Poi nel nostro paese tutto questo è aggravato dal fatto che noi avevamo uno Stato che era da buttare già da un pezzo, e quando ci decideremo a buttarlo del tutto sarà sempre troppo tardi, perché è uno Stato che sotto tutti i punti di vista (anche proprio in quello specifico, pesante, di amministrazione pubblica) è un disastro, perché è stato funzionale a tutto quel mondo di cui parlavamo prima, ha vissuto di quello, è cresciuto in maniera cancerosa dentro quel mondo lì e con quel mondo in parte sta cominciando a crepare. Però è un processo lungo, che non so neanche se si compirà mai perché poi si intreccia anche con altri meccanismi del potere e della trasmissione del potere che non si vedono in superficie: parlo del potere che è in mano alle persone, che è fatto di relazioni tra persone, tra famiglie, è un potere che non vedi perché non è situato da nessuna parte, che fa un cumulo di relazioni tra uomini che occupano posizioni nello Stato, uomini che occupano posizioni nella politica, uomini che occupano posizioni nell'economia, che sono amici e parenti tra di loro e che collocano i loro figli e nipoti in determinati posti. Questa è l'infrastruttura del potere ed è ancora più difficile da far cambiare.
Il nodo della classe: c'è chi parla di una sua scomposizione e frammentazione, c'è chi parla di una sua polverizzazione, c'è chi parla della sua fine. Lei cosa ne pensa?
Questa è proprio una cosa di cui non riesco a parlare, mi era venuto in mente appunto leggendo il documento di presentazione. Cos'è la classe? C'è qualcuno che è in grado di mostrarmi in natura un qualche cosa che si chiama classe? Ma dico in natura proprio, poi concettualmente si possono inventare tante cose. Io francamente non la vedo. Una volta che è venuto meno un modo di produzione che produceva forti omogeneità e che vedeva queste omogeneità rinforzate dalla condivisione di ideologie, di fini, di motivi etici, di abitudini, e che è venuta meno questa cosa credo che siamo d'accordo tutti, poi si può divergere su cosa ha generato questo venire meno ecc., ma una volta venuto meno questo che senso ha parlare di classe? Ora lo dico, mi viene in mente per la prima volta: realmente l'uso del termine classe è invalso e ha avuto un senso finché si poteva parlare di due, tre classi, ma in una situazione in cui si dovrebbe parlare di 57, 62, 111 classi forse quella è una cosa che interessa chi si occupa di scienza naturale, che deve classificare gli animali, gli insetti ecc., ma ha interesse per chi analizza la società? Sono domande che mi faccio. Certamente io ho vissuto la fase in cui tutti quanti ci siamo detti cosa ne restava della classe operaia, che trasformazioni subiva; dal momento in cui è stato chiaro che non aveva più senso parlare di classe operaia perché non c'era, intanto perché cominciavano a non esserci più gli operai e comunque quelli che rimanevano avevano comportamenti e valenze sociali diverse da quelli del passato, da quel momento lì in poi io mi sono chiesto che senso potesse avere continuare a parlare di classe. Certo, ci possono essere convenzioni linguistiche, allora va bene, uno decide che chiamiamo classe tutte quelle aggregazioni di persone che sono caratterizzate dalle seguenti cose, allora possiamo chiamare classe l'aggregazione di tutte quelle persone che condividono un qualche cosa, una finalità, uno stile di vita, uno stile di lavoro, una condizione ecc.; però, se utilizzando il termine classe, invece, si vuole suggerire che c'è una continuità rispetto a una configurazione di classi che c'era prima, questo mi pare addirittura fuorviante. Certo, io oggi potrei fare l'esercizio di ricostruire delle classi, sia come esercizio analitico, intellettuale, sia come esercizio anche di pratica politico-sociale, ma con un senso e con modalità che segnano una cesura netta rispetto ai contenuti e al senso che ha avuto il termine classe nella società che ci siamo lasciati alle spalle. Allora mi chiedo appunto che senso ha parlare di classe, perché vedo questo rischio, che se ne inferisca una sorta di continuità dove invece quella che va letta è la discontinuità.
Se, nell'ambito di questa conricerca, dovesse fare una domanda a una persona che è stata interna ai percorsi di cui lei ha fatto parte, a chi la farebbe e che cosa chiederebbe?
Non mi viene in mente né la persona né la domanda. Mi piacerebbe un'altra cosa, mi piacerebbe svolgere con alcuni di questi personaggi che abbiamo anche nominato (Tronti, Romano Alquati, Gasparotto, Negri) una conversazione del tipo di quella che abbiamo fatto noi stasera.
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