Female Keep Separate (aggiornato)

copertinaNel mondo severo e violento della prigione, la debolezza del quadro liberale di genere è molto chiara. La società canadese affronta ufficialmente la differenza in modo positivo, attraverso l’inclusione delle diverse identità basate sull’auto-identificazione. Questo è in molti modi il prodotto della lotta, ma dobbiamo anche essere capaci di criticarlo per continuare a lavorare verso un mondo senza prigione e senza la violenza di genere. Approfondiremo questo aspetto tra un minuto, ma adottare la comprensione puramente positiva dell’identità di genere da parte dello Stato può portarci a semplificare eccessivamente la nostra comprensione del (etero)sessismo e a finire per difendere i progetti dello Stato dai reazionari quando invece dovremmo attaccarli alle nostre condizioni.

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Migrazione e detenzione delle donne nel CPR di Ponte Galeria

Il CPR di Ponte Galeria, entrato in funzione a settembre del
1999, attualmente è l’unico in Italia a recludere donne senza
documenti. Da quando la sezione maschile è stata chiusa a
seguito della rivolta dei reclusi nel dicembre 2015, sebbene
gli appalti per la ricostruzione siano stati assegnati, i lavori
sembrano attualmente fermi.
Ci teniamo a specificare che quanto diremo è il risultato della
nostra esperienza derivante dai contatti avuti con alcune
detenute e dal nostro percorso di riflessione, e non è nostro
intento assolutizzarla.

Nemiche e nemici delle frontiere

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Con i giusti occhi

«…Crediamo che sia importante identificare i collaboratori della macchina delle espulsioni. Chi, dalle espulsioni, dai pestaggi ed anche, a volte, dalle rivolte ci guadagna. Che sia importante portare la lotta contro i Centri anche al di fuori di quelle mura, che la lotta è ovunque per chi sa guardare con i giusti occhi. L’elenco che segue e che compone buona parte di questo opuscolo è solo una minima parte di quel lungo elenco che sarebbe l’intera macchna delle espulsioni ma è un buon inizio per capirne il funzionamento.»

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Considerazioni sulla detenzione amministrativa in Italia

Allo scopo di trovare una soluzione alla loro ingestibilità, per affrontare preventivamente un aumento delle problematicità legate alla tipologia e quantità dei futuri flussi migratori, i Cie, lungi dall’aver mai avuto una funzione altra rispetto a quella di deterrente collettivo, stanno subendo delle modifiche parziali, sia strutturali che gestionali. La direzione seguita è quella di un processo ipotetico di maggiore razionalizzazione, funzionalità, economicità gestionale e controllo interno. Lo scopo per cui è nata la detenzione amministrativa degli immigrati si può dire raggiunto? La risposta a tale quesito è estremamente difficile. Ciò che possiamo fare è cercare di fotografare la situazione attuale, cercare di mettere insieme i diversi accadimenti relativi alla detenzione amministrativa in Italia e comprendere quale direzione i Cie stiano intraprendendo. Lo scopo di una ricerca come questa, è inutile dirlo, resta sempre e comunque quello di conoscere meglio il nostro obiettivo, capirne meglio le caratteristiche per comprenderne meglio i punti deboli. Di Cie tanti ne parlano, ne versano lacrime e ne denunciano le angherie, tanti, davvero tanti, anche i più improbabili ne chiedono la chiusura. Questo sembrerebbe giusto e animato da buoni propositi, ma non è proprio tutto oro quel che luccica. Le richieste di chiusura, senza considerare l’assurdità del fatto che sono indirizzate alle stesse istituzioni che i Cpt/Cie hanno istituito, non fanno che proporre un diverso modo di gestione dell’immigrazione, una riforma che renda forse più umani i Centri o che ne proponga altre versioni. L’esperienza della riforma degli Opg dovrebbe aver insegnato molto in merito. Una prigione non può essere resa più umana, non esiste un modo più giusto per identificare e controllare. Le frontiere dovrebbero solo scomparire, tutte le carceri essere abbattute. Per questo i Cie non dovrebbero essere chiusi, ma distrutti, incendiati, danneggiati. “Fuoco ai Cie” al posto di “chiudere i Cie”, come tanti reclusi in rivolta ci hanno insegnato, ci sembra il modo migliore per affrontare la questione.

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Frontiere e lavoro. Gli schiavi della filiera agroalimentare

Riceviamo e pubblichiamo. Per contributi, scrivere a distrozione (at) autoproduzioni.net

Il sistema della detenzione amministrativa ed i tanti dispositivi della cosiddetta “accoglienza secondaria” sono certo funzionali al controllo e alla segregazione degli immigrati che giungono nella fortezza Europa ma, con uno sguardo più complessivo, funzionano anche da grandi bacini di erogazione controllata di forza lavoro sottopagata e iper sfruttata a tutto vantaggio dei grandi produttori. Infatti, la legislazione sull’immigrazione in Italia, subordinando la possibilità di permanenza sul territorio nazionale al possesso di un contratto di lavoro, offre ai padroni un’enorme disponibilità di manodopera servile come diretta conseguenza della condizione di clandestinità. Un detenuto in un CIE, un richiedente asilo semi detenuto in un CARA, un minore “affidato” alle strutture del sistema SPRAR, sono accomunati da un’esistenza precaria determinata dal possesso o meno di un foglio di carta. Su questa precarietà si fonda il ricatto del lavoro sottopagato che può raggiungere condizioni di vera e propria schiavitù.

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