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INTERVISTA A MARIA TERESA TORTI - 17 GIUGNO 2001


Insieme ad altri io sto facendo una ricerca sul rapporto tra gli adolescenti e la musica: è significativo che in questo periodo, per le interviste che faccio, viene fuori che se non fosse stato per Jovanotti e per Pelù nessuno agli studenti medi aveva parlato del debito del Terzo Mondo, ma la cosa più grave è che non gliene frega niente. Questa è gente che va ai concerti dei 99 Posse, che li segue, ma vanno per la musica e non sono d'accordo coi testi, loro lo dichiarano proprio. Voglio dire che c'è un'indifferenza molto grande. Anche adesso intorno al G8 il dibattito è solo sugli scontri, non sul tema del G8 stesso. Infatti stavo quasi pensando se proporre un pezzo su questo al quotidiano locale con cui ogni tanto collaboro: è una cosa stranissima che ormai tutto il dibattito e tutta l'attenzione della pubblica opinione non è sui contenuti del vertice, su quali saranno gli assetti di potere economici e cosa questo soprattutto comporterà sulla vita quotidiana della gente, perché questo non l'ha ancora capito nessuno e nessuno glielo dice. Tutta l'attenzione dell'opinione pubblica è "ci saranno scontri o non ci saranno, romperanno le vetrine oppure no, quanti danni, quanti morti, quanti feriti". C'è veramente un rovesciamento totale, e secondo me non casuale, di quello che dovrebbe essere il centro dell'attenzione. Allora, a questo punto i movimenti su Seattle sembrano un po' evocare quel titolo del romanzo di Benni, "I comici spaventati guerrieri", che in un contesto assolutamente isolato e indifferente conducono una battaglia che per la maggior parte della gente è "ma guarda questi vandali quante cose rompono".
La differenza sostanziale è che fino alla metà degli anni '70, fino alla vittoria delle sinistre del '76 (parlo delle giunte amministrative), con anche le delusioni che poi ci furono allora, vi era un tessuto di mobilitazione, impegno, o anche semplicemente voglia di messa in crisi, di messa in discussione, di piccoli riformismi di base, che avevano coinvolto tutte le istituzioni della società: perché si partiva dal privato della famiglia, dall'educazione dei figli, dai rapporti tra le persone, dalle battaglie femministe, fino ad arrivare ai luoghi di lavoro, ai luoghi istituzionali, ai luoghi di rappresentanza come i sindacati. Era un movimento che si innestava, delle volte si scontrava anche, ma con punti di dibattito e di presenza davvero molto diffusi all'interno della società; e molto diffusi non solo all'interno della società italiana, ma perlomeno di quelle che erano le società occidentali in quel periodo. L'America fu la prima a tirare giù la saracinesca, ma in Europa le discussioni andarono avanti, tant'è che maturarono tutti gli eventi successivi. Poi ci fu il campo della lotta armata, rispetto a cui, al di là di una vicenda personale che mi ha segnato parecchio, non solo non sono mai stata d'accordo, ma ritengo che sia stata veramente la fine brutale e plumbea di ogni possibilità di dibattito critico, cioè tutte le sedi che erano ancora aperte immediatamente si chiusero. Qui la mia è una posizione molto dura, perché penso che se tu chiedi uno scontro armato con lo Stato, questo ti risponde e che tu venga sconfitto mi sembra che stia nelle regole del gioco. Io non ho mai avuto nessuna stima e nessuna indulgenza per i signori della guerra: probabilmente perché vengo anche da un retroterra culturale diverso, non a caso le cose che facevamo nei Comitati Antimperialisti "Che Guevara" erano molto basate sulle proteste pacifiche, quindi può darsi che faccia parte della mia tradizione. Tuttavia, io ho il massimo disprezzo e un profondo rancore per coloro che appunto, facendo i signori della guerra, hanno poi azzerato tutta un'esperienza di dibattito, di lotta, di mobilitazione che a fatica si era mantenuta dopo tutte le varie ondate di movimenti. Perché è chiaro che il movimento è come una grande ondata che fa salire, poi c'è la fase del riflusso, e ogni volta costruire era difficile; però, c'erano parecchi punti di mobilitazione. Mentre con la loro comparsa ci fu tutto il dibattito sull'emergenza, e quindi il discorso dell'emergenza fu la fine di ogni possibilità di discorso critico. E' vero che questo nacque anche su elementi di sconfitta, ma non a caso questi si sono prodotti. Recentemente ho visto un film sugli operai di Torino, intitolato "Non mi basta mai". E' vero che la marcia dei 40.000 è stata nell'80, però è anche vero che non a caso l'80 veniva due anni dopo Moro e un anno dopo l'assassinio di Guido Rossa. Adesso io non credo che questa sia la sede né io mi sento in grado di fare una ricostruzione storica compiuta; vi erano certamente elementi di sconfitta rispetto a quelli che erano i contenuti più avanzati delle richieste delle lotte. Però, il muro di piombo che si creò in quegli anni fece sì che ogni possibilità di critica, di dibattito politico, di incontro, di discussione, venisse assolutamente azzerata dal discorso dell'emergenza.

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