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INTERVISTA A SILVIA FEDERICI - 18 DICEMBRE 2000

Mentre invece là sentivi sia la resistenza della gente a un certo tipo di vita, a un certo modo di concepire la vita, sia anche che lo Stato è uno Stato debole, sarà crudele, ti uccide, ma è anche uno Stato debole, l'infrastruttura statale è estremamente debole. Infatti, c'è una cosa che poi ho ritrovato anche con tanti compagni nei Caraibi, a differenza degli Stati Uniti dove nessuno in effetti progetta la presa del potere: in Africa incontravi continuamente gente che progettava di prendere lo Stato, proprio il progettare di prendere lo Stato in modo molto concreto, magari con sogni romantici, con sogni assurdi, perché pensavano a certi percorsi dell'America Latina, all'apparato dell'esercito, c'era sempre l'idea che una parte dell'esercito al di sotto dei colonnelli potesse essere radicalizzata, il sogno di tanti compagni africani quando ero là era praticamente quello che Chavez rappresenta oggi in Venezuela, cioè l'esercito che fa un colpo a beneficio delle masse e guidato dalla sinistra, insomma Nasser, Chavez, questo tipo di modello. Però, oltre a questo, era una cosa molto grossa perché ti diceva: "guarda, c'è la possibilità, lo Stato non è invincibile, non è questo scoglio insuperabile come spesso appare negli Stati Uniti". Lì ho lavorato anche con un gruppo di donne, in effetti era la prima organizzazione femminista, si chiamava WIN, Woman In Nigeria, e abbiamo fatto delle belle cose: cominciavano allora ad organizzarsi a livello nazionale, nell'84 c'è stato un anno di dibattiti perché nell'85 c'era la conferenza delle Nazioni Unite a Nairobi. Allora, praticamente per tutta la Nigeria ci sono stati gruppi di lavoro ed hanno fatto il documento, io ho partecipato e ho fatto anch'io un pezzo di questo documento che poi le donne hanno portato a Nairobi alla conferenza delle Nazioni Unite, che fu la prima in Africa, prima c'erano state quella di Mexico City e poi quella di Copenaghen. Io dovevo andare a Nairobi, invece la settimana prima la mia università è scoppiata: già quando sono arrivata l'università era in sciopero, perché il governo aveva deciso di prendere i prestiti e cominciavano i tagli al budget universitario, decidendo di fare pagare agli studenti i pasti. Questa a noi forse può sembrare una cosa nemmeno troppo catastrofica, però là effettivamente lo era perché tanti studenti non venivano da famiglie ricche, allora per tanti voleva dire non mangiare. Anche quando c'erano i pasti li davano molto molto scarsi, infatti in quegli anni nel campus dove io vivevo c'erano le scritte "zone di fame": quindi, studenti che scioperavano perché non veniva loro dato da mangiare, perché con la scusa che i fornelli erano rotti non si davano i pasti. Nei giorni del luglio, quando c'è stata la conferenza a Nairobi, praticamente c'era il campo coperto di tir-gas, come si diceva: è entrata la polizia in massa nei due o tre dormitori, sfracellandoli, picchiando studenti. Questo è stato l'inizio, lì in quel periodo succedeva anche in altri campi universitari, in quel caso specifico è stato perché l'organizzazione degli studenti, ANS, aveva organizzato una grossa riunione in questo campo ed erano i momenti in cui il governo voleva dichiararla illegale, la stava dichiarando illegale. Allora, hanno fortemente circondato i campi, impedendo alle macchine di arrivare, ci sono stati scontri, insomma è stata una cosa molto grossa.
L'Africa ha significato tutte queste cose e poi ha significato proprio il discorso della Banca Mondiale, del Fondo Monetario, lì ho imparato chi erano queste organizzazioni, prima erano nomi, ho imparato il discorso della globalizzazione in atto, perché poi ho cominciato a vederla, lì continuamente ha nuove svolte, a vedere i risvolti. C'è ad esempio l'attacco contro i venditori ambulanti. In Africa la maggior parte delle donne lavorano come contadine su terreni di sussistenza, soprattutto nel mercato della sussistenza, oppure vendono il prodotto, tante donne vendono verdura e via dicendo: i mercati sono tenuti dalle donne, ma ci sono anche tanti mercati spontanei, a parte i mercati ufficiali dove magari chi vende ha la licenza (ci sono anche donne con parecchi soldi), ci sono poi moltissimi mercati spontanei, dove chi vende ha cinque cipolle. Vederli da un giorno all'altro spazzati via, vedere continuamente la polizia che distrugge i baracchini di queste donne che è tutto quello che hanno, tutto ciò è stata un'esperienza grossa. Poi io ero nella zona degli Ogoni, e tutto attorno c'erano le zone petrolifere, noi andavamo e vedevamo: si vedeva il disastro delle compagnie petrolifere, la violenza del rapporto della produzione di petrolio, per cui c'erano zone molto belle e coltivate e poi decidevano di costruire e da un giorno all'altro non aspettavano neanche cinque minuti che la gente raccogliesse le cose che venivano a maturazione, e vedevi i campi che erano completamente coltivati, pronti per il raccolto, che venivano spazzati dalle ruspe, tutte queste cose di una violenza enorme.

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