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DISCORSO SULLA SANITÀ

Abbiamo stampato il Discorso sulla sanità, chi fosse interessato può richiedere delle copie scrivendoci a lostroligh(at)logorroici.org, in alternativa questo è il pdf impaginato che potete scaricare e stampare in autonomia:

Impaginato_sanita_Novembre_2018(1)

Questi invece i link alle due parti in cui abbiamo diviso il testo:
Prima parte
Seconda parte

Per critiche, contributi, riflessioni invitiamo a scriverci tramite mail all’indirizzato indicato sopra.

UNO SGUARDO PIÙ AMPIO: RIDISEGNAMENTO URBANO E CONTROLLO SOCIALE

URBANISTICA, CONTROLLO, ECONOMIA.
CHE DIREZIONE HANNO I CAMBIAMENTI NELLE NOSTRE CITTÀ?

Seconda parte
UNO SGUARDO PIÙ AMPIO:
RIDISEGNAMENTO URBANO E CONTROLLO SOCIALE

Se nella prima parte di questo contributo ci siamo soffermati ad analizzare le dinamiche che legano urbanistica, controllo ed economia nella città di Saronno, in questa seconda parte del testo ci vorremmo soffermare in un’analisi un po’ più ampia di questi macro argomenti.
Ci interessa approfondire la questione del controllo pervasivo che caratterizza l’abitare in zone metropolitane, con lo sviluppo di nuove tecnologie ad hoc – come le telecamere intelligenti – e la relazione tra queste e il percepire se stessi all’interno di uno spazio urbano.
Quindi vireremo leggermente verso i cambiamenti urbanistici e architettonici nelle nostre città, in particolare al nesso tra gentrificazione degli spazi e gentrificazione della popolazione in senso classista.

1. “La sicurezza è libertà”: unidimensionalità dell’immaginario e controllo sociale

“Io non cammino, non marcio: strascico i piedi, io, mi fermo per strada, addirittura torno indietro, guardo di qua e guardo di là,anche quando non c’è da traversare.
[…] E poi mi sono accorto che andando in centro trovi sì qualche conoscenza,
ma ti accorgi subito che la tua conoscenza è un fatto puramente ottico.
Non trovi le persone, ma soltanto la loro immagine, il loro spettro, trovi i baccelloni, gli ultracorpi, gli ectoplasmi.”
Da “La Vita Agra” – L. Bianciardi

Nelle strade dei centri urbani, più o meno piccoli, è sempre più presente ed asfissiante la presenza di dispositivi di controllo di vario genere. Rispetto ad anni fa, in cui il controllo sociale avveniva solo nei confronti di chi varcava il confine della legalità, esso ha preso una dimensione totalizzante. Siamo passati da una sorveglianza mirata, ad una forma potenzialmente mirata. Un esempio su tutti che utilizzeremo come modello: alcune delle moderne telecamere segnalano chi, in base agli spostamenti o al fatto che rimanga fermo per troppo tempo rispetto ad una media prestabilita, risulta essere un soggetto sospetto.
Questo modello di sviluppo tecnologico basato sul controllo della stanzialità lo si è sperimentato nella città di Londra. Dopo gli attentati del 7 luglio 2005, sono state installate nelle stazioni dei mezzi pubblici (treni e metropolitana), questo tipo di telecamere che riconoscono automaticamente e segnalano i soggetti quando non escono dal raggio di queste entro un determinato periodo, situazione ritenuta non ordinaria per questi luoghi di transito.
Questo stato di sorveglianza onnipresente ci mette in una condizione sociale di sudditanza.
Il suddito è colui che passivamente accetta e subisce le pratiche che il Potere mette in atto nei suoi confronti, talvolta invocandole e mettendole in pratica lui stesso. Non sono rari infatti gli episodi di denuncia nei confronti di atti illegali di poco conto (furtarelli, venditori abusivi e quisquilie varie).
Di più. Sempre più diffusa all’interno delle città è la pratica delle zone a controllo del vicinato. I cittadini stessi si autoproclamano controllori volti a tutelare l’ordine nel proprio quartiere, segnalando alla Polizia ogni persona ritenuta sospetta poiché fuori dalle logiche della normalità.
Pensiamo che l’attuazione di questa dinamica non sia un fatto casuale ma consequenziale ad una pianificazione e ad una prospettiva ben delineate. Il Potere ha sempre avuto bisogno di rendere il cittadino partecipe della sua pratica poliziesca, individuandovi, oltre che un suddito, un complice. Oggi questo viene strumentalizzato dalla normalità conforme, diventando una protesi capillarmente diffusa del Potere stesso. Ciò abbassa ulteriormente la possibilità di diserzioni e ribellioni di ogni tipo. Il controllo diventa auspicabile poiché il bravo cittadino non ha nulla da nascondere; i trasgressori (o sospetti tali) vanno puniti, anche preventivamente, poiché fuori da ogni schema indotto. Dopo aver ribaltato il falso in reale, il Potere ha ulteriormente reso questa realtà l’unica possibile. Il reale diventa razionale. La razionalità crea il suo modello, da riprodurre e difendere. Il Potere, sempre più pervasivo e difficilmente percepibile, applica così la sua funzione normalizzatrice sulle vite degli individui.
Tutto ciò aumenta esponenzialmente se aggiungiamo tutti i dispositivi tecnologici che utilizziamo quotidianamente e che ci tracciano in ogni spostamento e/o comunicazione (con lo smartphone, con la connessione ad internet e con strumenti gps di ogni genere).
Questi dispositivi, umani e tecnologici, si introiettano a tal punto nella quotidianità, da dissuadere la maggior parte delle persone dal compiere qualsiasi tipo di atto ritenuto difforme rispetto alla normalità; non in quanto costantemente controllati, ma in quanto potenzialmente controllabili in qualsiasi momento.

