Queste sono le ragioni per cui, a quel punto lì, vedevo le persone, partecipavo alle situazioni, alle manifestazioni, alle riunioni, ai dibattiti, leggevo, cercavo di capire, ma non c'era possibilità di identificazione. D'altro canto, quel patrimonio che tra il '68 e il '71-'72 mi era venuto come arricchimento, secondo me fondamentale, dal movimento femminista e dalle sue analisi della società americana, chiaramente rimaneva difficile da mettere in pratica perché come patrimonio teorico rimaneva, però ovviamente quello femminista non è un movimento a cui puoi partecipare, in questo riconoscendo sicuramente la necessità della separazione. Per quanto riguarda questo particolare aspetto, va aggiunto che mia moglie (che era stata per un anno con me in Canada) era poi una militante femminista nel Gruppo del salario per il lavoro domestico di Padova, che qui a Milano aveva un gruppo piuttosto forte, non in termini numerici, ma come presenza personale, dal punto di vista della capacità di essere presenti e di articolare un discorso dei contatti: lei era militante qui, e lo è stata fino al '75 o '76. Quindi, i contenuti di quel rapporto con il femminismo americano erano una presenza vivente, non soltanto una specie di acquisizione o retaggio intellettuale, perché in casa la dialettica e la discussione su questi temi era costante.
Alcune delle persone con le quali ho parlato di più dopo il ritorno, sono quelle con cui poi abbiamo messo in piedi Primo Maggio. Io sono tornato nel '71, i miei rapporti erano con le persone che rimanevano dentro o venivano da Potere Operaio: per esempio, ho mantenuto contatti con l'ufficio internazionale di Potere Operaio, perché mi sembrava possibile mantenere un rapporto reciprocamente utile, per loro e per me, intorno a tutta una serie di questioni delle quali io, a quel punto, avevo già cominciato ad occuparmi in modo abbastanza stabile, cioè le questioni della storia operaia e della realtà politica e sociale degli Stati Uniti. Quindi, mi veniva bene di interloquire con alcune di queste persone, alcune che rimanevano dentro e altre che invece non lo erano più, come Sergio Bologna, che era uscito nel '71; ed è con queste persone che poi abbiamo cominciato a discutere di un progetto di rivista. Abbiamo iniziato a parlarne nel '72 e il primo numero è uscito nel '73, se non sbaglio in maggio. I presupposti di queste discussioni erano abbastanza comuni, nel senso che quello che ho detto della mia posizione nei confronti del movimento vale o valeva in parte anche per queste altre persone; le discussioni che hanno portato a Primo Maggio sono state relativamente più ampie di quello che successivamente si è cristallizzato nel gruppo che poi lo ha fatto effettivamente. Comunque, le persone che hanno iniziato questa rivista sono state, oltre a me, Sergio Bologna soprattutto, Franco Mogni, Primo Moroni e Giancarlo Buonfino. Alcuni, come Sergio Bologna, erano passati attraverso il movimento e non venivano dal PCI, altri, come Primo Moroni, venivano dal PCI, se ne erano allontanati e avevano costeggiato (non erano ancora passati attraverso) il movimento in quegli anni, ne erano stati però sollecitati positivamente e avevano preso decisioni riguardanti la loro vita: Moroni aveva smesso di fare quello che stava facendo e, nel '71, aveva messo in piedi una libreria a cui diede il nome di Calusca dal posto dove si trovava, e con lui cominciammo a discutere di questa cosa. Franco Mogni era un emigrato argentino in Italia, figlio di italiani, lavorava nell'editoria, da Mondadori, e pur avendo rapporti con il mondo dell'emigrazione latinoamericana, con Lotta Continua in quel momento, anche lui veniva dal Partito Comunista argentino, da cui si era poi distaccato in anni recenti. Pur intrattenendo rapporti, come del resto Sergio Bologna, con Lotta Continua, nessuno di noi era membro di alcuno dei gruppi allora esistenti: questo è il presupposto di fondo, cioè di riuscire a mettere in piedi un'iniziativa contemporaneamente di segno politico chiaro, di un qualche impegno culturale, di una certa rilevanza, capace di contribuire sul piano dell'elaborazione teorica alla vita dei movimenti, o del movimento in generale, senza però riconoscersi in nessuno dei gruppi allora esistenti. Questa è stata la nostra scommessa, la quale era assolutamente condivisa da tutti noi, che in parte esemplificavamo nella nostra storia, in misura maggiore o minore, esattamente questo tipo di collocazione dentro o attorno al movimento.
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