Ripartiamo ancora da me. Io, come dice Romano, penso di essere ancora un bambina che crede alla befana nonostante gli anni. E sicuramente quando ho iniziato un rapporto con la politica questo credere nella befana era molto forte per me. Nel senso che io venivo da una famiglia molto chiusa e molto sorda, in cui parlare di politica significava parlare di una cosa sporca, in cui chi si occupava di politica era solo qualcuno che lo faceva per i propri interessi, e se una donna si occupava di politica era anche un po' puttana. Per me, figlia unica di genitori anziani, l'incontro con compagni e figure un po' adulte era al contrario una possibilità. Quando sono entrata nei gruppi dei cattolici del dissenso avevo 14 anni, ero davvero piccola: e allora cercavo una couche di affetti e di persone che in un certo senso mi desse l'idea di un mondo, di una comunità di rapporti affettivi solidali e personali che fossero diversi da quelli della famiglia di origine. Mi ricordo che c'era una canzone che per me è stata a lungo, forse per tutta la mia vita, la descrizione del mio sogno d'amore e del compagno che avrei voluto avere e con cui avrei voluto passare la vita: e questo non l'ho mai incontrato, ma appunto io credo nella befana. Questa canzone è "Una cosa già detta", che era il retro del 45 giri in cui dall'altra parte c'era "Contessa". C'erano alcuni versi come: "Vorrei dirtelo tutto d'un fiato/ e parlartene di questo mio amore/ come parla un bambino che è nato/ come parla la gente che muore/ come parla chi si è risvegliato/ come parla chi chiede vendetta/ ed invece sono qui senza fiato/ e ti dico una cosa già detta". Ecco, per me questa canzone, che mi pare fosse di Pietrangeli, era una bellissima sintesi di questo rapporto della politica che è vita, e di una politica che non scinde ma mette insieme l'io col mondo: e quindi non crea separazione, non crea mercificazione e reificazione, ma mette insieme il tuo privato, la tua vita, la tua soggettività con quello che c'è. Ecco, io ti parlo di questo amore come grida un bambino che è nato, come grida la gente che muore, e queste due cose che stanno insieme. Era un'ingenuità, ma per me era importante. La scelta allora di far politica è dovuta al fatto che io credevo a questi sogni: adesso può sembrare sciocco, ma io credevo proprio in questo sogno di un mondo migliore, che partiva anche da una diversa qualità dei rapporti che investivano il privato e il pubblico. Sul pubblico lo strumento era la lotta, sul privato era quello della costruzione, del giocare un'autenticità che fosse reale. Per me poi allora era importante trovare delle figure di riferimento. Quando io ho conosciuto Romano Alquati forse non avevo neanche vent'anni, e lui è stata una delle poche persone che poi negli anni è rimasta. Se devo dire forse tra le persone umanamente migliori, di una qualità umana notevole, posso ricordare Primo Moroni. Mentre invece la maggior parte delle persone erano molto strumentali: io adesso parlo soprattutto attraverso l'esperienza di Lotta Continua, e si sono poi visti i destini. Se c'è una cosa di cui io ho sentito la mancanza nel mio processo di formazione politico-culturale, nel mio romanzo di formazione, che stava tra me e il mondo, quindi stava tra me che dovevo crescere e il mondo che volevamo cambiare, è proprio quella delle figure adulte di allora che fossero punti di riferimento per noi: mentre, ex post, posso dire che per me e per altri c'era molta strumentalizzazione. Una delle canzoni che oggi per esempio mi fa incazzare e allora mi piaceva è "Oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti/ dei compagni quindici anni, gli operai e gli studenti": beh, ad esempio, c'era LC che nei cortei mandava avanti le compagne medie. Non era una buona attività di formazione, nel senso che secondo me nelle organizzazioni della sinistra (qui lo voglio proprio dire) extraparlamentare, perché i rivoluzionari dovrebbero essere altri, e questi non lo sono stati, non c'era nessuna attenzione a percorsi di crescita delle persone: cioè, nessuno ha pensato poi al lavoro che per esempio Primo ha fatto in Conchetta quando aveva le persone giovani attorno e sentiva la fragilità, "io me ne sono andata da casa", sentiva anche tutti questi problemi, che c'erano e che erano importanti, perché la gente non finisse male. Mentre in questa generazione tanta gente è finita male, non solo attraverso i buchi e tutte le storie tragiche che ci sono state della droga o delle derive del terrorismo, ma male anche psicologicamente, persone che si sono salvate solo rifiutando, dimenticando e chiudendo con quel periodo. Rispetto ai movimenti degli anni '60 e '70 e rispetto alla mia esperienza, io non mi sento né una reduce né una pentita né una dissociata; mi sento una persona impegnata, e oggi ancora come coscienza sono impegnata, io non ho abiurato niente di ieri: tutto sommato aspetto che quel mio sogno di bambina di 14 anni si realizzi ancora oggi.
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