2. Be happy, be smart:
rimodellamenti urbani nella città del dominio

“Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono:
ogni città va somigliando a tutte le città,
i luoghi si scambiano forma ordine distanze,
un pulviscolo informe invade i continenti.
[…] È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici
o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni
e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui
i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.”
“Le Città Invisibili” – I. Calvino

2.1 Un esempio:
dalla Parigi barricadiera a quella dei gran boulevard
Un esempio emblematico di piano di sviluppo urbanistico dominante e totalizzante lo si ritrova nella riorganizzazione urbanistica di Parigi tra il 1852 e il 1870. Questo tipo di assetto fu preso come esempio ad hoc per la ricostruzione e l’ammodernamento di molte capitali europee, dalla fine dell’ottocento fino a dopo la seconda guerra mondiale, ed è ancora oggi oggetto di studio e modello esemplare della metropoli del controllo. In prima battuta lo Stato procedette ad espropriare i terreni interessati dai piani di rinnovamento. Poi demolì gli immobili presenti e costruì nuovi assi viari attrezzati (dotati cioè di acqua, gas, fognature). Per trovare il denaro necessario a queste operazioni si ricorse massicciamente a prestiti bancari e pubblici, da 50 a 80 milioni di Franchi l’anno. Lo Stato avrebbe poi recuperato il denaro ricevuto in prestito rivendendo i terreni urbanizzati in lotti separati a soggetti che avrebbero poi dovuto costruire nuovi immobili rispettando un pacchetto di regole precise. Questo sistema consentì di dedicare ogni anno ai lavori di urbanizzazione risorse economiche raddoppiate rispetto a quelle normali del budget municipale. dan-morin-parigi_invasa_dagli_operai_demolitori-copiaParigi invasa dagli operai demolitori
(LE MONDE ULLUSTRE 1860 N. 143)

Prima della riurbanizzazione, Parigi non rassomigliava molto a quella che conosciamo oggi, sembrava più una città medievale con vicoli stretti, abitazioni ammassate disordinatamente nel centro e vie buie, abitate perlopiù dalla classe lavoratrice e da sottoproletari. Le classi medie “rispettabili” erano terrorizzate dal centro della città, storicamente focolaio di rivolte popolari e sommosse contro le classi dominanti, dalla Rivoluzione del 1789 ai “più recenti” moti del 1848. Haussmann, regista di questa vera e propria ricostruzione, fece radere al suolo questa parte della città, sostituendola con i Grand boulevard: strade ampie con incroci ad angolo retto che facilitavano i movimenti di truppe e la rimozione di barricate. Haussmann stesso ebbe a dire: “Abbiamo sventrato la vecchia Parigi, il quartiere delle rivolte e delle barricate, e aperto pezzo a pezzo un’ampia breccia nell’intrico impenetrabile dei vicoli”.

