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INTERVISTA A SILVIA FEDERICI - 18 DICEMBRE 2000

Secondo te i sindacati si muovono così perché hanno una grossa dimensione ideologica nazionalista oppure perché dietro a questo c'è la difesa degli interessi di un particolare strato di classe?

Io credo perché hanno una prospettiva proprio capitalistica più che nazionalista, diciamo nazionalista nel senso dell'America come rappresentante del capitale. Io penso che questa sia la loro storia, perché vengono fuori da tutti quei movimenti di epurazione del dopoguerra. C'è dunque questo più che gli interessi di un determinato strato di classe, perché è chiaro che ci sono anche gli strati di classe privilegiati, però questi sono anche molto variabili a livello proletario, oggi si pensa a quelli che lavorano nella tecnologia ad un certo livello. Io credo che sia una visione più fondamentale.


A partire dalla fine degli anni '50 molti guardarono agli Stati Uniti come possibilità di una lettura di anticipazione sotto diversi punti di vista: per quanto riguarda i processi capitalistici, per certi cambiamenti della composizione di classe, per le lotte e le forme organizzative, per un certo tipo di uso alternativo di alcune discipline, come la sociologia, che allora in Italia era quasi completamente nuova. Quanto secondo te è stato importante allora e quanto lo può essere oggi guardare comparativamente agli Stati Uniti come possibilità di anticipazione?

E' stato importante allora perché secondo me, dagli anni '60 alla metà degli anni '70, c'è stata una specie di rivoluzione anche dentro l'America, per cui se è vero che l'America forse è sempre stata un po' un riferimento dell'operaismo italiano, anche l'America degli anni '30-'35, sono state cose molto grosse. Quelli sono stati anni di rottura talmente grossa che secondo me giustamente l'attenzione si è focalizzata lì, anche se forse si è focalizzata troppo sul movimento di fabbrica e magari non abbastanza su quello che viene chiamato il movimento dei diritti civili, che secondo me invece andrebbe chiamato movimento contro l'apartheid, contro la schiavitù. Cioè, noi adesso diciamo, restringendo un po' i termini, che la schiavitù in America non è mai finita, e infatti per quello la pena di morte è sempre stata così importante, perché in effetti la pena di morte è la pena per gli schiavi: se si fa i conti, dopo che era finita la guerra civile, c'è stato in America l'apartheid, era uno Stato come il Sudafrica, una situazione quasi uguale fino alla fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60. Quindi, praticamente in America si è consumata una rivoluzione con l'attacco e la fine dell'apartheid, c'è stata effettivamente una rivoluzione da quel punto di vista: il movimento dei neri ha scardinato, ha mosso, ha mobilitato, ha avuto influenza su tutti i movimenti, ha avuto influenza su tutte le realtà politiche, direttamente o indirettamente non c'è stato un ambito o uno spazio politico che non sia stato incentivato e ispirato dal movimento dei neri. Io credo che forse si sia ristretto un po' troppo l'angolo visuale a volte, nel senso di vedere la fabbrica in un modo un po' troppo stretto, di non vedere abbastanza tutto il sociale che era parte poi della fabbrica. Un esempio come Drum aveva dietro tutta la storia che non era solo la storia di fabbrica, era la storia del movimento nero, anche del movimento delle donne in welfare, era una storia che si ispirava al movimento contro la guerra del Vietnam. Adesso siamo in un momento diverso, due o tre anni fa avrei detto che siamo all'opposto, adesso non lo dico più perché secondo me c'è molta attività in questo momento: essa non è ancora coordinata, non è collegata, non si capisce, però ora non c'è una situazione politica morta negli Stati Uniti. Infatti, fino a due o tre anni fa in America la situazione era abbastanza terrificante, abbiamo passato dei periodi con grandi livelli di pesantezza, in cui non riesci a muovere niente, sembra sempre una sconfitta continua; spesso l'Italia ci sembrava molto viva, invece adesso comincio ad avere l'effetto opposto, in America mi sembra che ci siano tante cose che stanno succedendo, se avessi una giornata di 50 ore non farei tutte le cose che potrei fare. Mi sembra che qui in Italia la situazione sia molto pesante. Allora, diciamo che anche lì gli effetti della globalizzazione hanno fatto sì che adesso ci sia in America una realtà tutta nuova, perché quella che chiamiamo la comunità immigrata è esplosa. Per dire, New York è una città diversa da quella che io conoscevo negli anni '70 e anche '80; io sono tornata dalla Nigeria e ho trovato un'altra New York, una città dove c'è il numero di messicani e messicane che una volta vivevano a Los Angeles, nelle zone del confine; adesso New York è una città dove ci sono grosse comunità di immigrati di tutta l'America centrale, dell'America Latina, dal Guatamela, ci sono i primi quartieri domenicani, ci sono quartieri messicani, oltre ai vecchi portoricani che ci sono sempre stati ci sono africani, gente di Trinidad, dei Caraibi. E lì c'è dentro un'enorme quantità di lotte. Poi c'è tutto un grande movimento studentesco, ci sono anche movimenti di carattere ecologista, di quartiere, si è molto creata una mobilitazione di quartiere. Allora, secondo me in questo senso di nuove realtà di classe è ancora importante guardare agli Stati Uniti, anche perché sempre di più le due Americhe sono unite, nonostante abbiano fatto queste maxidivisioni in realtà non riescono a controllare l'emigrazione. Adesso loro vorrebbero organizzare una recessione, ma c'è un tale numero di immigrati che è veramente difficile farlo: cosa fanno, disoccupazione di massa? Possono affrontare una situazione politica in cui c'è una realtà che va al di là di certi termini? Cosa fanno, deportazioni di massa? Deportano chi è venuto nel momento del boom? Che poi c'è molta più gente di quella che avessero programmato, perché ormai il problema è solo che la gente entra dappertutto. Quindi, c'è una situazione secondo me molto importante, non solidificata, anche se stanno tirando fuori tutti gli artigli e tutte le forme repressive che possono, per esempio a Washington e a Filadelfia hanno scatenato proprio di tutto, anche se poi questi processi sono stati annullati, le pene sono state buttate via. Quindi, io direi che è importante perché c'è una realtà di classe diversa, nuova e molto combattiva.

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