Un'altra cosa è il discorso della lotta alla globalizzazione e alla distruzione pubblica, non solo, ma anche la cultura, perché dietro poi il discorso dell'istruzione c'è tutto un discorso molto più grosso; infatti, noi diciamo globalizzazione e produzione e distribuzione della conoscenza. Perché poi attraverso la liberalizzazione delle scuole passano tante e tante cose, anche il discorso della proprietà intellettuale. Adesso per esempio ci sono queste compagnie che vanno in Africa, in Cina e dappertutto ad appropriarsi delle sostanze locali: lo possono fare e lo fanno molto più speditamente perché c'è l'idea che sono loro i guardiani, che siccome i sistemi educativi e di ricerca per esempio dei paesi africani sono andati alla malora. Con l'aggiustamento strutturale sono stati distrutti, allora entrano in atto queste organizzazioni internazionali che adesso si presentano e che fanno appunto vanno a vedere le foreste, vedono quali sono le sostanze che si possono accaparrare e però lo fanno in veste non di rapinatori, non di quelli che saccheggiano il patrimonio nazionale, ma lo fanno in veste di quelli che lo salvaguardano, "perché d'altra parte in Africa chi c'è che potrebbero salvaguardarlo?". Quindi, si ammantano di questa legittimità, c'è tutto un processo di rapina del patrimonio locale che viene legittimato dalla stessa distruzione delle istituzioni. Poi ci sono i modelli culturali, c'è una piramide nel mondo con questo imperialismo culturale, per cui cos'è che si legge, quali sono i paradigmi culturali che vanno e quelli che non vanno. Per cui cose bellissime che vengono prodotte in tanti paesi non possono circolare o non hanno credibilità, quindi oggi la storia dell'Africa viene scritta a Chicago, è proprio l'assurdo: siamo tornati al colonialismo dove sono i colonizzatori che fanno la storia, siamo tornati a questo livello, sono i nuovi colonizzatori che ti fanno la storia del paese che saccheggiano e che distruggono. Allora, su queste cose qua stiamo lavorando, cercando di sviluppare rapporto anche con gli Stati Uniti: in questo momento siamo tutti per aria, è un momento di ripensamento, di discussione e di dibattito sul prossimo passo, cercando di riaggiustare il tiro. Per esempio, continuiamo con il CAAF, che include anche le Americhe, o riaggiustiamo il tiro? Continuiamo solo a livello teorico oppure con i tipi di iniziative che abbiamo fatto adesso, iniziative di supporto? Per esempio, abbiamo fatto raccolte di fondi quando in Africa c'erano gli scioperi degli insegnanti, quindi abbiamo fatto tutto un lavoro di supporto, le petizioni ecc. Oppure possiamo immaginare qualcosa di diverso, possiamo immaginare forme di collaborazione con gente di tipo diverso, e questo è un discorso che sta andando avanti. Lo stesso avviene con un altro giro di gente sulla pena di morte, questa è una cosa su cui voglio lavorare di più: io sto cercando di collegare a questo un discorso femminista, di fare sì che il discorso sulla pena di morte prenda piede dentro il movimento femminista, perché è uno scandalo che non ci sia. Tante donne oggi hanno paura di identificarsi e di fare il discorso "questi che ammazzano sono nostri figli", di fare un discorso che veda la donna lottare come madre, un discorso che ho fatto io in questi anni: "questa è la patria potestas portata al massimo, lo Stato che si prende i nostri figli". Questo è un discorso che il movimento femminista dovrebbe fare in prima fila contro la pena di morte, per tutta una serie di ragioni: la cosa non sta passando molto facilmente, è più facile magari sulle prigioni. Allora, ciò è una cosa a cui sto pensando, come invece creare un tipo di rete femminista sulla pena di morte. Anche perché gran parte delle persone che fanno lavoro sulla pena di morte sono donne, sono tutte donne in nero anche in questo caso, ci sono delle donne bravissime, in questi anni ci sono delle donne che sono degli eroi, fanno dei lavori enormi con risorse molto scarse e con un'esperienza quotidiana di drammi, proprio la tortura quotidiana, donne molto consapevoli del significato della pena di morte in generale. Una mi ha detto: "Vieni nel Texas e vedi punto per punto che hanno riprodotto la piantagione, ciascuno è ancora al suo posto: i bianchi invece che essere i guardiani della piantagione adesso sono le guardie, i neri sono in prigione, e si è proprio riprodotta la struttura della piantagione". Adesso mi sto occupando anche del discorso dell'immigrazione, soprattutto attraverso i contatti con donne immigrate: anche lì ci sono donne molto brave, specialmente nella zona dove insegno ma anche a New York. C'è un lavoro sulle immigrate che fanno lavori domestici, stanno facendo cooperative in modo da avere potere contrattuale, ormai stanno incominciando ad organizzarsi per dire "no, certi tipi di lavoro non li facciamo, dobbiamo avere questo tipo di salario, non accettiamo certi livelli". C'è un'organizzazione grossa che si chiama Gabriela, è un'organizzazione delle filippine con cui lavoro ogni tanto, facciamo delle cose insieme: Gabriela è un'organizzazione ombrella che nella Filippine raccoglie gruppi di vario genere, gruppi che chiamano di povere urbane, di contadine, sono tutte donne, quelle che fanno lavoro sul traffico delle donne, sui diritti civili. C'è un'enorme emigrazione filippina all'estero, anche in Italia ci sono 60.000 filippine, infatti vogliono impiantare Gabriela anche qui, loro ci tengo ad avere anche qui una sezione. Ci sono tutte queste donne filippine che sono sparse per il mondo in condizioni spesso atroci, nel Medio Oriente quando arrivano portano loro via il passaporto per cui non possono neanche scappare se vogliono, vengono picchiate, ci sono stati casi famosi, ad esempio di quella ragazzina che deve essere condannata a morte. Allora, hanno messo assieme delle sezioni, cercando di mettere un collettivo dovunque ci siano donne filippine, e a New York fanno molto lavoro sia per quanto riguarda le domestiche sia sulla prostituzione. Poi ci sono gruppi di donne immigrate che fanno lavoro sulle scuole, perché in pratica impediscono ai bambini immigrati non documentati di andare a scuola, di essere iscritti, chiedono ai genitori un certo tipo di documentazione che loro non possono produrre e quindi il bambino viene escluso. Poi ci sono quelle che fanno lavoro sui diritti delle donne, perché è anche vero che il problema dell'emigrazione è cento volte più pesante per le donne, per tanti aspetti a cui magari non ci si pensa, come l'immigrata che vuole abbandonare il marito ma dipende da lui per via della carta, perché magari lui la picchia. Insomma, rispetto alle donne il discorso è molto diverso. Allora, nel mio futuro voglio lavorare molto di più con queste organizzazioni.
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