambire ad avere un presidio».
Insomma, sembra che Cassani si stia preparando ad una guerra civile. Verrebbe da chiedersi contro chi, dal momento che lo scalo ferroviario gallaratese non sembra essere un teatro di guerra, e gli unici episodi riportati dalla cronaca sono quelli di alcune risse tra persone alticce ad una certa ora della notte e qualche imbrattamento.
Le persone considerate –problematiche– sono quei poveracci che in mancanza di un reddito e un posto dove stare, trascorrono lì la maggior parte del loro tempo, arrivando financo ad importunare i viaggiatori per raggranellare qualche monetina.
Che Cassani voglia condurre la guerra proprio contro di loro? Beh, se così fosse, la cosa non stupirebbe affatto: è rinomato che quando si tratta di andare contro chi non ha nulla, i leghisti dimostrano sempre grande audacia e spavalderia. Qualità che scompaiono quando si trovano davanti a ricchi e potenti, con i quali si trasformano in docili e servili agnellini, o peggio in fedelissimi cani da guardia.
Note a fondo: al termine dell’incontro, Candiani ha smorzato l’entusiasmo del rampollo gallaratese, dichiarandosi prima disponibile ad affrontare la richiesta, per poi quasi immediatamente aggiungere : «Non è detto che vedere ogni giorno l’esercito in stazione crei più percezione di sicurezza o se invece suscita un qualche apprensione nei cittadini»

MENSA OBBLIGATORIA O CALCI NEL CULO

Il sindaco di Limbiate, Antonio Romeo, ha comunicato che nella giornata del 4 aprile è stata distribuita a a tutti gli utenti del servizio di refezione scolastica la lettera aperta in cui il sindaco Romeo ufficializza la drastica decisione di non erogare i pasti in mensa ai bambini non in regola con i pagamenti.
Il comune, attraverso il gestore, gestisce la mensa scolastica. I dati forniti da Romeo sono i seguenti: su 2200 utenti, sono 1550 coloro che hanno ancora un debito con l’amministrazione per l’anno in corso.
Un incontro svoltosi nei giorni scorsi tra il sindaco e i dirigenti scolastici ha chiarito quanto accadrà dal 2 maggio a coloro che non avranno saldato il debito: i bambini non avranno diritto all’erogazione del pasto e le loro famiglie dovranno pertanto richiedere ai dirigenti scolastici l’autorizzazione all‘uscita da scuola durante il turno mensa.
Ai genitori quindi rimangono due scelte, considerata l’impossibilità di introdurre cibi esterni a scuola (ipotesi scartata per l’impossibilità, come da regolamento igienico, di far consumare un pranzo al sacco all’interno degli spazi scolastici ai bambini non iscritti alla mensa): l’adesione alla refezione regolarmente pagata, oppure l’uscita e poi il rientro a scuola.
Ecco il bel quadretto.
Prima si vieta l’autosufficienza, imponendo il divieto di consumare a scuola il cibo preparato dai genitori o dai nonni, e poi si obbliga a pagare per restare a scuola durante l’orario della mensa.
Mense che assomigliano sempre più a riformatori, con una qualità del cibo infima, e bambini che assomigliano sempre più a numeri su cui lucrare.

BOMBA A OROLOGERIA

La discarica di Gerenzano continua a rimanere una bomba ecologica, segnalata anche nell’elenco dei siti più inquinati della Regione Lombardia.

Un brevissimo cenno storico per chi non conosce il sito:
La discarica di Gerenzano inizia a esistere nel pieno del boom industriale. Dal 1960 fino al 1984 viene buttato dentro di tutto, scaricano circa 100 aziende che operano dalla chimica farmaceutica alla metallurgia tra cui Montedison, Farmitalia, Chevron Oil Italia e Ciba Geigy. Dal 1985 al 1990, anno della chiusura, sono stati versati soltanto i rifiuti urbani.
L’ impermeabilizzazione della discarica comincia a vacillare intorno al 1987, provocando l’inquinamento della falda acquifera fino a 80 metri di profondità. A questo punto sono stati disposti a valle della discarica, 5 pozzi (uno doveva essere di riserva) con relative pompe che avrebbero dovuto deprimere la falda. Nel 2002 il quinto pozzo entra in funzione a tempo pieno.
Nel 2005 viene costruita un’altra barriera costituita da 3 pozzi con le stesse caratteristiche dei primi 5 pozzi.

Attualmente le pompe risultano inefficienti poiché la falda freatica continua a rimanere alta e di conseguenza a contatto delle sostanze inquinanti che di certo non fanno bene alla salute.
Tempo fa si è costituito un “Comitato per la bonifica della Discarica di Gerenzano” che continua a fare interpellanze, ma a quanto pare le istituzioni non ci sentono. Forse hanno bisogno di prove più concrete per poi dire siamo in emergenza!

