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INTERVISTA A CHRISTIAN MARAZZI - 5 LUGLIO 2000

Secondo te, in questo quadro che delinei, insieme al dentro come è possibile pensare a delle forme di essere contro, quindi a una classe (o a una moltitudine) anche contro se stessa, dunque per la tendenziale formazione e costruzione di una controsoggettività o comunque di una soggettività che sia diversa da questa qua, colonizzata dal capitale? Come ciò può entrare in relazione ad un discorso sulla soggettività politica?

E' un po' il discorso che si faceva prima, il capire che il linguaggio e le parole oggi si dice che producono cose, e come producono cose: il postfordismo è una svolta linguistica che dimostra come il linguaggio non sia solo qualcosa che ci permette di riferirci e di relazionarci al mondo concreto ma che lo produce. Il linguaggio è come una chiave inglese in un'economia basata sul general intellect, sull'immateriale, sul sapere: è una tecnologia produttiva il linguaggio. Dunque, questo vuol dire riuscire a praticare io la chiamo una guerriglia linguistica, cioè dentro il linguaggio, in questo vastissimo e infinito territorio che è il linguaggio trovare le parole che ci sottraggano da una riduzione del nostro parlare a un parlare salariato, a un lavoro salariato, quindi un parlare di noi non come forza-lavoro ma come potenza di valorizzazione, parlare di noi non come corpo che deve essere così condizionato dal salario ma come corpo che si materializza. Ci sono dei passaggi, io credo per esempio che queste crisi borsistiche, proprio nelle sue forme più suicidiarie, siano crisi che rinforzano l'idea del reddito di cittadinanza, di un reddito sganciato dall'imperativo del lavoro. Perché la gente investe in Borsa, al di là della maggioranza della gente che sempre più investe per ragioni di pensione? Perché spera tanto di fare l'affare, di fare un guadagno che permetta di vivere con più agiatezza, di non dover lavorare troppo e via dicendo. Sono quelli che poi purtroppo, non a caso, si prendono delle mazzate della miseria, perché è proprio la logica borsistica stessa a un certo punto a eliminare questa miriade di piccoli investitori che sottraggono il controllo sui valori borsistici. Però sono i soggetti più interessanti, perché loro sicuramente rischiano tutto quello che possono ma proprio perché hanno questo miraggio, perché perseguono il sogno di una vita non condizionata dal lavoro per quanto riguarda il movimento, il piacere, la riproduzione, la vita. Quindi, mi sembra che questo ammassamento e afflusso di risparmio sui mercati borsistici in qualche modo sia una palestra nella quale milioni di persone si esercitano all'idea di un salario e di un reddito di cittadinanza. In un rapporto individuale con la Borsa tu sei sempre perdente, come sulla massa perde sempre uno che ha un rapporto individuale con le slot machine o con il gioco d'azzardo: questo non vuol dire buttare via il bimbo con l'acqua sporca, ma vuol dire tenere vivo, saldo, saldare questo desiderio di un reddito sganciato dal lavoro e però trasporlo su un piano di rivendicazione collettiva, di reddito di cittadinanza appunto. Per cui queste forme io le vedo un po' dentro questa nuova dinamica e funzionamento che però è un funzionamento dell'economia, che è finanziario, e che però, come diceva Holderling, laddove è il rischio lì è la salvezza, cioè dove massimo è il rischio dobbiamo vedere come tradurre la salvezza politicamente: la salvezza in questo caso, nel massimo rischio del gioco in Borsa, è in una forma collettiva di un reddito sganciato dal lavoro.

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