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INTERVISTA A MARIA TERESA TORTI - 17 GIUGNO 2001


Per quanto riguarda i riferimenti, ho detto prima di questo filone che è la Beat Generation, un certo tipo di rock come quello dei Velvet Underground; tra i Beatles e i Rolling Stones io ovviamente amavo i Rolling Stones. E Marx, Rosa Luxemburg e Nietzsche perché sono quelli che ho letto prima, che mi hanno dato molte chiavi. Sulla globalizzazione dovrei partire dalla Monthly Rewiew, da "Il capitale monopolistico" di Sweezy. Dovrei partire da Samir Amin e dalle sue prime riflessioni. Sul rapporto tra comportamenti economici e comportamenti sociali dovrei dire Hirschmann. Dovrei parlare dell'inchiesta operaia di Marx; dovrei dire la bellezza del lavoro sulla soggettività di Danilo Montaldi. E un altro lavoro molto bello, di far parlare la soggettività anche quando questa è sepolta, è quello di Stefano Merli sulla formazione del proletariato industriale all'inizio del '900. Sohn-Retel sul lavoro manuale e il lavoro intellettuale. Mi sono piaciute molto alcune cose di Gorz, altre meno, alcune suggestioni. Uno che mi fa capire la gente è Tiziano Sclavi, non solo con "Dylan Dog" ma soprattutto con i suoi romanzi. Però, sto saltando da una parte a un'altra, è veramente difficile citarli se non sono legati ad un periodo, anche perché, a seconda delle cose di cui mi occupo, ci sono degli autori e dei filoni più importanti. Per quanto riguarda l'alfabetizzazione politica, Gramsci l'ho scoperto tardi, e secondo me non l'ho mai letto bene, dovrei rileggerlo; ho poi riscoperto Gramsci attraverso la scuola di Birmingham, e lì ho compreso che non l'avevo capito bene.


Sui nodi che hai individuato come aperti e centrali nel presente, secondo te quali autori possono essere significativi, anche attraverso un loro uso critico?

Per esempio, su questi cambiamenti antropomorfi dell'individuo secondo me l'autore in questo momento più fertile è Bauman: a mio avviso è l'intellettuale che descrive in modo più corretto questo tipo di processi, tra privato e pubblico. Un altro autore interessante è Beck, con tutto il discorso sul rischio. Sulle trasformazioni del lavoro Rifkin mi sembra talvolta un po' impressionistico e giornalistico, ossia ci sono alcune analisi interessanti, però alle volte tirate via e un po' mascherate e poi suffragate da una serie di statistiche molto all'americana, che però non ti danno conto delle contraddizioni e della complessità dei processi. Poi adesso su questi temi sono proprio mie osservazioni sparse, non è che stia lavorando esplicitamente per leggere o studiare questo: anzi, in un certo senso riprendere in mano dei testi per ripensare una teoria politica è una cosa che mi metterebbe un certo disagio, non me la sentirei, mi sembrerebbe di prendere in mano la "Corazzata Potemkin".

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