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INTERVISTA A MARIA TERESA TORTI - 17 GIUGNO 2001


E poi arrivano gli anni '80, che non sono solo (come direbbero i sociologi) gli anni del rampantismo, dell'illusione che tutto può essere fatto, del ritorno al carrierismo, al rampierismo sociale: ma sono soprattutto anche gli anni in cui vengono liquidati tutti i contenuti e i valori dei movimenti precedenti. Io credo che il portato più epocale della sconfitta dei movimenti degli anni '70 sia paragonabile al portato epocale della sconfitta sul piano dei valori, dei punti di riferimento delle soggettività, che è avvenuta nei paesi dell'Est. Detto molto schematicamente: se dopo un'esperienza di 50 e più anni di conoscenza dei contenuti del marxismo e di pratica del socialismo, tutti si mettono a gridare "viva gli americani, viva il modello capitalista", questo significa che, come noi abbiamo sempre detto, i paesi del socialismo reale tutto erano tranne che paesi che davano una formazione realmente critica, realmente marxista, realmente socialista. Altrettanto si può dire qui: nei primissimi anni '80 (io allora ancora mi occupavo di lavoro e salute) ho incominciato a vedere dei segni strani quando nelle fabbriche, dove c'erano persone pure mobilitate e attente, gli operai a questo punto cercavano di farsi mettere in cassa integrazione per fare un secondo lavoro. Per carità, migliorare le proprie condizioni materiali di vita può essere la casa in campagna, la casa che ci si compra, però tutto ciò all'interno ormai di una logica individualista, di perseguimento di interessi molto personali e privati, e di ormai assoluta indifferenza nei confronti di un collettivo che non ti rappresenta più, in cui non ti riconosci ma neanche ti vuoi riconoscere. La via individuale alla felicità personale. E questo ha investito la più ampia quota dei segmenti sociali che erano stati protagonisti delle lotte. Noi oggi possiamo vedere esempi illustri di carrieristi sistemati nelle aziende o nei media; ma tralasciamo questi, che sono la facciata, che poi si chiamino Pannella, che si chiamino Brogi (il quale adesso scrive per Il Giornale), che si chiamino Liguori, non mi interessano adesso le figure di spicco dell'imprenditoria e dei media. Ma sono proprio le persone, le traiettorie, le storie che sono profondamente cambiate: e alcuni alfieri della rivoluzione hanno fatto della rivoluzione una professione, o, per dirla con Benjamin, si sono creati l'aura del lavoro intellettuale e del lavoro politico.
Io poi ho continuato a fare ricerca e ad occuparmi in particolare di condizione giovanile, di cultura giovanile, linguaggi giovanili: uno dei temi che mi stanno più a cuore è che quando io sento parlare di disincanto delle giovani generazioni, di distanza dalla politica, di caduta dei valori, personalmente sono presa da un eccesso di furore e di orticaria perché il cosiddetto venir meno di tensioni ideali e di impegno sociale e politico tra i giovani dagli anni '80 a oggi, parlo sul piano dei movimenti e non sul piano di istanze impegnate come possono essere alcuni gruppi o i centri sociali, è esattamente speculare all'indifferenza e all'abbandono dell'impegno sociale e politico delle generazioni adulte. Ossia, non sono i giovani che si sono disaffezionati: direi che sono i giovani che, a partire dagli anni '80, hanno assimilato questa cultura del distacco, del disincanto e dell'abiura. Quando io parlo di abiura mi riferisco proprio all'abiura di modelli, di valori e di stili. Cioè, se tu hai fatto certe esperienze negli anni '70 non puoi essere indifferente oggi a temi come la globalizzazione, il divario tra Nord e Sud del mondo, le nuove povertà che si creano. Non necessariamente poi ciò si deve trasformare nel fatto che tu per forza devi andare a Seattle a impegnarti in prima persona, o che devi fare militanza; però, sul piano dei valori, della tua visione del mondo questo significa qualcosa. Invece di questo non ti è rimasto niente, e pensi solo ai fatti tuoi, alla carriera, parli di politica come al bar, con questa indifferenza veltroniana, diessino-ulivista, per cui certi personaggi potrebbero stare da un punto all'altra ma in modo uguale: se arrivasse un marziano e glieli facciamo vedere, chiedendogli in che squadra stanno, è come parlare di Roma e Lazio, i calciatori sono quelli, una volta possono giocare con la Lazio e una volta con la Roma, nell'assoluta indifferenza. E così è la stessa cosa per la maggior parte della gente. Questo relativo miglioramento delle condizioni materiali di vita, che ha investito segmenti del proletariato e della piccola e media borghesia, e che poi è stato ottenuto grazie appunto ai processi di decentramento produttivo nei paesi del Sud del mondo, non è stato metabolizzato. E alla fine, come è avvenuto con il crollo del Muro di Berlino per i paesi dell'Est, è un po' come se tutti quanti si fossero convinti che questo è l'unico sistema possibile e quindi, a questo punto, ognuno deve giocare all'interno di queste cornici, solo contro tutti e l'un contro l'altro attrezzati se non armati.

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