paris1853_grandeParigi 1853

Parigi_sventra_grande_1876Parigi 1876
Gli operai vennero espulsi dal centro cittadino e spinti nei quartieri collinari, come Belleville e Montmartre, che sarebbero poi diventati le roccaforti della Comune. La costruzione della nuova rete di boulevards oltre ad avere, come citato sopra, una valenza di ordine pubblico – non va dimenticato, infatti, che Haussmann oltre ad essere un architetto e urbanista era in primo luogo un Prefetto di Polizia – ne aveva altre due: la prima, di tipo economico, consisteva nel favorire gli investimenti privati (spesso al limite della speculazione edilizia) mobilitando una gran massa di capitali e determinando un vigoroso e generalizzato rilancio economico dei settori edilizio e commerciale; la seconda valenza, di tipo sociale, era quella di costituire il nuovo salotto buono della Parigi borghese e imprenditoriale, desiderosa di proporsi come la vera e unica, Capitale morale e culturale d’Europa, ricca di teatri, musei, ristoranti e caffè alla moda.
In poche parole quella che oggi chiameremmo città vetrina.

2.2 Urbanistica
Citando l’esempio della Parigi ottocentesca abbiamo voluto dimostrare – qualora ce ne fosse bisogno – come urbanistica e Potere (o controllo della città, che dir si voglia) sono strettamente legati.
Nelle nostre città si respira un’aria diversa. L’ideologia dominante è riuscita a fare vedere nella guerra ai poveri l’unica via verso l’uscita dalla crisi, primo fondamentale passo della stretta securitaria cui stiamo assistendo. L’aspetto di questa deriva securitaria lo si riscontra non solo sul piano dei dispositivi di controllo e repressione, ma anche in un ridisegnamento del paesaggio urbano. Questo tipo di mutamento foraggia non solo le esigenze di controllo del Potere ma anche il profitto e la speculazione sia di amministrazioni comunali sia di imprenditori edili. Lo scopo di questa nuova pianificazione urbana è quindi quello di dividere ed atomizzare sempre di più gli individui, smistarli, filtrarli e canalizzarli.
Al vecchio modello di “città fortezza” si va sempre più affermando un nuovo metodo architettonico di “gestione dei flussi dell’uomo/merce” in modo da eliminare ogni possibile rischio di attrito sociale e umano. Per scongiurare questi possibili attriti la gestione urbana si prodiga sempre più nel garantire un flusso continuativo per le sue strade: da una parte progetta la limitazione – se non l’annullamento – di luoghi “riparati e angusti” quali vicoli, portici e strettoie in quanto favorevoli all’elusione del controllo, dall’altra limita gli incroci e progetta strade sempre più grandi dove possibili scenari di scontro e sommossa sarebbero più problematici. Dal punto di vista dell’urbanistica, rilevanti sono quei piccoli provvedimenti presi per disincentivare alcuni comportamenti e alcuni modi di vivere nella città. Ci riferiamo ai dissuasori sonori installati nelle stazioni, oppure l’evoluzione di un oggetto comune come la panchina, resa sempre più scomoda e piccola – fino alle panchine monoposto installate a Varese – per impedire che a qualcuno venga in mente di dormirci.

2.3 Bonifica della povertà:
economia e popolazione durante la gentrificazione

“E Marisa disse:
«Hai trovato diverso il Quartiere. Ma la gente c’è ancora tutta, lo sai.
Si è ammassata nelle case rimaste in piedi
come se si fosse voluta barricare.

Quei pochi che sono andati ad abitare alla periferia,
dove c’è l’aria aperta e il sole,
nel Quartiere li considerano quasi dei disertori».
«Infatti» le risposi.
«Anche l’aria e il sole sono cose da conquistare dietro le barricate.»”
“Il Quartiere” – V. Pratolini

