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RAMPININI DEPORTA, FACCIAMOLA CHIUDERE

Sabato 6 maggio a Fino Mornasco, piccola località in provincia di Como, si è svolto un presidio contro Rampinini SRL, azienda di viaggi e trasporti del comasco. Questa azienda, oltre ad offrire allegre gitarelle presso mercatini natalizi o viaggi in località esotiche, si prodiga anche nella deportazione (prevalentemente) verso l’Hotspot di Taranto dei migranti irregolari fermati lungo la frontiera tra Italia e Svizzera. Il tutto con lauto compenso di 5000 euro per viaggio, gentilmente offerti dal Ministero dell’Interno sotto appalto affidato dalla Prefettura di Como.
L’Hotspot, per chi ancora non lo sapesse, è un centro nel quale il migrante viene ulteriormente differenziato in due sottocategorie: chi può richiedere asilo ed entrare nel circuito della “seconda accoglienza”, dove per mesi dovrà attendere un documento che regolarizzerà il suo stato di nuovo sfruttato a basso costo e chi, semplicemente ritenuto merce di scarto, verrà rinchiuso in un CPR o rilasciato con un decreto di espulsione alla mano. Oltretutto le due categorie non sono ermetiche: una buona parte – circa il 60% – dei richiedenti asilo vengono diniegati ed automaticamente inseriti nella seconda categoria, quella degli “scarti” da espellere.
Durante il presidio, svoltosi di fronte gli uffici della Rampinini, e composto da circa una trentina di persone, è stato volantinato un testo per le vie del paese e alle macchine ferme ai semafori, ribadendo la totale avversione nei confronti di chi specula sulla pelle dei migranti. Notevole il dispiegamento delle forze dell’Ordine composto da due reparti celere, Carabinieri, Polizia Locale e da una decina di agenti della Digos. Ancora una volta, la Questura di Como mostra preventivamente i muscoli contro ogni forma di dissidenza e protesta in difesa di chi si arricchisce sulla miseria e sullo sfruttamento. Malgrado il tempo, l’estate sta arrivando, sia mai che si ritrovi un’altra “patata bollente” tra le mani, come l’estate scorsa alla stazione di Como San Giovanni.

PRESIDI CONTRO I CPR

Dieci giorni fa una ventina di persone ha percorso il centro e il mercato di Como, distribuendo volantini e parlando al megafono, per contrastare la possibile apertura di un CIE (o CPR) in città. Sabato scorso un altro presidio ha ricordato, questa volta alla città di Monza, l’avversione ai proclami del governo in tema di gestione dei flussi migratori. Ultimo di questo ciclo di presidi sarà domenica 5 marzo alle ore 15 in stazione centrale, piazza Duca d’Aosta, Milano.

TRA PROCLAMI E SECONDA ACCOGLIENZA IN PROVINCIA

In questi mesi di ridefinizione del sistema accoglienza, tra proclami nazionali e gestione locale, sempre più si evidenzia come la cosiddetta seconda accoglienza sia sempre più stampella indispensabile al sistema di gestione dei flussi migratori, vera e propria conditio sine qua non di retate, CIE (o, seconda la nuova definizione, CPR) e rimpatri coatti.

Nella provincia di Varese la gestione della seconda accoglienza di migranti richiedenti asilo all’interno di CAS o SPRAR è distribuita in 43 Comuni.
Sono circa 1700 (1676 ottobre 2016) i richiedenti asilo smistati all’interno di questi centri sulle 879.480 presenze complessive della popolazione varesotta. Nei fatti, nonostante il clima di assedio generale diffuso dai media locali e dai politicanti di destra, la percentuale di richiedenti asilo ricopre solo lo 0,19% della popolazione varesotta.
Una discreta parte degli appalti di gestione di questi centri è stata affidata alla KB SRL di Katiusha Balansino, che dall’ottobre del 2014 è misteriosamente passata dall’allevamento di capre e asine nel comune di Arona (sua attività precedente) all’attuale gestione di circa 700 richiedenti asilo nell’area del varesotto (circa il 40% dei presenti sul territorio). La prefettura di Varese in questi ultimi due anni ha affidato alla KB ben 11 appalti ad assegnazione diretta, per un valore di 2.681.000 euro. Da sottolineare anche la figura di Roberto Garavello, marito della Balansino. Immobiliarista, socio o amministratore di ben 17 società, quasi tutte nel settore edilizio, è colui che si occupa di reperire gli stabili in affitto (ad esempio la palazzina dell’Enel in via dei Mille a Busto Arsizio) nei quali mettere i migranti. Chiaramente l’accoglienza qui non c’entra, o c’entra solo come possibile business.
Minima spesa, massima resa.
Nel complesso il giro di affari che ruota intorno alla KB in merito alla gestione e all’accoglienza dei richiedenti asilo ruota intorno agli 8.000.000 di euro annui.

