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INTERVISTA A LAPO BERTI - 12 LUGLIO 2000


Io vedo la sinistra oscillare tra questi estremi e mi sembra che ancora una volta sia abbastanza deserto il campo in cui si tratterebbe di fare i conti con le cose stesse (usando una terminologia husserliana), quindi ragionare sui concetti ma partendo dalle cose. Questo mi pare che sia ancora da fare e in qualche modo questa deficienza attuale la riconnetto a quella chiusura di orizzonte politico che c'è stata nell'esperienza della sinistra italiana e anche della sinistra alternativa. Ora ovviamente io sono portato a esprimere prevalentemente i giudizi critici e negativi, forse è più interessante questo che stare a dire quanto è stato bello quello e quanto è stato bello quell'altro: indubbiamente ci sono stati aspetti, sia dal punto di vista dell'esperienza che anche dal punto di vista degli eventi politici che si sono prodotti, che sono positivi, che comunque hanno avuto ricadute positive, lungi da me buttare tutto a mare. Però, riguardando un po' in prospettiva, come suggerisce una conversazione come quella che stiamo facendo, mi vengono da dire queste cose, pensare quanto ci ha condizionato e quanto ancora condiziona quella storia lì. Forse noi non ce ne siamo neanche resi conto nelle esperienze extraparlamentari di quanto, pur ribellandoci e pur rifiutando tanti stereotipi, eravamo vittime ancora della cultura del marxismo così come si era sedimentata nella versione terzinternazionalista, comunista ecc. Apro una piccola parentesi: dire che io l'avevo capito sarebbe dire troppo e non voglio assolutamente rivendicarlo, però sicuramente una componente del mio disagio, soprattutto nella fase potoppista, deriva certamente un po' da questo, c'è questa componente che è l'insoddisfazione per l'incapacità di confrontarsi con altre culture, di avere un orizzonte di ricerca teorica e di confronto politico più ampio. Devo dire che questa cosa fu anche in parte consolidata dall'esperienza che io ho fatto: mi sono occupato (forse anche questa fu una scelta che era un pochino un tentativo di tirarsi fuori da una situazione che mi piaceva sempre meno) dei rapporti internazionali di Potere Operaio, ne sono stato responsabile per diverso tempo insieme con Ferruccio Gambino, ho girato parecchio e ho conosciuto molti ambienti in Svizzera, in Francia, in particolare in Germania, ambienti dove il peso della tradizione marxista e comunista era molto inferiore (un giro che ho frequentato a lungo allora era quello di Cohn-Bendit, che sicuramente tutto era tranne che un marxista). Mi aveva dato da pensare questa cosa, le difficoltà di dialogo che c'erano tra noi, tra i gruppi italiani (in particolare il nostro) e i gruppi della sinistra alternativa tedesca, svizzera ecc. erano proprio impressionanti; per cui pur partendo qualche volta da elementi comuni, da valutazioni comuni della situazione, da schieramenti comuni su tematiche e su fronti sociali, poi dopo i ragionamenti che se ne sviluppavano e i linguaggi che si parlavano erano completamente diversi. Quindi, questo già allora mi aveva dato molto da pensare.


Quali erano invece il dibattito e le varie posizioni interne a Classe Operaia? Ad esempio sul discorso classe-partito si evidenziano in modo chiaro le divergenze che poi saranno uno degli aspetti che porteranno alla fine dell'esperienza.

Lì credo che si possa dire che all'interno di Classe Operaia si sono enucleate, anche se non sono venute alla luce in tutta chiarezza, le due posizioni classiche: quella movimentista, che un po' sottovaluta il problema dell'organizzazione e comunque lo subordina, quindi è basista, è democraticista ecc., ed è quella a cui mi iscrivo io; e una posizione invece che tende ad accentuare il problema del partito, il problema dell'organizzazione, il problema della guida e compagnia bella. Dentro Classe Operaia queste cose sono state in tempi successivi rappresentate da Tronti stesso, poi però ognuno se le viveva dandogli delle curvature proprie. Io sono abbastanza dell'idea che, al di là di quello che era il discorso che veniva sviluppando Tronti, così lucido, con i suoi passaggi, dove appunto a un certo momento arriva il partito, il gruppo Classe Operaia non ebbe un'evoluzione in quel senso lì, un'evoluzione verso il partito, rimase invece divisa orizzontalmente. Sicuramente, ad esempio, quello fiorentino era un gruppo più movimentista, molto più interessato all'analisi delle lotte, alle problematiche dell'autorganizzazione delle lotte, delle forme spontanee di organizzazione delle lotte piuttosto che alla problematica del partito: ovviamente con questa ci confrontammo perché ce la mise sul tavolo Tronti, però questo era un po' l'orientamento.

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