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INTERVISTA A SILVIA FEDERICI - 18 DICEMBRE 2000

Anche perché in questi ultimi due anni hanno allargato il numero dei crimini, per cui adesso a Cuba si può condannare a morte gente anche per i cosiddetti crimini sociali. Non solo, abbiamo fatto questo anche perché in questo momento c'è una politica americana molto grossa, pesante, nei confronti dei Caraibi, che vuole allargare la pena di morte anche lì, e sta funzionando: per esempio, hanno convinto il governo di Trinidad a ripristinare la pena di morte e lì hanno già impiccato dieci persone in tre giorni, tre al giorno. Questo ha aperto proprio il rubinetto, adesso la Giamaica ha un livello di condanne a morte molto molto alto. Noi abbiamo compagni a Trinidad e nei Caraibi e abbiamo saputo che c'è stata proprio un'opera di pressione da parte degli Stati Uniti perché la pena di morte venga utilizzata, e questa pressione è stata portata avanti anche nei confronti dell'America Latina, per cui c'è stato addirittura un dibattito in Messico se ripristinare o no la pena di morte, che poi non è passata. Allora, detto tutto questo, a noi sembrava veramente pazzesco che Cuba avesse la pena di morte, perché questo ti taglia le gambe, tu vai in giro a parlare e la gente dice che la pena di morte è una barbarie, solo i paesi incivili hanno la pena di morte e robe di questo genere, e poi ti trovi continuamente davanti al fatto che Cuba ha la pena di morte; quindi, diventa abbastanza difficile, anche solo dal punto di vista strettamente utilitario, al di là del fatto che noi siamo contrari perché abbiamo fatto tutta una serie di azioni politiche per cui secondo noi pena di morte vuol dire un certo tipo di organizzazione, cioè la pena di morte collegata a organizzazioni del lavoro schiavistiche, che tendono allo schiavismo, che tendono allo sfruttamento. La pena di morte non ha ragione di essere, se non dentro regimi basati sullo sfruttamento, questo è il nostro discorso. Quindi, abbiamo fatto quell'equazione lì; però, c'è anche tutto l'aspetto direttamente utilitario rispetto al fatto che sempre meno puoi giustificare la tua lotta contro la pena di morte dicendo "non è possibile, non è accettabile umanamente". Abbiamo fatto una votazione, abbiamo perso per pochi voti, poi dopo c'è stato un dibattito a Cuba, infatti George Caffentzis è andato, ha fatto un lavoro bellissimo, c'è stato un grosso dibattito tra intellettuali e attivisti cubani: lui ha fatto un rapporto molto grosso, avevamo costruito un documento, intitolato "La pena di morte e il socialismo", poi con riferimento più specifico a Cuba e alla situazione del momento. Fra l'altro devo dire che su questo gente come Chomsky è stata molto brava, ci ha appoggiato, anche Howard Zine e altri ci hanno appoggiato, hanno detto "qui non si passa, la pena di morte assolutamente no". Invece, a Cuba in trenta si sono alzati e praticamente uno dopo l'altro hanno detto: "No, a noi serve per il destino della rivoluzione". Direi che è una cosa triste, se il destino della rivoluzione dipende dalla forca non è un buon sintomo.
Allora, con questo abbiamo chiuso lì, e adesso questo per me è un momento di ripensamento, sto lavorando sul CAAF, scrivo sempre e sono collegata a varie situazioni di donne, soprattutto donne immigrate, perché dove insegno c'è una grossa comunità di immigrazione, soprattutto dal Salvador. In questi anni mi sono occupata soprattutto di questo, anche perché sono convinta che l'immigrazione negli Stati Uniti sia proprio uno dei terreni centrali, infatti credo che le lotte più grosse negli Stati Uniti le stiano facendo i migranti. C'è un progetto da parte mia e di altre donne e uomini che lavorano all'università di stabilire dei contatti con questa comunità migrante, di portarla nella scuola. Abbiamo già fatto l'anno scorso un grosso incontro che è stato molto buono e positivo, sono venuti rappresentanti di tutte le organizzazioni di lavoratori, di gente che fa lavoro sugli immigrati, sulla scuola, sui diritti civili, adesso poi c'è questa campagna per l'amnistia degli indocumentati che sta andando avanti ed è una cosa molto grossa. Queste sono le cose che in questo momento sto facendo, scrivo materiali cercando di portare avanti il discorso femminista, soprattutto rispetto alla situazione attuale, sia la situazione della capitale sia la situazione del movimento femminista internazionale, poi anche sul discorso donne e globalizzazione, perché sono cose su cui ho lavorato. In particolare la cosa su cui ho lavorato rispetto al discorso femminista è stata una critica della subordinazione del movimento all'agenda e alla politica delle Nazioni Unite. Poi il discorso donne, globalizzazione e guerra, che secondo me sono collegati, la globalizzazione è innanzitutto una guerra contro le donne.

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