Il conflitto sociale però non è qualcosa di così prevedibile e così gestibile, e il crescente impoverimento della popolazione non lascia dormir sonni tranquilli ad urbanisti e governanti.
I problemi, cioè la povertà e il disagio sociale, devono essere nascosti sotto il tappeto, come la polvere. A questo serve la gentrificazione: una sostituzione programmata e studiata della popolazione abitante un certo quartiere, una certa porzione di città. Altrimenti il gioco si incepperebbe in partenza: affitti più costosi necessitano di stipendi più abbondanti, quindi di lavori più remunerativi e di negozi all’altezza. Chi può spendere 20 euro due volte alla settimana dal barbiere? Non in molti. Allora è necessario che al barbiere hipster all’ultimo grido si accompagni la palazzina nuova abitata da giovani benestanti e col portafoglio gonfio.
Salta all’occhio la trasformazione, già compiuta, del cittadino come cliente. Ancora una volta per rendere meglio il processo in atto prendiamo ad archetipo la trasformazione avvenuta, e in corso, negli stadi italiani. Dallo stadio come spazio sociale – pur con tutte le sue contraddizioni – degli anni 70, 80 e 90, con capienze sempre maggiori per accogliere la sempre maggiore partecipazione nei diversi strati della popolazione e con prezzi quindi tendenzialmente adeguati alle differenze di classe, allo stadio come spazio di consumo e di profitto, dove a interessare sono i conti a fine partita e a fine anno. Non importa più rendere lo stadio accessibile a tutti. Infatti nei nuovi stadi – come lo Juventus Stadium – si riducono i posti a sedere e si punta tutto sul selezionare il tipo di spettatore. Con uno stadio più piccolo si potranno alzare agevolmente i prezzi dei biglietti, senza perdere in fattore di profitto. Si cerca di sostituire il tifoso classico con un tifoso-cliente. Per questo, nei nuovi stadi, centrali diventano tutte le attività ludico-consumistiche annesse alla partita, per trasformare l’evento in un momento monetizzabile al massimo.
Si sente parlare di riqualificazione, quasi a dare a questo progetto urbanistico e politico una valenza neutra, non di parte. Ma dietro a queste trasformazioni di quartieri e fette di città, la realtà è ben diversa: sotto questa progettualità smart, accattivante, veloce e moderna, le varie amministrazioni smantellano, mutano e sgomberano porzioni di città, svendendole a capitali privati.
Come negli stadi, tramite piccole trasformazioni strutturali, sono riusciti ad ottenere in maniera piuttosto indolore la trasformazione del tifoso in tifoso-cliente, così con la gentrificazione, e tutti i decreti legge correlati alla gestione e al controllo della città, cercano di trasformare il cittadino in cliente.

2.4 Repressione? Rompere la gabbia

“L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali,
le autorità costituite… L’uso della libertà, che tende a fare
di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente
le nostre sacrosante funzioni.
Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata;
ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino!
Repressione è civiltà!”
“Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”

Per rendere accattivanti a questi capitali certe zone, è necessaria, parallelamente al processo urbanistico, una vera e propria bonifica della povertà. La guerra ai poveri è in atto ogni giorno ed è straordinario il lavoro ideologico che la sottende, perché sono pochissimi gli occhi che la riconoscono. Ma anche questi pochi occhi sono un ostacolo alla trasformazione della città e quindi, insieme ai poveri, gli altri banditi (cioè messi al bando) sono coloro che si ostinano a lottare contro tutto ciò. Non a caso, al procedere dell’urbanistica e della bonifica della povertà, si accompagna anche un innalzamento della repressione per allontanare le presenze conflittuali, viste come fiammiferi in una polveriera.
Interessante a riguardo l’indirizzo degli ultimi provvedimenti in materia di repressione. Il decreto Minniti affila alcune delle armi più usate contro i conflitti sociali: foglio di via e sorveglianza speciale. In aggiunta regala ai sindaci il cosiddetto daspo urbano, con cui si potranno allontanare gli indesiderati senza le lungaggini e gli intoppi dell’iter burocratico del foglio di via.
Nel legiferare sul foglio di via salta all’occhio che viene resa più severa l’eventuale violazione – pratica diffusa per quanto riguarda il foglio di via, che ne ha disinnescato il potere repressivo. Non a caso; infatti il foglio di via – così come il suo fratello comunemente noto come daspo urbano – è la misura di allontanamento poliziesco per eccellenza. Senza condanna, solo sulla base di un pregiudizio poliziesco, una persona può essere allontanata da una zona. È evidente come in zone di riqualificazione, o di conflittualità manifesta, questo sia uno strumento chiave per il Potere, capace – se reso efficace – di allontanare le presenze scomode.
Il loro obiettivo? Creare zone bonificate da povertà e conflittualità.
Eppure, malgrado urbanistica securitaria e controllo poliziesco sempre più pervasivo, la rabbia continua ad esplodere. Il nuovo millennio è costellato di rivolte, da Ferguson a Tottenham, da Parigi a Baltimora. Protagonisti di questi tumulti sono i giovani abitanti dei quartieri periferici.
“Lungi dall’essere il residuo marginale di un sottoproletariato in via di sparizione, la racaille è l’estremo prodotto dell’alienazione urbana, tanto da divenire paradigma di una situazione sociale in costante aumento. Al contrario dei blousons noirs degli anni’60, figli degli operai della grande fabbrica fordista interna alla città, questi nuovi soggetti urbani non hanno alcun senso di appartenenza nei confronti del loro quartiere e del loro spazio di vita. Prodotto della dislocazione e dell’esclusione sociale, i racailleux vivono il proprio quartiere come i detenuti la propria cella.”
Alleanze ingovernabili contro lo stato di emergenza e il potere neocoloniale in Francia – Effimera

