Ci sono stati ovviamente movimenti come quello del '77, che non è stato solo partito armato, ma è stato una serie di altre cose, riviste come Controinformazione, riviste di altro tipo, che hanno continuato ad esistere. Il livello dell'attacco è stato per forza più selettivo: per poter attaccare il partito armato, è stato necessario permettere di vivere ad una parte della sinistra che non si riconosceva nel Partito Comunista, proprio per poter esercitare una rottura. Da parte di questa sinistra è stato fatto uno sforzo, secondo me gigantesco, per poter continuare ad esistere e dire che non è tutto partito armato. E' questo che negli Stati Uniti non c'è stato, perché la reazione è stata terribile, ha proprio letteralmente spazzato via i movimenti sociali. Invece, in Italia, pur con tutte le contraddizioni interne, i limiti interni e i compromessi di classe della nostra sinistra, anche quando quella di governo o di suo appoggio ha fatto proprie le leggi dell'emergenza per reprimere il partito armato, anche in quel momento, nonostante tutto, la sinistra non armata ha conservato una voce, e questo è quello che ha fatto sì che le cose fossero diverse, così come il fatto che comunque esistesse nelle fabbriche uno statuto dei lavoratori, il fatto che comunque esistessero dei consigli di fabbrica, in cui potessero trovare sbocco anche e comunque componenti che non erano quelle che si riconoscevano strettamente nel sindacato.
Continuiamo nell'analisi del percorso di Primo Maggio, soprattutto nel suo rapporto con i movimenti che si sono sviluppati negli anni '70, per poi declinare e frantumarsi sul finire del decennio.
Abbiamo cercato di muoverci lungo una serie di filoni: uno era quello della storia dei movimenti operai, un altro era quello dell'analisi della società e delle trasformazioni sociali in atto, dei processi produttivi. Alcune delle ricerche erano quelle del ciclo produttivo della Fiat, riproducendo proprio i percorsi, cercando di capire in che modo funzionava la fabbrica. L'ultima cosa andava nel senso di quello che dicevo prima, cioè di quello che stava succedendo sotto gli occhi, che non sapevamo ancora che cos'era nel suo complesso, però cercavamo di capirne dei filoni: il discorso sul denaro, il suo ruolo e l'importanza della crescente finanziarizzazione dell'economia. Questo è stato un discorso che io ho praticato molto poco all'interno della rivista, proprio per questioni di expertis, ma è stato importante, proprio perché abbiamo colto all'inizio uno dei fenomeni che poi sarebbero arrivati a caratterizzare questa fase dell'evoluzione capitalistica, cioè la finanziarizzazione dell'economia e il ruolo del denaro. Poi abbiamo cercato di capire in parte il movimento del '77, ma devo dire che non ci piaceva molto: abbiamo provato a capire quello che c'era dentro, Bologna pubblicò da Feltrinelli un libretto intitolato "La tribù delle talpe", che però riproduceva pezzi di Primo Maggio ed elementi del dibattito interno e intorno alla rivista, e che era proprio il tentativo di fare i conti un po' con questo movimento e tutto quello che implicava. Poi negli anni '80 abbiamo cercato di tenere d'occhio queste cose, però a quel punto facevamo anche molta fatica e i discorsi erano meno facili. C'è poi un altro filone, che è quello di storia e uso delle fonti orali in particolare, che poi abbiamo anche praticato con alcuni interventi secondo me di grande importanza, sia dal punto di vista della teoria e della ricerca con le fonti orali, sia dal punto di vista della messa in pratica: c'è, per esempio, quella ricostruzione della biografia di Primo Moroni fatta da Cesare Bermani che, secondo me, rimane un pezzo di grande importanza e bellezza.
Negli anni '80 facevamo fatica (è questo è un discorso che non vale solo per Primo Maggio, ma per un certo tipo di lavoro intellettuale) perché noi siamo nati dentro al movimento e ci siamo mossi dentro e intorno ad esso per tutti gli anni '70; negli anni '80 l'atomizzazione del movimento fa sì che esso, come interlocutore, non esista più. Allora, un intellettuale, o un gruppo di intellettuali, o un gruppo intellettuale e politico, che vuole fare della cultura politica, che si trova a muoversi in un contesto privo di movimento, si trova in una posizione estremamente difficile. A quel punto, non posso più dire che avessimo negli anni '80 un progetto forte: sì, avevamo un progetto riconoscibile, nel senso di un certo tipo di critica della società, ancora dell'adattamento dell'analisi a quello che succedeva nella società americana, il confronto tra quello che accadeva lì e quello che succedeva nella società italiana, la messa a punto di strumenti per l'analisi anche della società italiana; però, non avevamo più un interlocutore o un punto di riferimento.
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