Allora, è possibile che ci sia stata la presunzione, un po' equivoca, di dire: "Visto che noi, le nostre idee, le nostre parole, il nostro pensare si sta allargando così tanto, non abbiamo bisogno di rimetterci dentro un movimento che non siamo soltanto noi". Però, in realtà, alla lunga questo è diventato un limite. Poi c'è stata una certa chiusura anche nel senso che, negli Stati Uniti in particolare, è diventato un fatto in parte accademico: quando le università hanno aperto i dipartimenti di Woman's Studies, cioè di studi sulle donne, naturalmente il muoversi all'interno di quell'ambito e allargare l'esistenza di questi diversi ambiti nelle varie università diventa una questione di potere, quindi non è più fine a una trasformazione sociale, ma ad un prolungamento di se stessi in quanto tali e gestori di una fetta, piccola, ma comunque di una fetta di potere. Dunque, secondo me questo è un limite anche di quel movimento, come in realtà di molti movimenti, cioè la progressiva inerzializzazione e la chiusura in se stessi.
IL CAPITALE
Negli ultimi anni si è sviluppato un grande dibattito sul cosiddetto postfordismo, da molti visto come una svolta epocale. Da molto tempo tu analizzi, a proposito degli Stati Uniti, le trasformazioni capitalistiche, dall'informatizzazione, alla robotizzazione, ai cambiamenti urbanistici, alla produzione a rete e così via, parlando di terza rivoluzione industriale per sottolinearne il mutamento forte. Mantenendo quest'ottica comparativa tra Stati Uniti e Italia in particolare, e tenendo presente la compressione dei tempi rispetto alla diffusione dei modelli e delle trasformazioni capitalistiche di cui prima parlavi, come analizzi, anche tendenzialmente, le evoluzioni del modello capitalistico?
Il capitale non vive mai nel vuoto, vive di relazioni: se noi oggi facciamo questo tipo di discorso, dobbiamo per forza ragionare sui rapporti che il capitale instaura con le società all'interno delle quali agisce. Prima parlavo di terza rivoluzione industriale: a me non piace l'espressione postfordismo, perché credo che la realtà attuale sia complessa, nella quale il fordismo convive con il postfordismo e con il pre-fordismo. Questa convivenza di Ford, pre- e post-Ford, è secondo me la caratteristica della fase attuale: paradossalmente, nel momento in cui il grande capitale, a partire dalla necessità di rispondere a dei movimenti sociali, si lancia in un'avventura alla quale poi si dà il nome di terza rivoluzione industriale, non va soltanto avanti, ma va anche indietro. Per poter andare avanti, il capitale ha bisogno anche di recuperare delle forme di rapporto pre-fordista, cioè di sfruttamento totale, brutale, che non ha niente a che fare con la fabbrica fordista. Quella fordista è una fabbrica grande e ordinata, il grande capitale della terza rivoluzione industriale va oltre il fordismo, nel senso che ridefinisce e ricostruisce la grande fabbrica, il lavoro ad essa interno, l'ordine dentro di essa, mantiene viva la grande fabbrica fordista e ridà vita alla piccola struttura produttiva pre-fordista, in cui lo sfruttamento è totale, assoluto e al di fuori di ogni regola. Mentre il rapporto di lavoro fordista rimane regolato, mentre partono (non dappertutto e non allo stesso modo) degli sforzi immani per regolare il rapporto di lavoro nella fabbrica postfordista, siccome in un certo senso non ci si può occupare di tutto, il rapporto di lavoro nella fabbrica pre-fordista torna indietro ai rapporti di quelle piccole fabbrichette dello sfruttamento totale al di fuori di ogni regola. Una delle novità di questa terza rivoluzione industriale (la seconda rivoluzione industriale era proprio quella degli anni del fordismo) è che, prima di tutto, questo tipo di compresenza di ogni livello di sviluppo storico è diffuso in tutto il mondo, sia nei centri che nelle periferie; l'altro aspetto è che questa fase di ridefinizione totale ha bisogno di distruggere il sindacato come agente intermedio tra una classe operaia, che si vuole non organizzata, e il capitale, che si vuole essere l'unico agente e portatore di organizzazione.
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