Avevo scritto un pezzettino per Midnight Oil, c'è una rivista che ha questo nome e di cui ci sono tanti numeri, uno sta uscendo anche adesso sugli zapatisti, guarda a come l'esempio zapatista ha cambiato il panorama politico, le lotte che si sono ispirate, i modelli di organizzazione ecc.; ma nel '92-'93 è uscito anche un libro che si chiama appunto Midnight Oil, Olio di mezzanotte, che era soprattutto sulla guerra del Golfo e però conteneva anche altri materiali, io ho scritto un pezzettino su questa storia del petrolio in Nigeria, perché lì ho visto anche proprio il rapporto sviluppo-sottosviluppo, è stata una cosa che ho visto molto chiaramente. Tu vai in queste zone dove ci sono tutte casupole di paglia, senza luce, e dietro ci sono queste costruzioni da XXX secolo della Mobil Oil ecc. che fanno l'esportazione del petrolio nell'Oceano, oppure nelle zone circostanti, e lì hanno un'organizzazione tecnologica da 2500 e proprio accanto ci sono invece questi villaggi che sono ancora semmai con il tetto di paglia e magari senza la luce. Allora, lì ho visto e ho capito la funzionalità proprio del sottosviluppo, il perché ad esempio là dove ci sono zone petrolifere c'è sempre lo stadio più disastrato, non è una coincidenza, non è una dimenticanza, ma è una progettazione: devono isolare queste zone, sottosviluppare la zona, devono creare condizioni in cui non ci sia resistenza. E poi lo crei il sottosviluppo perché ti appropri di tutte quelle risorse che invece potrebbe essere state usate dalla comunità.
Alla fine dell'86 sono tornata negli Stati Uniti perché è arrivata la svalutazione, non hanno fatto ufficialmente l'accordo, non hanno preso ufficialmente il prestito, però il nuovo governo, che era di Babangida (perché c'era stato un colpo di Stato nell'agosto dell'85), ha praticamente incrementato il piano voluto dalla Banca Mondiale, allora a un certo punto vivere lì è diventato proprio impossibile. A parte il fatto che quando sono venuta via io a me sembrava già impossibile ed era una centesima parte di quello che poi è successo come crollo del tenore di vita, ma già allora diventava molto dura: ad esempio, la scuola ti dava un assegno, andavi alla banca e questa saltava, e poi la scuola non ti pagava se tu non facevi molto lavoro. Io mi ricordo che gli ultimi mesi mi alzavo alla mattina alle sette, prendevo la bicicletta e giravo di ufficio in ufficio, andavo nei vari posti a vedere se il mio foglio era stato stampato o cose di questo genere. Io venivo in Italia a trovare mia madre, dovevo tornare negli Stati Uniti almeno una volta all'anno perché non ho mai voluto prendere la cittadinanza e quindi avevo bisogno di un timbro una volta all'anno, se no perdevo la residenza, e anche con le compagnie aeree diventava difficile. Allora sono venuta via, sono tornata negli Stati Uniti: adesso tralascio il resto, nel libro "A Thousand Flowers" c'è parte della storia di quegli anni. Quando abbiamo lasciato la Nigeria tutto era un campo di battaglia, lo erano i campus universitari, lo erano i sindacati perché li stavano attaccando pesantemente, anche fisicamente, sostituendo sindacalisti scomodi con sindacalisti di comodo, c'era stato un attacco a livello sociale, come ad esempio per quanto riguarda la pena di morte. Io ho cominciato a interessarmi alla pena di morte lì, sono sempre stata ad essa contraria, però negli anni '70 negli Stati Uniti la pena di morte era stata sospesa, il che è molto interessante, ci sarebbe da fare tutto un discorso solo su questo. Per cui negli anni grossi del mio lavoro politico negli Stati Uniti la pena di morte non era stata un problema politico, perché dal '72 praticamente era stata abolita, dal '69 non c'erano quasi esecuzioni, c'era stato il caso di Chessman prima, ma dal '69 non ce n'erano stati quasi più e nel '72 è stata sospesa; è stata poi reintrodotta nel '76, però non ci sono stati esecuzioni fino all'80. Insomma, quando sono partita dagli USA non era ancora un problema, c'erano state una o due esecuzioni, ma non si poteva neanche allora immaginare quello che sarebbe diventato. Per cui per me la pena di morte è invece diventata un problema politico in Nigeria, perché lì soprattutto con la crisi economica una delle risposte è stata che tra le gente c'è stato un grosso livello di appropriazione, la gente era disperata, perdeva il lavoro, licenziamenti, e allora c'erano tutti questi furtarelli magari con il coltello in mano che diventavano rapina a mano armata, quindi pena di morte; in ogni città della Nigeria ogni dieci o venti giorni raccoglievano sette, otto, nove, dieci persone, le portavano allo stadio e le fucilavano. Allora, in Nigeria ho cominciato a raccogliere documentazione su queste esecuzioni, fino a che sono stata lì le mandavo ad Amnesty: è un lavoro che mi è stato molto utile, nel senso che è molto chiaro che la pena di morte era un attacco di classe, perché erano tutti ex insegnanti, ex studenti, ex contadini che avevano perso la terra, quelli che avevano perso il lavoro, impiegati, soldati che però non ce la facevano, ed erano tutti furtarelli, oppure furti di macchine ma fatti a mano armata, certi sono stati condannati a morte perché hanno rubato delle cassette di birra, certi, come i contadini, hanno rubato delle sementi. E incominci a vedere centinaia di queste storie, tante fucilazioni, un dossier spaventoso: lì ho visto la globalizzazione. Infatti, adesso cerchiamo di collegare i due discorsi, pena di morte e globalizzazione, e lì ho visto come la pena di morte è direttamente collegata ai processi di globalizzazione, appunto di attacco all'occupazione, alla salute e a tutte queste cose qua.
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