 

“Parallelamente al Capitale, chi si organizza per attaccarlo, o semplicemente per sopravvivergli, trova anch’esso le proprie geografie. Case occupate, strade discrete, vicini solidali, rifugi estemporanei e complicità sovversive.
Erigere un confine significa tagliare queste rotte, frapporsi tra l’individuo e il suo mondo ponendone delle condizioni di accesso.
Se sei produttivo e lavori sotto salario, se hai una residenza rintracciabile, se la liceità dei tuoi interessi è comprovata ti è concesso rimanere, fino a nuovo ordine.
La legalità dell’abitare è sottomessa al suo essere economia, nell’accezione più ampia del termine.
In una città dove ci sono più alberghi che case rivendichiamo il nostro abitare illegalmente, la possibilità di vivere ovunque si trovino dei validi motivi per farlo.
Rivendichiamo l’improduttività economica delle nostre vite, tutti i nostri illeciti interessi, la criminalità dei nostri affetti, la pericolosità di pensare di poter fare a meno di prigioni e carcerieri.”
“Sul Momento” – Il Pipandro

25 APRILE: ECCO PERCHÈ OGGI SIAMO SU CARTA

Questa mattina eravamo in piazza a Saronno, una piazza partecipata ed eterogenea, e finalmente – dopo i gavettoni e le contestazioni degli anni passati – libera dalla sgradita presenza leghista.
Abbiamo volantinato il primo numero cartaceo dello Stroligh:

ECCO PERCHÈ OGGI SIAMO SU CARTA

Lo Stroligh è lo strumento con cui ci proponiamo di approfondire ed analizzare quello che succede sul territorio provinciale, con uno spirito radicalmente critico, cercando di creare spunti di riflessione che abbiano nel conflitto e nella lotta – in atto o in potenza – il centro nevralgico del discorso.
La frequenza delle pubblicazioni cartacee sarà proporzionata alle esigenze di chi scrive e alle contingenze del contesto in cui siamo inseriti. Di conseguenza il 25 aprile ci è sembrata la data più opportuna per questa prima pubblicazione cartacea, sia perché negli ultimi anni è stata caratterizzata come un forte momento di piazza (con tanto di processo, in pieno svolgimento, per resistenza alle cariche poliziesche del 2014), sia perché i temi trattati – sicurezza e controllo nelle nostre città, e il tanto (ma non abbastanza) discusso Decreto Minniti – toccano nel profondo le parole e le idee, sempre più svuotate di senso, con cui i politici si riempiono la bocca in queste occasioni.
Infatti ci importa ben poco che il sindaco di Saronno non faccia il consueto intervento (paura della contestazione semplice pudore?); ci importa piuttosto porre l’accento sull’avanzare del “partito nazione”, della propaganda di una sorta di pensiero unico (lontana eco del ventennio).
Perchè la pace sociale tanto desiderata dai governanti non è altro che guerra dichiarata ai poveri e agli esclusi.

FINANZIAMENTO REGIONALE PER LA SICUREZZA

Finanziamento complessivo di 7,6 milioni di euro a 476 comuni lombardi. Il bando prevede un lotto A (5 milioni di euro) per impianti di videosorveglianza e un lotto B (2,6 milioni di euro) per dotazioni alle polizie locali.
624 mila euro per progetti legati alla sicurezza. Sono i fondi sbloccati da Regione Lombardia ed elargiti a 37 Comuni della provincia di Varese, nel quadro di un finanziamento complessivo di 7,6 milioni di euro a 476 comuni lombardi.
Non sono riusciti ad ottenere il finanziamento i comuni di Saronno, Gallarate, Tradate,
E’ riuscita invece a ottenere entrambi i finanziamenti la città di Busto Arsizio: 50mila euro per il lotto A e 30mila euro per il lotto B.
I dati completi sono pubblicati sul Bollettino Ufficiale di Regione Lombardia, data 16 marzo.

