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INTERVISTA A BRUNO CARTOSIO - 15 MAGGIO 2000


Dunque, il ragionamento (e questo è il discorso che riguarda di più me, perché poi non eravamo in tanti a ragionare sulla classe operaia o sui fenomeni di classe negli Stati Uniti) era sulla coincidenza di Stato e capitale nell'attacco antioperaio, nei limiti dell'azione sindacale a difesa degli operai. Bisogna dire che tali limiti sono molto più forti negli Stati Uniti che in Italia, nonostante tutto credo che il sindacato qui abbia mantenuto, proprio anche per la storia recente, un rapporto con la classe operaia diverso, più interlocutorio e aperto, anche se il suo tentativo è stato sempre quello di riportare dentro e dietro di sé la classe operaia, però non era stato un sindacato così fortemente burocratico e autoritario come quello americano. Quando lo Stato e il capitale attaccano gli operai e il sindacato, i primi per una parte sono anche disposti a mandare a quel paese il secondo, perché il sindacato era cattivo, cioè era burocratico, autoritario, non era operaista. Mentre invece in Italia, proprio perché qui il '69 e il '70 hanno una loro storia, in quanto poi alla fine di quel ciclo di lotte arriva lo statuto dei lavoratori, proprio perché si formano i consigli di fabbrica in cui entrano anche altre forze diverse da quelle sindacali, il sindacato italiano mantiene un'elasticità di rapporto con la classe operaia che quello americano non ha. Ciò è quello che salva il sindacato ed è quello che in parte salva la classe operaia italiana, perché l'attacco antioperaio, antisindacale e antipopolare degli anni di Reagan non ha eguali, se non in Inghilterra o in Cile. Invece qui, tutto sommato, le cose vanno in modo diverso, anche per una ragione che a questo punto è tipica dell'Italia e non più degli Stati Uniti, perché il movimento, clandestino e non, là è stato completamente spazzato via. Qui, per poter spazzare via il movimento armato, il partito armato e la lotta armata clandestina, è necessario salvare un qualche tipo di rapporto con gli operai, attraverso il rapporto o la mediazione sindacale, proprio per escludere la possibilità che quel rapporto e quel favore iniziale che il partito armato aveva avuto all'interno delle fabbriche potesse solidificarsi. Per favore iniziale intendo quando hanno fatto le prime azioni dimostrative nel '72-'73, poi l'equivoco si è sciolto, successivamente dentro le fabbriche le Brigate Rosse e Prima Linea reclutano ma non riusciranno mai ad essere in nessun modo egemoni. Anche perché il movimento che non si fa egemonizzare dal partito armato cerca però di mantenere una sua forza, una sua identità e una sua capacità di interlocuzione, a volte funzionante e a volte no, con il sindacato o con parti di esso: in Italia c'è un rapporto molto più complesso che non negli Stati Uniti.
Essenzialmente però questo è il punto finale del discorso, cioè quello che succede dopo gli anni '80 in Italia e negli Stati Uniti: a un certo punto cominciamo a capire (queste sono analisi che ho scritto nell'ultima cosa che ho pubblicato) che quella a cui il grande capitale e lo Stato degli Stati Uniti hanno dato vita negli anni '80 non è una grande ristrutturazione industriale, ma è ciò che a un certo punto io ho chiamato una mutazione capitalistica e poi ho chiamato la terza rivoluzione industriale. Quindi, è un fenomeno molto più grande e molto più impegnativo. Bisogna pensare che, quando cominciavamo a scrivere di queste cose e a guardare all'introduzione dell'automazione, ai robot, e iniziavamo a capire che i computer cominciavano ad avere un ruolo nell'organizzazione della produzione, parlavamo ancora di grandi computer, di enormi scatoloni, che erano dislocati in locali appositi all'interno delle fabbriche e che riuscivano a funzionare in condizioni di stabilità climatica e di temperatura: dunque, noi avevamo davanti agli occhi delle immagini di atti di sabotaggio che c'erano stati ai computer semplicemente facendo saltare l'impianto di condizionamento, per cui esso si surriscaldava e andava in tilt. Si pensi invece nell'arco di sette, otto, dieci anni quanto è cambiato quel tipo di immagini, di realtà: non c'era più il cervellone che governava tutto il processo, ma una serie di stazioni, di postazioni, di collegamenti in rete dentro la fabbrica, che muoveva tutto quanto attraverso centri nevralgici dispersi, e i computer non avevano più bisogno di quella specie di isolamento, anche un po' magico, nel quale erano collocati negli anni '70. Quindi, c'è una rapidità di evoluzione terribile, enorme, per cui prima pensiamo a una ristrutturazione, poi a una mutazione capitalistica, dopo di che abbiamo capito che era la terza rivoluzione industriale. A quel punto, però, quello che succede nella grande industria italiana coincide con quello che succede nella grande industria americana: quel concetto di centro e di periferia che avevamo usato quando vedevamo che al centro, cioè negli Stati Uniti, succedeva qualcosa che poi in periferia, qui, sarebbe arrivato nell'arco di uno, due, tre, quattro, cinque anni, non tiene più.

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