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INTERVISTA A BRUNO CARTOSIO - 15 MAGGIO 2000


Secondo me, questo è quello che è successo negli Stati Uniti, cioè si è ridotto il sindacato ad essere una forza essenzialmente trascurabile, il cui unico valore rimane quel tanto di capacità di controllo sulla classe operaia che è ancora in grado di esercitare nella fabbrica fordista, in modo da renderlo irrilevante e incapace di esprimere un'azione. Il sindacato nella fabbrica postfordista non ha la capacità e la forza per cercare di esercitare un controllo sui processi, e non ce le ha nella fabbrica (o nel laboratorio, o nella fabbrichetta, o nella bottega) pre-fordista, perché lì il sindacato non ci entra, non esiste più, figuriamoci se entra in questi posti che aveva già abbandonato da tempo: ma il capitale rimette in moto anche queste strutture. Non è un caso quello che, proprio in questi giorni, veniva fuori da quel Circus della settimana scorsa con l'attacco nei confronti di Cofferati, con Tronchetti Provera che parla del sindacato come di un impedimento e Calleri, uno degli ex vicepresidenti della vecchia gestione della Confindustria, definisce i sindacati come delle pastoie: questo è quello che pensano i nostri rappresentanti confindustriali. A noi a sinistra il sindacato può piacere o può non piacere, lo si può criticare o non criticare, però, come (citando un vecchio operaio) diceva in un suo scritto Paul Romano, un giovane operaio dell'operaismo americano: "Un sindacato è meglio che niente sindacato". Quale che sia il sindacato è comunque meglio di niente sindacato, perché se non hai sindacato sei nelle mani del padrone. Invece, Jimmy Hoffa, quel vecchio imbroglione e malfattore che era il presidente del sindacato dei camionisti, diceva: "In fondo, questa gente qui, cioè i padroni, non hanno mai davvero accettato l'esistenza del sindacato". E questo nella terza rivoluzione industriale diventa uno dei cardini attorno a cui gira l'azione del capitale. Là, negli Stati Uniti, il sindacato l'hanno fatto fuori, in Italia non ci sono riusciti come avrebbero voluto, proprio perché comunque questa sinistra, questa storia, questo post-'69, qui ha permesso che ci fosse una resistenza maggiore. Però, ora questo è il chiodo su cui battono, e quando un giorno sì e l'altro anche sulla stampa, dalla Repubblica al Corriere in avanti, si continua a leggere i peana e le esaltazioni del modello americano, questo è quello che vuole dire; quando si parla di modello americano significa una società nella quale il sindacato viene distrutto e viene ridotto a non contare più nulla. Questo è il senso, il capitale nella terza rivoluzione industriale è il capitale della controrivoluzione anti-operaia, antisindacale, antipopolare, è un capitale che non vuole ostacoli di nessun tipo, non vuole dover affrontare alcuna mediazione: quindi, mira alla distruzione di ogni forma di organizzazione operaia, alla frantumazione e all'atomizzazione dei contrappesi di classe. Questo secondo me è l'aspetto rilevante, che ovviamente si accompagna a tutta una serie di altri fattori che sono quelli della mondializzazione, cioè il capitale che si sposta ovunque, in tutto il mondo, dove trova terreno più conveniente, che sposta enormi quantità di capitale da un mercato all'altro grazie all'esistenza delle reti informatiche, che cerca di pagare meno tasse che può in giro per il mondo (si pensi a quest'ultimo esempio della Fiat che va in Olanda in modo da evitare di pagare miliardi e miliardi di tasse allo Stato italiano). Questo è il capitale multinazionale, o comunque transnazionale: quel capitale che fino a un certo punto ha ritenuto di avere responsabilità nei confronti della società alla quale apparteneva ora non esiste più. Il vecchio slogan "Quello che va bene per la General Motors va bene per gli Stati Uniti", come tutti gli slogan va preso come una forma di autopubblicità, ma un minimo di fondamento ce l'aveva, perché attraverso la presenza di quel grande capitale e delle sue fabbriche, negli Stati Uniti una ridistribuzione di ricchezze attraverso i salari c'è stata fino agli anni '60; le cose sono cambiate da lì in avanti, fino a quando il capitale ha preso il sopravvento, dalla seconda metà degli anni '70 in poi. Ora la General Motors fa strettamente e soltanto i suoi interessi, senza tenere più conto dei destinatari sociali del rapporto di lavoro, che sono quelli degli Stati Uniti: la GM nasce lì, i suoi destinatari, i suoi interlocutori, quelli di cui si dovrebbe occupare, sono i lavoratori degli Stati Uniti, ma non è più così da almeno 15-20 anni. Questa è una trasformazione profonda, il capitale che va dove vuole, dove gli conviene di più, senza nessun rispetto per la propria appartenenza nazionale. Il capitale si è sempre mosso internazionalmente, ma ha sempre mantenuto un centro, un proprio baricentro, ora non è più così: si mantiene gli head-quarters, cioè la case madri, negli Stati Uniti semplicemente per ragioni di equilibrio politico, perché gli Stati Uniti tutto sommato continuano a garantire una stabilità politica che molti altri posti non hanno. Ma al di là di quello nulla, intorno a sé seminano terzomondizzazione, cioè seminano in giro per il mondo miseria, disoccupazione, sottoccupazione, tempo parziale, ossia tutte le forme più strettamente convenienti per loro, tendenzialmente non contrattabili. Questo è, secondo me, il tratto dominante di questa terza rivoluzione industriale e della presenza del capitale, che in questa fase è la forza assolutamente dominante all'interno di questo tipo di conflitto, lo è stata per tutti gli anni '90 e continua ad esserlo.

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