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INTERVISTA A BRUNO CARTOSIO - 15 MAGGIO 2000


Questa è una cosa di cui non ho ancora parlato molte volte: in Canada insegnavo italiano e nello stesso tempo però, in particolare con un altro compagno e poi con un gruppo di altri compagni, ho messo in piedi un movimento politico, che abbiamo chiamato Movimento Progressista Italo-Québecchese (in Québec, così come in tutta l'America del Nord, non si poteva utilizzare il termine comunista). Tale movimento l'abbiamo prima messo in piedi a partire da gente che veniva a lezione da me, da persone che abbiamo conosciuto, che erano già più o meno vagamente di sinistra, perché anche lì erano anni di fermento naturalmente, quindi c'erano alcuni elementi di riferimento comuni: la guerra contro il Vietnam, l'assistenza ai rifugiati renitenti alla leva americana, i rapporti con quello che succedeva in termini di movimento nero, per i diritti civili, rivolte urbane e così via. Sono gli anni della nuova sinistra, del movimento, quindi c'era molte persone che si erano già, per conto proprio, più o meno indirizzate in quel senso, e lì abbiamo dato forma a questo gruppo, che è nato come gruppetto piccolo e che poi invece si è allargato, ha fatto una serie di attività, manifestazioni, nei due anni in cui sono stato lì abbiamo fatto un giornalino che si chiamava Il Lavoratore e che poi ha continuato a vivere per altri otto anni, cioè fino alla fine degli anni '70. Quando mi è capitato di discutere di queste cose (è la seconda o la terza volta che ne parlo in molti anni), mi è successo anche di pensare che questa cosa qui che abbiamo iniziato in due gatti ha avuto poi una durata e, tutto sommato, un'importanza politica e sociale che è stata superiore a quella dei nostri gruppi che erano nati in quegli anni lì e che, con il '75, erano praticamente spariti tutti. Questa comunque rimane una parte molto interessante intanto in termini strettamente politici, e in parte però per un insieme di insegnamenti, di educazione o di cose che ho capito e che poi ho usato quando sono tornato a casa, cioè l'impossibilità di costruire un gruppo o un'attività politica, ideologica, di creare un qualcosa di più o meno omogeneo politicamente e ideologicamente, senza tenere conto dell'ambiente sociale, delle provenienze sociali, delle difficoltà di comunicazione, delle remore ad accettare certi contenuti ideologici, o la difficoltà anche di costruire un approccio teorico discretamente coerente: queste sono cose che richiedono molto tempo, molta attività di formazione. Questo della formazione politica è un aspetto che noi allora, in quei due anni, abbiamo curato in modo straordinario, con riunioni su riunioni, seminari su seminari, secondo me senza mirare mai troppo alto, ma sempre riuscendo a far fare un passo avanti e aggiungendo ogni volta dei pezzi di analisi della realtà in modo tale da farli diventare patrimonio condiviso. Secondo me c'era molto poco dottrinarismo e molta capacità di rapportarsi con la realtà, che era complessa, in termini di casta e classe, in termini di approccio linguistico: eravamo in Québec, dove c'era anche un conflitto culturale e linguistico, in quegli anni tra l'altro molto forte, con delle spinte indipendentiste che avevano dato origine anche a dei movimenti clandestini, con azioni armate (in un caso addirittura tragica, quando venne sequestrato il ministro del lavoro Laporte, che poi venne ucciso). Quindi, anche affrontando di petto il rapporto con questo tipo di avvenimenti: nei confronti di questo tipo di cose noi quale atteggiamento abbiamo e in che modo lo organizziamo? Insomma, c'era tutta una serie di domande che partivano quasi sempre da dei dati molto reali e tornavano poi alla realtà in termini di analisi e di tentativo di modifica della realtà stessa. Io allora ero abbonato e mi arrivava regolarmente Potere Operaio, corrispondevo con esso e prima ancora con Classe Operaia, mi tenevo in contatto regolarmente con tutta una serie di compagni, alcuni dei quali erano rimasti dentro il PCI, altri ne erano usciti, altri non vi erano mai entrati, appartenevano appunto all'esperienza di Classe Operaia e poi di Potere Operaio; ricevevo poi una parte della posta della stampa della sinistra italiana. Quindi, c'era costantemente questo rapporto con quello che succedeva in Italia, e però tutto questo veniva filtrato con l'esperienza quebecchese e nordamericana. Per cui, per esempio, nel nostro Movimento Progressista Italo-Québecchese esistevano e hanno convissuto per cinque o sei anni dei compagni emigrati che erano iscritti al PCI italiano, ed erano militanti per esempio della FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie). Questo per sottolineare come, nonostante noi ci muovessimo su un terreno che non era di partito e che risentiva molto fortemente del tipo di analisi che veniva dalla nuova sinistra americana e da quella italiana, secondo me eravamo sufficientemente poco dottrinari da ammettere la convivenza dentro il movimento di persone che erano su posizioni politicamente più moderate; però, il rapporto con quello che era possibile fare era tale per cui anche dei moderati riuscivano a rapportarsi a questo movimento.

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