Nei vari centri sotto la gestione KB spesso gli ospiti sono costretti a vivere stipati in piccoli appartamenti, a volte non riscaldati e con scarsi servizi igienici (nel CAS di Busto Arsizio c’è un bagno ogni 25 persone). Scarse anche la qualità del cibo e l’eccessiva attesa per l’ottenimento dei documenti.
Stanchi di questo clima di attendismo e di scarsa qualità della vita, nonché di infantilizzazione e costrizione, i migranti hanno messo in campo numerose proteste. La scorsa estate a Busto Arsizio per esempio, i 176 richiedenti asilo che si trovano nel CAS di via dei Mille, bloccarono il traffico per almeno un’ora nei pressi di piazza Plebiscito, vicino al Teatro Sociale. Stessa cosa avvenne qualche mese fa a Uboldo, dove gli “ospiti” bloccarono il traffico in segno di protesta contro il cibo scadente.
Di più. A Tradate, in un centro di accoglienza straordinaria gestito dalla Croce Rossa Italiana, i migranti hanno protestato a più riprese, lamentando la lentezza della burocrazia e pretendendo il rilascio dei documenti necessari alla loro permanenza in Italia. A partire dalla scorsa primavera si sono succeduti sit in davanti al comune e blocchi del traffico. Ma l’episodio più eclatante è avvenuto quando gli stessi migranti si sono barricati all’interno del centro impedendo l’ingresso ad operatori e volontari. A Samarate invece la polizia ha sgomberato un altro centro, ritenuto non idoneo, ridistribuendo gli inquilini in altre quattro località: Busto Arsizio (già sovraffollato), Uboldo, Fagnano e Somma Lombardo). Tra i motivi che hanno portato allo sgombero pare esserci il fatto che il gruppo era piuttosto coeso e “autogestivano” in parte il centro: lo sgombero sarebbe nato anche dalla volontà di dividere il gruppo e di estromettere alcune persone che non avevano più diritto di stare all’interno della struttura.

Spostandoci di qualche chilometro, paradigmatica è la situazione del campo della Croce Rossa di Como. Dopo un’estate decisamente movimentata, con il tentativo di autogestione del parco davanti la stazione di San Giovanni e diversi momenti decisamente inusuali per una città placida come Como (tra cui un numeroso e rumoroso corteo serale per la libertà di circolazione e contro le frontiere) e con l’apertura del campo della Croce Rossa, l’autorità ha creduto di essersi tolta la patata bollente dalle mani. Tuttavia l’ingresso al campo è rimasto consentito solo a donne considerate in cattivo stato di salute, minori, famiglie. I cosiddetti cani sciolti, uomini soli, o in piccoli gruppi – che continuano a cercare di attraversare le frontiere, per loro chiuse, verso mete in cui hanno affetti o nutrono speranze per una vita migliore -, non vengono fatti entrare, a meno che non presentino richiesta d’asilo, permettendo di farsi fotosegnalare dalla Questura, che però a volte li rilascia con un bel decreto d’espulsione alla mano.

L’ingresso all’interno del campo non prevede ovviamente chi arriva da un altro centro di accoglienza. Chi non passa questa ardua selezione ovviamente rimane fuori: molti tentano di accamparsi in situazioni di fortuna, o fuori dal campo stesso, ma vengono puntualmente sfollati e allontanati dalle Forze dell’Ordine. Proprio lunedì scorso la polizia di Como ha dato vita a un’autentica caccia all’uomo nelle strade della città, nei luoghi abitualmente frequentati dai migranti e in quelli che danno loro rifugio. Complessivamente sono state rastrellate una cinquantina di persone prive di documenti o presunte tali, di diversa età e nazionalità. Queste persone sono state portate alla sede della polizia di frontiera da dove circa trenta migranti “irregolari” sono stati deportati a Taranto, nell’ottica di un rimpatrio quasi certo.
Un gran numero di persone testimonia il carattere violento e razzista del rastrellamento: manette, pestaggi e identificazioni forzate di chiunque non fosse bianco, inclusi due studenti medi che prendevano il bus dopo la scuola. A chi ha provato a filmare l’episodio è stato distrutto il telefono.
(Yallahcomo)

Da dentro il campo invece giungono notizie e lamentele sulla scarsità del cibo (appalto in gestione alla Camst, vecchia conoscenza, azienda operante nel settore della ristorazione che fornisce pasti dalle scuole alle carceri, dalle fabbriche ai CIE), il freddo, il poco spazio e la scarsità di assistenza legale. Le informazioni riguardanti il centro sono difficilmente reperibili, data la chiusura ermetica della Prefettura. Sappiamo che il malessere diffuso all’interno di questo campo è sfociato anche in un tentativo di suicidio, e che l’eccessiva gestione detentiva e poliziesca di esso abbia persino portato all’allontanamento di un nutrito gruppo di volontari.

In generale, in una fase di transizione del sistema di gestione dei flussi migratori, notiamo da una parte come ampi siano ancora i margini di speculazione sulla vita di migliaia di persone, e dall’altra come non si ponga nemmeno troppa attenzione di fronte alle sparate razziste e violente di politici in cerca di consenso. E’ sempre più evidente come la tanto decantata buona – per gli affaristi – accoglienza sia propedeutica alla cattiva.
E tuttavia ampi, e in gran parte ancora non visitati, rimangono anche gli orizzonti di chi pone la solidarietà contro la violenza di gabbie e frontiere.