Ora il mondo intero è fatto di una serie di centri e una serie di periferie: i centri possono essere negli Stati Uniti, in ognuno dei paesi d'Europa, nell'Asia orientale, in India, in America Latina. Il capitale si dota di una rete i cui nodi possono essere dislocati ovunque, e le maglie di questa rete possono essere più fitte o più rade a seconda delle diverse collocazioni nel globo; però, noi qui siamo dentro questa rete, e qui esistono i centri ed esistono le periferie, esattamente come negli Stati Uniti. Anche lì la società si trasforma, è quella che a un certo punto ho definito la terzomondizzazione degli Stati Uniti. Infatti, se si guarda all'andamento della distribuzione della ricchezza dalla fine degli anni '60 ad oggi, le sperequazioni aumentano enormemente, perché la configurazione sociale degli Stati Uniti diventa sempre di più una realtà fatta di centri e periferie, e queste ultime sono lasciate a se stesse esattamente come le periferie brasiliane o quelle indiane o quelle giapponesi. Questa però è la realtà degli anni '90, ormai quello che succede negli Stati Uniti succede anche qui con uno scarto temporale che a volte è di due o di sei mesi, ma essenzialmente è la stessa cosa.
Detto questo, rimane vero che il modello sociale, produttivo e politico in questo caso italiano non è quello statunitense: allora, questo è il dibattito attuale sull'adozione o meno del modello americano. Adottare il modello americano vuol dire approfondire delle implicazioni di quel tipo di realtà, significa cioè creare la terzomondizzazione dell'Italia, della Francia, della Germania. Adottare il modello statunitense oggi vuol dire approfondire le sperequazioni sociali, la distanza tra i ricchi, i meno ricchi e i poveri, concentrare le ricchezze nelle mani di una minoranza sempre più piccola della popolazione. Perché l'Italia, la Germania e la Francia non sono gli Stati Uniti? Essenzialmente per le inerzie dei sistemi politici, che sono diversi e quindi ci sono delle inerzie che continuano; soprattutto perché i movimenti sindacali sono diversi dagli Stati Uniti e hanno avuto una tenuta organizzativa molto più grande, e ciò perché comunque, nonostante tutte le critiche che si meritano, hanno mantenuto una capacità di interlocuzione con le classi operaie molto maggiore rispetto ai sindacati americani, e, in confronto ad essi, si sono mantenuti come strutture molto meno burocratiche e autoritarie, per cui sono state anche meno abbandonate dai lavoratori. Infine, perché i movimenti sociali in Italia hanno mantenuto una complessità diversa e più lunga: la repressione, che negli Stati Uniti ha fatto letteralmente piazza pulita tra il '68 il '73, in Italia non c'è stata. C'è stata una repressione terribile nei confronti del partito armato e, come ricaduta sociale, nei confronti del movimento diffuso, ma in Italia comunque è rimasto un tessuto, liso, stracciato e con qualche altro difetto, ma tutto sommato è rimasta una sensibilità un po' più presente che negli Stati Uniti.
Questo perché a tuo giudizio?
La strategia repressiva negli Stati Uniti era diversa ed è stata più violenta. Tutti i movimenti di repressione negli Stati Uniti, con l'unica eccezione del fascismo in Italia, sono stati più violenti; essi hanno sempre una violenza ed una brutalità che noi non conosciamo, a parte la parentesi fascista. L'antisindacalismo statunitense è stato un fenomeno di una brutalità, di una violenza, di una sistematicità e di una diffusione senza precedenti, neppure all'interno degli stessi Stati Uniti, in quanto la determinazione e la decisione con cui la classe politica ha condiviso, accettato e accolto la repressione dei movimenti sociali, del movimento operaio, dei movimenti di protesta, ha avuto livelli di unanimità che in Italia comunque non ci sono stati. Se noi facciamo un discorso comparativo, siamo costretti anche a trattare la nostra sinistra in modo diverso da come la tratteremmo se parlassimo soltanto del quadro italiano, perché comunque l'attacco è stato per forza differente con l'esistenza di un partito di sinistra come il PCI, di un sindacato a egemonia comunista, l'esistenza di voci al di fuori del PCI a lungo negli anni '70 e poi ancora negli anni '80, perché comunque Il Quotidiano dei Lavoratori è durato più a lungo che non Avanguardia Operaia, il giornale Lotta Continua è durato più a lungo che non il gruppo, Il Manifesto dura ancora attraverso tutti questi anni, così come altre riviste: tutto sommato una rivista come Primo Maggio è durata fino alla fine degli anni '80, negli ultimi tempi facevamo fatica a farla, però il fatto che tutto quanto cospirava per chiudere la bocca a una rivista di questo tipo era una ragione per andare avanti.
|