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INTERVISTA A MARIA TERESA TORTI - 17 GIUGNO 2001


Sicché, se noi torniamo alla soggettività, questa oggi è la voce di una soggettività che è alla ricerca di quello che Bauman dice, dell'adeguatezza continua. Bauman sostiene che il senso del disagio nella società della globalizzazione nasce da un senso di inadeguatezza: non vi è più un modello chiaro a cui riferirti, i modelli cambiano rapidamente, però il messaggio che ti viene dato, l'imperativo proposto è quello "devo essere sempre adeguato a tutte le situazioni e a tutti i cambiamenti". Chiaramente questo aumenta le situazioni di svantaggio e di stress, perché io già farei fatica a essere adeguata a un modello se mi dici qual è, ma non è mica una cosa banale se mi dici che questo può cambiare, che domani io mi devo attrezzare a vivere felice dentro la flessibilità del lavoro ed affrontare tutte le situazioni. Cioè, siamo anche in una società completamente schizofrenica, perché tutta questa liturgia sul lavoro flessibile, sul posto che non c'è più, viene fatta da persone che nella loro vita non sanno neanche che cos'è il precariato, perché questo viene veicolato da cinquantenni o sessantenni che hanno tutti avuto delle belle esperienze consolidate di posto di lavoro sicuro e garantito. Quando mai Cofferati ha vissuto il precariato? E che cosa vuol dire per un lavoratore debole o per un laureato debole che tu puoi cambiare lavoro dieci volte nella vita? Dopo trent'anni chi ti prende? O, per un modello classico, se a 40 anni hai una crisi, chi è che ti prende poi dopo 40 anni? Però, anche su questo non c'è discussione. Anche le agenzie di lavoro interinale la gente le ha prese sul fatto che il mondo va così, e tutto questo, se il mondo va così, crea una competizione intraindividuale più marcata, forme di egoismo e razzismo sociale molto forti, perché a questo punto se si pensa che la torta si rimpicciolisca meno siamo e meglio è. Quindi, c'è un razzismo che vediamo nei confronti degli stranieri e dei migranti, ma anche un razzismo che vediamo attraverso il mobbing, cioè attraverso i colleghi. E su tutto questo non solo non c'è dibattito, ma non c'è neanche attenzione e non c'è apertura: ma questo perché le agenzie tradizionali di formazione politica e culturale del movimento operaio, del movimento associativo democratico, dei movimenti politici hanno rinunciato a ciò da più di vent'anni, e questi sono gli effetti. Dunque, secondo me andiamo verso uno scenario in cui la politica è sempre più scissa dai mondi della vita quotidiana e dagli obbiettivi e dalle strategie di vita degli individui, è sempre più autonoma, è sempre più staccata e separata, mentre prevalgono fortemente qui in Occidente appunto dei comportamenti legati maggiormente al conformismo e quindi limitati al massimo alla trasgressione, alla piccola furberia, al cercare magari di ritagliarsi gli spazi anche con artifizi o astuzie. Il tutto per mantenere una posizione di relativo privilegio all'interno di quello che sembra essere il Nord del mondo. Si pensi, ad esempio, al fatto che non si è aperto neanche un dibattito, non dico politico ma neppure sociale, su che cosa comporta l'euro: cosa vuol dire che noi da gennaio non useremo più la lira? Che rapporto abbiamo noi con gli altri paesi? Io spesso guardo la TV e faccio zapping quando sono a casa, ed è significativo che in due anni che c'è l'Europa non abbiamo visto assolutamente niente e nessun programma, tranne adesso qualche spot sull'euro, su come vivono gli studenti degli altri paesi, il rapporto con la scuola, quali sono le condizioni di lavoro, come si vive in una fabbrica o in ufficio in un posto del Belgio piuttosto che in Italia. E nessuno nemmeno lo chiede: cioè, non solo è grave che nessuno pensi di farlo, ma anche che nessuno si ponga il problema di quali cambiamenti ci saranno, quali rapporti ci possono essere. Penso che negli anni '70 in campo sindacale come minimo questo avrebbe infittito dei rapporti molto forti tra rappresentanti sindacali di fabbriche che hanno sede in più luoghi, mentre non mi risulta che questo oggi sia successo.


Prima hai accennato al movimento femminista: qual è stato il tuo rapporto con esso? Ragionando sull'oggi, su discorsi come quello della femminilizzazione del lavoro e su un'emancipazione della condizione della donna sbandierata anche a livello istituzionale, quali sono stati a tuo avviso i limiti e le ricchezze del movimento femminista?

La mia esperienza con il movimento femminista è molto piccola, perché io all'epoca non vi ho fatto parte: ero molto rigida e dogmatica, e quindi allora ritenevo anzi che questa "scissione" del movimento femminista fosse in parte un errore. Questo perché io, che ero appunto molto giovane e dogmatica e, come sempre, più si è giovani più si è dogmatici, ritenevo che la contraddizione principale, a proposito di quel libro della Reed, "Sesso contro sesso e classe contro classe", fosse quella della classe e non fosse quella del sesso.

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