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INTERVISTA A LAPO BERTI - 12 LUGLIO 2000


Si tenga presente che questo ha significato anche una scelta di vita, perché io poi sono abbastanza radicale nelle mie scelte, e mentre molti compagni allora (più intelligenti di me, in questo caso davvero, o diciamo più furbi) tentavano e riuscivano a tenere il piede in più scarpe, io questo non l'ho fatto: sono uscito dall'università perché, nonostante avessi avuto a che fare forse con alcuni dei pezzi migliori che l'università italiana offriva in quel periodo, mi sembrava che fosse un posto di cadaveri e che non aveva senso stare a perdere il tempo lì dentro. E dunque quando mi sono dato alla vita militante ho fatto la vita militante, vivendo di espedienti e mangiando tanti pomodori, e questo anche quando era passato il momento in cui potevi pensare di recuperare, anche per ragioni di età perché, essendo io nato nel '40, a un certo punto, tanto per dire un anno, nel '70 avevo trent'anni, quindi non è l'età in cui uno inizia qualche cosa. Dunque, ci sono state anche queste cose qua.
Dopo di che, sempre procedendo un pochino per sommi capi, perché forse è meglio che intanto delineiamo i passaggi, se la memoria non mi gioca brutti scherzi l'esperienza finale di Potere Operaio si accavallava con l'esperienza nascente di Primo Maggio: lì ho ritrovato Sergio Bologna, ho ritrovato un po' anche me stesso, ho ritrovato il senso di un lavoro intellettuale. Se non sbaglio io ho cominciato a cooperare esplicitamente a Primo Maggio con il numero 3 o 4. Lì ci incontrammo con Sergio su questo benedetto lavoro su Marx e la moneta, che è stato la mia dannazione ma anche la mia salvazione per certi aspetti. Io stavo lavorando già da un po' su questi temi e in Primo Maggio, su impulso di Sergio che scrisse quel primo articolo su Marx e la moneta, poi venne costituito un seminario, un gruppo di lavoro che andò avanti per parecchio tempo e lavorò molto seriamente, ha prodotto parecchia roba, non tutta pubblicata. Io mi sprofondai nel lavoro di questo seminario, ho scritto parecchie cose in quel periodo su questa problematica, a partire da una rilettura dell'analisi che Marx fa del ruolo della moneta, del modo in cui la concepisce, la moneta e il credito nella loro funzione nell'economia capitalistica: io ritenevo che la lettura marxiana non fosse più sufficiente e proponevo passaggi ulteriori. E quello un po' alla volta è diventata addirittura una specializzazione professionale, scientifica, al punto che poi questa cosa mi ha aperto anche le porte dell'università: ciò avvenne in particolar modo perché c'era Augusto Graziani che, anche lui un pochino attratto dalle esperienze extraparlamentari (lui di tutt'altra provenienza politica) e colpito un po' da questo lavoro che stavamo facendo sulla moneta, decise di mettere insieme un gruppo di lavoro sulla moneta a livello più elevato, diciamo scientifico-accademico, anche se con una libertà di orizzonti totale, di cui facevano parte un po' di giovani universitari, docenti e l'unico non accademico ero io. Anche questo gruppo ha prodotto varie cose, scritti, ha pubblicato volumi, ha curato opere, e sulla scia di queste cose sono stato chiamato a insegnare all'università della Calabria, dove ho insegnato per tre anni. Credo di essere uno dei non numerosissimi docenti universitari italiani che hanno insegnato senza essere laureati (io allora non lo ero, avendo come ho detto abbandonato l'università, anche se poi a più riprese avevo fatto ogni tanto un po' di esami): non credo che siano tanti questi casi, uno è celebre e mi ha sempre inorgoglito, si tratta di Napoleoni. Io ho avuto degli studenti che si sono laureati avendo come relatore me che non ero laureato, e questo alla lunga non reggeva dentro l'istituzione, allora un giorno hanno deciso di laurearmi e alla tenera età di 46 anni mi sono laureato. Poi ho insegnato ancora a Napoli; quando mi hanno chiamato per venire qua stavo ancora vedendo se c'era la possibilità di entrare all'università, perché avevo capito che tutto sommato la scelta giovanile era stata un po' una cazzata, dopo quattro o cinque anni di esperienza di lavoro all'università mi ero reso conto da un lato che mi piaceva insegnare e dall'altro che comunque è la vita più comoda che possa esistere al mondo per uno che vuole anche fare un po' ricerca, occuparsi anche di altre cose. Però questo non avvenne e l'ultima cosa di cui posso parlare in termini di biografia, prima di arrivare al mio lavoro attuale, è che a Milano insieme con altri compagni decidemmo, un po' prima della metà degli anni '80, di creare una sorta di centro studi socio-economici che è l'Aaster: fummo Aldo Bonomi ed io ad avere un po' in mente queste cose, eravamo tutti usciti più o meno scottati e bruciati dalle esperienze politiche che avevamo fatto, e allora l'idea era di provare un po' a fondare politica e professione. Questo tentativo che mettemmo in essere allora era questo, il tentativo di fare ricerca però non così per niente, in astratto e per qualunque committente (ammesso che si trovasse, cosa che non fu facilissima all'inizio), ma ricerca dentro un quadro di idee e di ipotesi diciamo pure politiche, anche se in senso molto lato: c'era tutto il discorso e il ragionamento sull'autonomia nel sociale, quindi sullo sviluppo, che era un po' un'articolazione di questa problematica, o perlomeno un'affiliazione.

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