TANTO VA LA LARA AL LARDO…

Grande scalpore nella città degli amaretti: l’europarlamentare di Forza Italia Lara Comi, nota in città solo per i suoi interminabili sermoni sulle occupazioni di stabili abbandonati, è indagata per aver “assunto” sua madre, utilizzando i rimborsi spese concessi agli europarlamentari, per un compenso totale di circa 123mila euro. La povera Lara, europarlamentare dalla tenera età di 26 anni, lamenta di essersi sentita persa nel mondo della politica e di aver avuto bisogno al suo fianco di una persona di fiducia. Tra una paura e un’ansia nel frattempo sono centinaia di migliaia gli euro che la famiglia Comi si è intascata col “lavoro” della figlia.

TRA PROCLAMI E SECONDA ACCOGLIENZA IN PROVINCIA

In questi mesi di ridefinizione del sistema accoglienza, tra proclami nazionali e gestione locale, sempre più si evidenzia come la cosiddetta seconda accoglienza sia sempre più stampella indispensabile al sistema di gestione dei flussi migratori, vera e propria conditio sine qua non di retate, CIE (o, seconda la nuova definizione, CPR) e rimpatri coatti.

Nella provincia di Varese la gestione della seconda accoglienza di migranti richiedenti asilo all’interno di CAS o SPRAR è distribuita in 43 Comuni.
Sono circa 1700 (1676 ottobre 2016) i richiedenti asilo smistati all’interno di questi centri sulle 879.480 presenze complessive della popolazione varesotta. Nei fatti, nonostante il clima di assedio generale diffuso dai media locali e dai politicanti di destra, la percentuale di richiedenti asilo ricopre solo lo 0,19% della popolazione varesotta.
Una discreta parte degli appalti di gestione di questi centri è stata affidata alla KB SRL di Katiusha Balansino, che dall’ottobre del 2014 è misteriosamente passata dall’allevamento di capre e asine nel comune di Arona (sua attività precedente) all’attuale gestione di circa 700 richiedenti asilo nell’area del varesotto (circa il 40% dei presenti sul territorio). La prefettura di Varese in questi ultimi due anni ha affidato alla KB ben 11 appalti ad assegnazione diretta, per un valore di 2.681.000 euro. Da sottolineare anche la figura di Roberto Garavello, marito della Balansino. Immobiliarista, socio o amministratore di ben 17 società, quasi tutte nel settore edilizio, è colui che si occupa di reperire gli stabili in affitto (ad esempio la palazzina dell’Enel in via dei Mille a Busto Arsizio) nei quali mettere i migranti. Chiaramente l’accoglienza qui non c’entra, o c’entra solo come possibile business.
Minima spesa, massima resa.
Nel complesso il giro di affari che ruota intorno alla KB in merito alla gestione e all’accoglienza dei richiedenti asilo ruota intorno agli 8.000.000 di euro annui.

Nei vari centri sotto la gestione KB spesso gli ospiti sono costretti a vivere stipati in piccoli appartamenti, a volte non riscaldati e con scarsi servizi igienici (nel CAS di Busto Arsizio c’è un bagno ogni 25 persone). Scarse anche la qualità del cibo e l’eccessiva attesa per l’ottenimento dei documenti.
Stanchi di questo clima di attendismo e di scarsa qualità della vita, nonché di infantilizzazione e costrizione, i migranti hanno messo in campo numerose proteste. La scorsa estate a Busto Arsizio per esempio, i 176 richiedenti asilo che si trovano nel CAS di via dei Mille, bloccarono il traffico per almeno un’ora nei pressi di piazza Plebiscito, vicino al Teatro Sociale. Stessa cosa avvenne qualche mese fa a Uboldo, dove gli “ospiti” bloccarono il traffico in segno di protesta contro il cibo scadente.
Di più. A Tradate, in un centro di accoglienza straordinaria gestito dalla Croce Rossa Italiana, i migranti hanno protestato a più riprese, lamentando la lentezza della burocrazia e pretendendo il rilascio dei documenti necessari alla loro permanenza in Italia. A partire dalla scorsa primavera si sono succeduti sit in davanti al comune e blocchi del traffico. Ma l’episodio più eclatante è avvenuto quando gli stessi migranti si sono barricati all’interno del centro impedendo l’ingresso ad operatori e volontari. A Samarate invece la polizia ha sgomberato un altro centro, ritenuto non idoneo, ridistribuendo gli inquilini in altre quattro località: Busto Arsizio (già sovraffollato), Uboldo, Fagnano e Somma Lombardo). Tra i motivi che hanno portato allo sgombero pare esserci il fatto che il gruppo era piuttosto coeso e “autogestivano” in parte il centro: lo sgombero sarebbe nato anche dalla volontà di dividere il gruppo e di estromettere alcune persone che non avevano più diritto di stare all’interno della struttura.

