Quindi, ci sono queste forme molto evidenti e molto forti di egoismo sociale e di egoismo individuale, il ritorno a un particolarismo di interesse e di vita molto marcato, le nuove fenomenologie che appaiono. Leggevo ieri su Il Manifesto di un libro sul mobbing in Italia, ossia queste nuove fenomenologie del mobbing che a me colpiscono particolarmente. Pur non avendo mille anni ho fatto molte cose nella mia vita, quindi non ricordo esattamente, ma di lavoro e salute me ne sarò occupata per 7 o 10 anni, per un periodo molto lungo comunque, facendo proprio anche la metodologia che allora si chiamava dell'inchiesta operaia, con la sequenza non operativa, basata sul principio della non delega e della validazione consensuale. Pensando a tutti i fattori di nocività e di stress che sono legati ai ritmi, ai capi, ai controlli, in certi casi negli uffici anche coi compagni di lavoro, però erano uno o due. Mentre oggi c'è una nuova fenomenologia del disagio da lavoro, che ti abbassa la qualità del lavoro, il mobbing, tutti coalizzati contro uno, all'interno veramente di un universo tra Philip Dick e Ballard, in cui cerchi di vampirizzare il tuo prossimo, peggio che se fossi in una giungla. Ciò è quanto mai esaustivo, perché questi casi li ritroviamo dai McDonald's fino alle fabbriche fino agli uffici, e in luoghi in cui i salari sono ancora di un milione e mezzo al mese, quindi non è che si tratti della lotta del top management per arrivare in alto.
Torniamo ai movimenti degli anni '60 e '70. Rispetto ai miei studenti all'università (qui a Genova insegno al primo anno, e poi insegno allo Jung di Milano al secondo anno), quando faccio qualche riferimento agli anni '60 e '70 talvolta vedo spazi di curiosità, ma è una curiosità più epidermica. Non mi sembra che vi sia nei confronti dei movimenti degli anni '60 e '70 un'analisi volta ad una messa a valore per il presente in termini critici. C'è in un certo senso alle volte anche curiosità, voglia di informazione, ma tutto questo non viene collegato al presente, quindi attualizzato e messo a frutto.
Quali sono dunque i principali nodi che nel presente e soprattutto in prospettiva futura sono secondo te aperti?
Moltissimi. Intanto, un nodo grosso sta nella distruzione di tutti i rapporti legati alla quotidianità e alla materialità delle condizioni di vita e di lavoro, rapporti di comunicazione, se non di impegno esplicitamente politico almeno di impegno sociale. La mia sensazione netta è che noi stiamo tornando indietro velocemente, e che si sta creando uno scenario tipo anni '60; dico tipo perché la storia non è mai la stessa, e come diceva Marx se un evento accade due volte, una volta è come tragedia e l'altra come farsa. Cioè, stiamo entrando di nuovo in un clima di forte conservatorismo e conformismo sul piano degli atteggiamenti sociali e dei comportamenti, che di fatto legittima e avvalla, perlomeno col silenzio, gli attuali assetti di potere e di dominio. Allora, il tutto nasce dal dare per scontato che ormai nell'epoca della globalizzazione anche il tempo si è sempre di più presentificato, quindi le persone, gli individui tendono a vivere nel qui e adesso, nel qui e oggi. Come dice Bauman, una società dell'incertezza fa sì che le persone nell'incertezza aumentano il grado di individualismo che regola le loro azioni e il loro sguardo sul mondo. Del tipo: dato che siamo in una situazione difficile devo pensare a me, alla mia famiglia, a salvarmi ecc. Non vi è più nessuna tensione non dico verso l'utopia, ma neanche verso speranze di cambiamenti concreti, collettivi, sociali e culturali. E quindi si dà per scontato che il frame dentro cui siamo tutti inseriti non si cambia: e allora quello che io devo fare è scegliere, all'interno di questa scacchiera, quali sono le mosse che mi convengo di più per mantenere o migliorare la mia condizione attuale o quella dei miei famigliari. Siamo ritornati di nuovo a un primato delle regole, delle norme, della gerarchia, alla legittimazione delle distanze sociali. Ossia, il mito americano del "se sei bravo ce la fai" è passato pesantemente anche in Italia, e secondo me la vittoria di Berlusconi non è una causa ma è un effetto. Detta un po' come una battuta ma non tanto, in essa c'è la vittoria del nuovo "eroe popolare", di quello che se ci si mette di buzzo buono, giusto passando i compiti ai compagni di scuola e chiedendo qualche quattrino, metti da parte un po' di soldini e poi, se sei bravo, ti fai Mediaset: ossia, è la favola felice di quello che è considerato il principe azzurro auspicabile in questo terzo millennio.
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