La diversità tra la ricerca di tipo accademico e la ricerca politica che si riconosce nei movimenti sociali, o che riconosce nei movimenti sociali i propri interlocutori, sta proprio qui: l'intellettuale accademico va avanti a ruota libera, è indifferente quello che succede intorno a lui, mentre l'intellettuale che vuole usare magari gli strumenti, le modalità e i criteri della ricerca accademica (perché poi abbiamo fatto ricerca di alto livello) ma per rapportarsi al movimento, se esso non c'è, con che cosa si rapporta? Dunque, questa era la difficoltà, per cui teniamo in piedi una serie di ipotesi: documentare quello che succede, gli spezzoni di movimento, documentare le lotte operaie, documentare la soggettività, la ricerca sulle fonti orali. In un certo senso, per tenere vivo un aspetto del discorso: sappiamo che nei movimenti ci sono le fasi alte e quelle basse, sappiamo che quelle basse sono fasi di riflusso, però teniamo conto che, anche nelle fasi di riflusso, le soggettività che sono state protagoniste nelle fasi alte rimangono vive, spesso attente e capaci di individuare aspetti importanti della realtà. Quindi, testimonianze orali, sulle lotte, ricostruzione di questi fatti, proprio per mettere in circolo quello che tendenzialmente si stava cominciando a sotterrare, non si davano cioè più informazioni sulle lotte operaie: è come se nei media fosse passata la parola d'orine "chiuso con gli operai, non esistono più, della classe operaia non se ne parla più", e noi cercavamo invece di far vedere che c'erano, che esistevano.
Poi c'era questo tentativo di capire la mutazione capitalistica. Infatti, eravamo stremati dalla storia di Primo Maggio, si era dato un evidente calo nelle vendite (avevamo toccato le 5.000 copie per numero, ed eravamo a venderne 600-700-800), facevamo fatica a farlo, a distribuirlo, a venderlo: perché poi la distribuzione militante, la struttura dei punti rossi, messa in piedi da Moroni, era crollata, le librerie di movimento non esistevano più, c'era la rete delle Feltrinelli più un certo numero di altre librerie, per cui diventava anche difficile distribuire, dovevamo rivolgerci a distributori "normali", i quali ti portano via il 60% del costo. Quindi, dopo aver tenuto viva la rivista negli anni più duri in cui volevano farcela chiudere, alla fine, quando ormai non c'era più questo senso di oppressione, l'abbiamo chiusa noi, perché la circolazione era difficoltosa, perché facevamo fatica a farla, perché facevamo fatica a pagarla. Allora, dopo aver smaltito il peso del farla e del pagarla, e del pagare i debiti con chi ce la stampava (con il quale siamo rimasti in ottimi rapporti, perché gli abbiamo dato tutto quello che gli spettava, il che non è poco), dopo un po' abbiamo ripreso un'altra fase di dibattito e, dopo una lunga serie di discussioni molto articolate, con gruppi un po' a fisarmonica ma sempre molto ampi, siamo usciti con un'altra rivista, che si chiamava Altreragioni. L'abbiamo fatta per alcuni numeri, poi Sergio Bologna se ne è andato, dopo di che siamo rimasti lì ancora un po' e poi ho smesso anch'io, perché nel frattempo avevo iniziato anche a fare altre cose e non ce la facevo più. Però, se non mi sbaglio, nel '92 lì ho pubblicato un pezzo che riguardava appunto la mutazione capitalistica, e che era il risultato sia della mia analisi particolare di quello che succedeva negli Stati Uniti, sia però in parte anche dei discorsi che facevamo all'interno del gruppo redazionale e lì intorno.
ANALISI DEI PROPRI PERCORSI POLITICI
Mantenendo questa visuale comparativa con gli Stati Uniti, quali sono stati i limiti e le ricchezze dei percorsi politici a cui hai direttamente preso parte e, più in generale, dei movimenti degli anni '70?
C'è un qualcosa che secondo me è stato molto importante in questo rapporto con gli Stati Uniti, che voleva dire rapporto anche con persone, con gruppi e con fette di movimento lì attive. Secondo me è stato molto importante in alcune direzioni: uno, perché è entrato in sintonia e in interrelazione con alcuni percorsi dell'operaismo italiano. Come Alquati è in grado di spiegare meglio e più dall'interno di me, si tratta di una parte di discorsi che vengono fuori da componenti politiche, in parte interne e in parte esterne al PCI, e che passano attraverso tutta una serie di canali, da Classe Operaia, ai Quaderni Rossi, a Classe, a Potere Operaio, a Contropiano e così via; sono in parte interni ad alcuni gruppi, esperienze, individui che vanno appunto da Montaldi, ai suoi rapporti con Socialisme ou Barbarie, a gruppi, forze o componenti di una specie di operaismo francese. Ci sono alcune cose e libretti, come "Diario di un operaio" di Mothé, che hanno una grande importanza, che circolano, che diventano monumenti del discorso sulla soggettività e che contribuiscono allo spostamento dell'attenzione nei confronti della soggettività operaia.
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