Spostandoci di qualche chilometro, paradigmatica è la situazione del campo della Croce Rossa di Como. Dopo un’estate decisamente movimentata, con il tentativo di autogestione del parco davanti la stazione di San Giovanni e diversi momenti decisamente inusuali per una città placida come Como (tra cui un numeroso e rumoroso corteo serale per la libertà di circolazione e contro le frontiere) e con l’apertura del campo della Croce Rossa, l’autorità ha creduto di essersi tolta la patata bollente dalle mani. Tuttavia l’ingresso al campo è rimasto consentito solo a donne considerate in cattivo stato di salute, minori, famiglie. I cosiddetti cani sciolti, uomini soli, o in piccoli gruppi – che continuano a cercare di attraversare le frontiere, per loro chiuse, verso mete in cui hanno affetti o nutrono speranze per una vita migliore -, non vengono fatti entrare, a meno che non presentino richiesta d’asilo, permettendo di farsi fotosegnalare dalla Questura, che però a volte li rilascia con un bel decreto d’espulsione alla mano.

L’ingresso all’interno del campo non prevede ovviamente chi arriva da un altro centro di accoglienza. Chi non passa questa ardua selezione ovviamente rimane fuori: molti tentano di accamparsi in situazioni di fortuna, o fuori dal campo stesso, ma vengono puntualmente sfollati e allontanati dalle Forze dell’Ordine. Proprio lunedì scorso la polizia di Como ha dato vita a un’autentica caccia all’uomo nelle strade della città, nei luoghi abitualmente frequentati dai migranti e in quelli che danno loro rifugio. Complessivamente sono state rastrellate una cinquantina di persone prive di documenti o presunte tali, di diversa età e nazionalità. Queste persone sono state portate alla sede della polizia di frontiera da dove circa trenta migranti “irregolari” sono stati deportati a Taranto, nell’ottica di un rimpatrio quasi certo.
Un gran numero di persone testimonia il carattere violento e razzista del rastrellamento: manette, pestaggi e identificazioni forzate di chiunque non fosse bianco, inclusi due studenti medi che prendevano il bus dopo la scuola. A chi ha provato a filmare l’episodio è stato distrutto il telefono.
(Yallahcomo)

Da dentro il campo invece giungono notizie e lamentele sulla scarsità del cibo (appalto in gestione alla Camst, vecchia conoscenza, azienda operante nel settore della ristorazione che fornisce pasti dalle scuole alle carceri, dalle fabbriche ai CIE), il freddo, il poco spazio e la scarsità di assistenza legale. Le informazioni riguardanti il centro sono difficilmente reperibili, data la chiusura ermetica della Prefettura. Sappiamo che il malessere diffuso all’interno di questo campo è sfociato anche in un tentativo di suicidio, e che l’eccessiva gestione detentiva e poliziesca di esso abbia persino portato all’allontanamento di un nutrito gruppo di volontari.

In generale, in una fase di transizione del sistema di gestione dei flussi migratori, notiamo da una parte come ampi siano ancora i margini di speculazione sulla vita di migliaia di persone, e dall’altra come non si ponga nemmeno troppa attenzione di fronte alle sparate razziste e violente di politici in cerca di consenso. E’ sempre più evidente come la tanto decantata buona – per gli affaristi – accoglienza sia propedeutica alla cattiva.
E tuttavia ampi, e in gran parte ancora non visitati, rimangono anche gli orizzonti di chi pone la solidarietà contro la violenza di gabbie e frontiere.