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INTERVISTA A LAPO BERTI - 12 LUGLIO 2000


Erano tra l'altro entrambi i due saggi tutto sommato favorevoli alle tematiche che prendevano in oggetto, quindi io portavo avanti un ragionamento in cui non c'era un rifiuto di principio dei processi di privatizzazione, anzi si cercava di indicare quali potevano essere argomenti a favore addirittura delle privatizzazioni, e lo stesso anche per la problematica della concorrenza: come ci si può immaginare, all'interno della sinistra di derivazione comunista (ma non solo quella) queste ancora allora (quindi solo dieci anni fa) erano un po' bestemmie per i più. Quindi ci furono notevoli discussioni e pressioni perché certi toni venissero ammorbiditi, certe cose dette in maniera più soft, ma insomma di fatto sono uscite come io le avevo concepite. Dopo di che, questa Autorità è stata formata la prima volta (la legge è dell'ottobre del '90), subito dopo viene costituita. Essa funziona così: c'è appunto l'Autorità, che è un organismo collegiale composto di cinque persone che sono nominate dai presidenti della Camera e del Senato e c'è un presidente tra questi cinque, e loro sono quelli che applicano la legge sulla concorrenza e decidono su tutti i casi che vengono proposti. Poi, sotto questa Autorità, ma ovviamente facente parte dell'insieme, c'è una struttura (attualmente siamo 170-180) che, secondo una serie di procedure che sono in parte dettate dalla legge, analizza i diversi casi che possono configurare un'infrazione delle leggi della concorrenza: queste analisi vengono proposte al Collegio, ai cinque che prendono la decisione e assolvono o condannano. E' un procedimento che assomiglia abbastanza a quello di un tribunale. Tra i primi cinque che furono nominati nel novembre del '90, siccome essendo in Italia è ovviamente un organismo rigorosamente spartito da manuale Cencelli, c'era il rappresentante di quello che era già PDS, il quale conosceva questi miei lavori: io lo venni a trovare perché mi interessava continuare a occuparmi di questo discorso, visto che appunto cominciava a esistere una struttura che dava attuazione alle problematiche di cui mi ero occupato, venni qui, me ne tornai a casa carico di relazioni, documenti e cose del genere. Qui l'avevano formato inizialmente come un nucleo molto ristretto, in un periodo successivo si posero il problema di un ampliamento e appunto mi fu proposto se ero interessato a venire a lavorarvi, mi fecero un contratto di due anni che io accettai, anche se era un grosso rischio perché accettavo di trasferirmi da Milano a Roma con un contratto di due anni dopo di che non si sapeva cosa ne sarebbe successo; inoltre l'ambiente era molto difficile, a me totalmente estraneo, lo è in parte anche tuttora dopo sette anni che ci sto. Però, dopo i due anni il contratto mi è stato rinnovato per altri quattro, dopo di che c'è stato un concorso che ho vinto e attualmente sono a ruolo, come dirigente di questo organismo. E così siamo arrivati all'oggi, quindi è insomma un percorso un po' complicato.


Qual è il suo giudizio politico sull'esperienza di Classe Operaia, analizzandone le ricchezze e soprattutto i limiti? Come analizza il dibattito interno e le posizioni che si svilupparono dentro Classe Operaia?

Non è mica facile dare un giudizio. Butto lì delle cose perché, nonostante varie volte mi sia ripromesso di ritornarci un po' più sistematicamente a ragionare sul senso di questa esperienza, in modo da formarmi anche un giudizio diciamo così storico sulle vicende a cui ho avuto la fortuna o il difetto di partecipare, in realtà poi non l'ho mai fatto; quindi sono giudizi che, nonostante vengano dopo molto tempo, non sono per niente sedimentati e sono un po' così all'impronta, dunque li si prenda come tali. L'esperienza di Classe Operaia secondo me è stata molto importante perché ha consentito di smarcarsi rispetto a una lettura canonica del marxismo, a una visione della politica italiana marcata dal confronto comunisti-socialisti: quindi, ha aperto orizzonti, io la leggo e la ricordo così. Probabilmente aveva ragione Tronti quando diceva e dice che quell'esperienza aveva esaurito la sua spinta politica innovativa già nel '64-'65. Io non ho mai capito fino in fondo cosa avessero in mente i comunisti di Classe Operaia, cioè Tronti e gli altri, perché anche Classe Operaia era abbastanza equamente divisa tra gente di provenienza comunista (buona parte del gruppo romano) e gente proveniente da altre esperienze (socialista, con nessuna esperienza o addirittura di esperienza cattolica com'è il caso di Toni Negri). Dunque, cosa avessero in mente fino in fondo i comunisti non l'ho mai capito: io ritengo che loro avessero in mente anche una battaglia politica dentro il partito, che risultò abbastanza rapidamente impraticabile, se per battaglia politica si intende una cosa dove conquisti posizioni, non una cosa che fai per testimonianza.

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