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(pag. 10)
INTERVISTA A ENZO MODUGNO - 18 GENNAIO 2001

Ciò è esattamente quello che accadeva con il signore feudale, il proprietario terriero, il quale aveva ovviamente bisogno dell'aratro e degli altri strumenti che per esempio l'artigianato cittadino produceva, e quindi doveva comprare l'aratro perché non poteva lavorare la terra senza di esso, ma comprando l'aratro doveva pagare l'artigiano che lo faceva e si impoveriva in questo scambio; poi portava l'aratro sulla terra, faceva lavorare il servo della gleba e si arricchiva vendendo il prodotto della terra. Questo è lo schema, che vale anche per lo scienziato e per l'ingegnere nella fase del capitalismo industriale: cioè, il capitale industriale deve mettere la scienza nelle macchine e per farlo ha un costo, non si arricchisce quando va a comprare dall'ingegnere il sapere, si arricchisce quando, avendolo incorporato nelle macchine, fa lavorare gli operai. Questa era la situazione con il capitale industriale. Naturalmente è un processo storico che ha portato dalla società agricola alla società industriale ed è un altro processo storico assai complesso quello che porta dalla società industriale al prevalere del nuovo capitale, del capitale postindustriale, non so come lo chiamate voi.


Alquati, ad esempio, lo chiama ipercapitalismo. Può essere una questione di termini, anche se poi i termini spesso sono a loro volta una specificazione della dimensione di pensiero: per esempio, chiamare post il capitalismo vuol dire considerarlo superato, mentre invece definirlo iper significa analizzarlo in una fase di sviluppo ulteriore. Molti ritengono che, non si sa bene come, questo capitalismo non ci sia più. Tu adesso stavi descrivendo la dimensione capitalistica, poi c'è il discorso sulla forza-lavoro all'interno di questo processo: alcuni cambiamenti grossi sono avvenuti, oggi per esempio si parla di lavori atipici, però in realtà si tratta dei lavori tipici perché ormai il rapporto di lavoro è costruito in un determinato modo, molto diverso da quello di vent'anni fa, quello non può più essere considerato come il lavoro tipico, dando così una lettura della società che è superata. Il lavoro è comunque sempre una dimensione capitalistica, per la forza-lavoro la questione è differente: è un altro discorso che poi il rapporto tra forza-lavoro e soggettività all'interno del processo produttivo possa avere una valenza positiva o di negazione nei confronti del capitale. In generale, ma soprattutto in Italia, tutti descrivono i massimi sistemi, però senza una conoscenza reale di quelle che sono le cose, questo è ciò che manca. Ci si sforza molto poco per capire quali sono i processi effettivi che avvengono; poi una sintesi la si può fare se si ha una conoscenza di com'è la realtà, quindi con un'immaginazione e una presupposizione di alcuni passaggi. Questo per esempio dovrebbe stare in un lavoro di ricerca per costruire qualcosa di diverso e non prendere per buone, come dicevi tu, le cose passate che sono ancora il credo e le icone di un certo tipo di sinistra. Allora bisognerebbe anche cercare di costruire delle forme di modello, perché una cosa è il processo capitalistico e il punto di vista capitalistico, un'altra cosa è il discorso della classe. Oggi danno tutti per assodato che non esiste lotta di classe: non è vero, la lotta di classe semplicemente la fa il padrone, e quello che lui riesce a conquistare influisce sui rapporti di forza, sul fatto che i livelli di contrapposizione, di resistenza, di antagonismo ci sono oppure no a seconda dei livelli di iniziativa e di potere che il punto di vista capitalistico ha.

Per esempio, con il toyotismo si comincia a dire che in Giappone non c'è più lotta di classe, oppure quando iniziavano a licenziare dicevano che il lavoro era finito, che era finita la società del lavoro.


Oppure molti che erano per il rifiuto del lavoro sono diventati lavoristi, per esempio lo è diventato Negri: quasi che il lavoro che andava rifiutato fosse soltanto quello dell'operaio-massa...

Questo è perché loro pensano che le nuove tecnologie siano liberatorie, si meravigliano di come ancora non ci sia stata la liberazione e pensano che sia colpa di questo dominio che sia soltanto dominio senza nessuna base sul modo di produzione, quindi basterebbe dare una spallata per impadronirsene, perché il lavoro è già liberatorio.

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