UOMO DI MERDA

Il sindaco di Uboldo, Lorenzo Guzzetti, ci ha abituato alla sua linea politica e alle sue dichiarazioni al passo coi tempi di merda in cui viviamo. Si è sempre posto con la verità in tasca, tra un’approssimazione e un po’ di sano realismo. Insomma, se i negri rubano cosa ci possiamo fare noi? Hanno ragione i Traini di turno a sparare. Il problema? Quei monellacci degli antifascisti, che provano a limitare lo spargersi a macchia d’olio del cancro razzista.
In fondo che si sia giunti a centinaia di aggressioni fasciste, con diversi omicidi, poco importa al nostro benemerito. E poco importa pure farne una questione di colore della pelle, come dire:
a Milano, in via Brioschi, il 7 febbraio di quest’anno, una settimana dopo la morte di Pamela, viene uccisa con 40 coltellate, Jessica, una ragazza di 19 anni, da un tranviere milanese? Allora è comprensibile se domani mi metto a uccidere il primo tranviere milanese. Questo non è accaduto e a nessun giornalista o politico di turno è venuto in mente di paragonare queste due atrocità.
Ma la stiamo già tirando troppo per le lunghe, ecco le sue parole, affinché rimangano ben scolpite nella testa di ogni persona:

“Io in 36 anni che vivo a Varese, patria della Lega, non è mai accaduto. Ho amici e nemici leghisti, chi più e chi meno “estremo” ma mai nessuno di loro ha forse pensato di sparare. In 36 anni che vivo a Varese ho vissuto e vivo una settimana si è l’altra pure l’odioso terrorismo di piazza dei centri sociali in nome dell’antifascismo.
Dopo tutto questo il matto era e resta un matto invasato in galera. E non sarò fascista se constato che sono stati fermati dei nigeriani perché presumibilmente hanno violentato una ragazza, l’hanno uccisa e poi l’hanno macellata e scarnificata come voi fate col pollo del supermercato.
Perché non sono fascista a dirlo neanche razzista. Constato la realtà.
Perché se mi chiedete se i nigeriani hanno la pelle scura vi dirò che non è un problema di pelle ma si, hanno la pelle scura. E non sono razzista nè fascista nel dirlo.
Sono semplicemente uno che vede.
A farne le spese sono sempre gli uomini in divisa che devono star dietro a questa massa che in nome “dell’antifa” ne combinano di ogni invece di essere presi rigorosamente a calci in culo. E sinceramente temo di più loro che un invasato come Traini.
Il vero fascismo oggi in Italia è l’antifascismo.
La mia solidarietà massima e sincera a tutte le nostre forze dell’ordine ormai da anni abbandonati da una politica incapace.
Di destra e di sinistra”

CONGELATI O RIMANDATI

«I ragazzi possono fare lezione con i giacconi. Anche noi stiamo lavorando in queste condizioni. Più che avvertire gli uffici competenti non posso fare. Passi per ieri ma oggi la scuola è aperta e funzionante e chi non entra perderà le ore. […] Se i ragazzi si rifiutano di entrare in classe sarò costretta a far loro recuperare le ore perse durante le festività natalizie.».

Così ha tuonato quest’oggi Marina Bianchi, preside dell’istituto Falcone di Gallarate, in risposta ai suoi studenti che si sono rifiutati di entrare a fare lezione in aule nelle quali il termometro segnava 11 gradi. Il problema è legato ad un difetto di progettazione dell’impianto di riscaldamento. Risolverlo ha dei costi proibitivi (circa duecentomila euro) che nessun ente sembra volersi sobbarcare, quindi rimangono due opzioni: o dentro al freddo coi cappotti e senza fare troppe storie, oppure si torna durante le vacanze si torna per recuperare le ore. Insomma un ricatto bello e buono, le cui conseguenze fanno schifo in ognuno dei casi e ricadono su coloro che colpe non ne hanno: gli studenti. Sarà forse colpa loro se la scuola è stata progettata male e poi costruita peggio? Sarà colpa loro se l’impianto di riscaldamento è stato progettato ad minchiam e nelle aule fa quasi più freddo che fuori?

E non parliamo di una struttura fatiscente risalente all’anteguerra o all’altro secolo. L’istituto è di recentissima edificazione e fu coinvolto in una grigia vicenda a causa dei costi che lievitarono esponenzialmente rispetto a quelli previsti, fino a raggiungere gli oltre 22 milioni di Euro: uno scandalo insabbiato in fretta e furia e ormai più che dimenticato dall’opinione pubblica. Se lo ricorderà molto bene l’ex sindaco di Gallarate Nicola Mucci che fece sborsare 13 milioni alle casse del comune, per realizzare quest’opera fiore all’occhiello della sua amministrazione, sponsorizzata poi anche dalle passerelle di ministri e personaggi vari.

22 milioni di Euro, giustificati dal bisogno di costruire una scuola all’avanguardia e ultra moderna, e dopo pochissimi anni bisogna già rattoppare i buchi a causa di una progettazione! Forse chi all’epoca denunciava che la faccenda fosse maleodorante ci aveva visto abbastanza lungo.

Ma quello di Gallarate non è l’unico caso di studenti al freddo che si ribellano: è notizia di oggi che anche gli studenti del Don Milani di Venegono hanno deciso di rimanere fuori dalla scuola per protestare contro il malfunzionamento dei riscaldamenti, e il continuo disinteresse dei responsabili, che non sembrano intenzionati a risolvere la situazione. Qui le temperature hanno raggiunto anche i sei gradi, nelle aule, e i quattro nelle palestre.

Approfittando del bel tempo di questi giorni, la soluzione più pratica, al momento, sembra quella di restare fuori a godersi un po’ di sole.