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INTERVISTA A CHRISTIAN MARAZZI - 5 LUGLIO 2000

Quelli sono stati anni che hanno preparato (in malo modo se vogliamo) il passaggio al postfordismo, per certi versi è stata magari non distrutta ma comunque incarcerata un'intera generazione: non a caso gli '80 sono stati anni in cui il neoliberismo, partendo dalla Thachter e da Reagan, trionfa, ma anche perché erano state create le premesse per farlo trionfare. Al di là di quello che era il 7 aprile, certamente una cosa minuscola in confronto a quella che è stata la rivoluzione neoliberista, però su tutta la linea si parte dalla repressione: Reagan, il primo mese dopo il suo insediamento, fa fallire a muso duro, opponendosi, gli scioperi degli aeroporti, per non parlare della Thachter. Quindi, si parte comunque con questa rigidità politica di distruzione di quelle che erano le forme più eversive della critica attiva del modello di società fordista. Questa repressione poi la vediamo non necessariamente in termini polizieschi ma anche in termini monetaristi per esempio: nel '79 c'è una svolta violentissima per porre fine alla faccia monetaria delle lotte operaie, c'è allora un'inflazione, quindi negli Stati Uniti si aumentano i tassi fino al 20-21%.Questo per dire che la svolta lì è forte, tutto succede non a caso nel '79, sarà una coincidenza, ma quando io ricostruisco il passaggio che ci ha portati alla new economy, se vogliamo usare quest'ultima espressione, o comunque al modello postfordista (se modello è), in termini di ricostruzione storica, economica e finanziaria io la svolta la vedo nell'ottobre '79 con la decisione di aumentare, ispirandosi a Milton Friedman, i tassi interesse per dare un taglio netto con l'inflazione e con la svalutazione del dollaro sul piano internazionale. Però, ripeto, tutto questo ha significato entrare nel postfordismo, o comunque iniziare il postfordismo: adesso un sociologo tipo Voltan Skill (in "L'esprit de nouveau capitalisme", questo malloppone che ha pubblicato recentemente in Francia) si interroga su cos'è lo spirito di questa nuova economia postfordista, e dice cose che sono condivisibili, cioè che (lo dice da sociologo) la nuova economia è una metabolizzazione di tutta una serie di cose che noi, in Italia e sul piano mondiale, avevamo detto come critica del fordismo, cioè critica del lavoro salariato, critica del lavoro a vita, da ergastolani, critica della gerarchia di fabbrica di tipo piramidale, critica del localismo come stanzialità, critica della catena di montaggio anche come standardizzazione e serializzazione dei prodotti, quindi critica anche estetica, o all'estetica, dunque rivendicazioni di flessibilità, di destandardizzazioni, che erano cose del movimento e che il capitale ha fatto sue, le ha interiorizzate. Si pensi a quello che è stato il movimento del '77 a Bologna, è stato sicuramente una rivendicazioni di radio libere, di comunicazione, di lavoro immateriale ecc.: molti, proprio in carne e ossa, li vedi nelle tivù di Berlusconi e li hai visti negli anni '80, sono stati certamente recuperati, ponendo non pochi problemi a coloro che l'avevano vissuto, penso ad esempio a Bifo (che è un mio grande amico). Io mi ricordo che negli anni '80 ci si chiedeva "cos'è questa roba? siamo tutti traditori?": voglio dire che il problema del pentitismo, al di là dei tradimenti in sede di magistrature varie, lo si è visto anche proprio come l'espressione di un processo più ampio, di questa metabolizzazione capitalistica della critica al fordismo che era stata sviluppata negli anni '70. Però, ripeto, questo passaggio non sarebbe stato possibile senza la repressione, certo in senso ampio e lato: comunque non si passa dall'operaio-massa, all'operaio-sociale, al soggetto nomadico ecc., in virtù di modelli manageriali, aziendali e via dicendo, si passa dopo aver distrutto quelle che sono delle resistenze avanzate.
Quando io sono tornato in Svizzera, nell'85, sono andato nel Dipartimento delle Opere Sociali, dove ho lavorato per dodici anni, e ho fatto delle ricerche che in Svizzera hanno avuto un seguito (nel senso che sono state fatte un po' ovunque) sulle nuove forme di povertà. Mi ricordo che quando lo dissi a Toni, che era a Parigi, lui era completamente spiazzato: "le povertà? ma che cos'è questa roba?". Non c'era nella tradizione operaista nessun tipo non dico di sensibilità, non è questo, ma di attenzione per tutta la tematica della povertà, nel senso che comunque l'operaismo non è mai stato un modello di una teoria che partiva dai poveri: partiva, se vogliamo, dai punti forti del capitale, tanto è vero che la critica al terzomondismo è stata politica, è stata la critica all'idea di poter attaccare il capitale dalle periferie, dal sottosviluppo, mentre noi abbiamo sempre sostenuto il contrario; lotta sul salario era per più salario, per un certo consumismo se vogliamo, ma politico anche, era una lotta per il contropotere ecc.

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