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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 17 OTTOBRE 2000 |
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Da questo punto di vista, se vogliamo avere un riferimento colto, era come il dibattito tra Lutero e Thomas Münzer: Thomas Münzer che stava dentro i processi radicali del populismo e Lutero che stava dentro la Riforma, la modernizzazione, è un dibattito che si ritrova nelle categorie weberiane. Quindi, feci quei due anni di territorio, di esperienza di comunità, devo dire in parte anticipando i tempi: questo dell'anticipo dei tempi è un discorso che mi ha pesato ma anche a volte sottoposto a critiche, perché mentre io facevo questo processo c'era ancora gente che andava avanti tranquillamente con un processo di conflitto e di antagonismo. Insomma, se devo fare un parallelismo tutto dentro gli anni '70, io ho fatto allora quello che molti reduci della lotta armata hanno fatto dopo andando a lavorare al Gruppo Abele, penso a Segio o ad altri amici che conosco, oppure a gente che oggi si occupa di tossicodipendenti, per cui c'era un problema di questo genere. Feci allora questo e lo feci in maniera forse anche meno esposta perché non andai a lavorare in una comunità di tossicodipendenti, andai a lavorare in una comunità viva, in un territorio vero, ovviamente però portandomi dietro il desiderio.
Ho sottoposto a critica tutte le metodologie, eccetto una cosa che non ho mai sottoposto a critica: il problema che bisogna studiare i processi reali affinché cambino i rapporti tra i soggetti, questo non l'ho mai dimenticato e credo di non averlo dimenticato nemmeno adesso, anche quando scrivo sul Corriere o quando dirigo l'AASTER o quando scrivo del distretto del piacere. L'attenzione ai processi reali, ai soggetti, al loro mutamento è una cosa che ho imparato da lì. Devo dire che mi resi conto, e questo è molto importante, che la mia professionalità non derivava certamente da quei pochi anni passati a Trento in cui poi fondamentalmente il problema erano le fabbriche e non studiare la sociologia, io qua dentro dico sempre come battuta che se c'è uno che non conosce la metodologia della ricerca sociale o della statistica sono io, tanto è vero che ho fatto l'esame di statistica davanti alla Ignis di Trento, quindi qualsiasi laureato che viene a lavorare per me qua dentro mi insegna la metodologia in maniera molto più raffinata di quello che so io, dal punto di vista proprio della professionalità. Però, mi resi conto che anche le professionalità venivano dall'esperienza radicale di quegli anni. Io lo dico come battuta ma non è secondaria: quando tu hai imparato a gestire un'assemblea oppure quando hai imparato a rispondere interrogato di fronte a una corte d'assise, in cui a seconda delle risposte che davi dipendeva quanti anni di galera ti prendevi, è chiaro che tu impari ad avere una capacità di comunicazione, una capacità di leadership, una capacità di reggere l'impatto che è certamente un quid superiore, cioè dalla sfiga ti deriva un quid superiore che altri non hanno. E siccome iniziavano allora i grandi anni della terziarizzazione, dentro cui il processo tra capacità comunicative e capacità di muovere era fondamentale, è chiaro che io mi ritrovai su territori in cui c'erano le mie capacità comunicative, la mia capacità di mobilitazione, la mia capacità di fare inchiesta. Ricordo che secondo me una delle cose più belle pubblicate da Controinformazione fu l'inchiesta alla Fiat sul primo numero, c'era proprio un grande metodo rispetto a questo, grande attenzione, grande capacità di fare il metodo dell'inchiesta ai soggetti; quando tu hai fatto inchiesta dentro le fabbriche, è chiaro che ti ritrovavi con una professionalità aggiornata dal radicalismo della politica. Questa capacità aggiornata nello stesso tempo si doveva però confrontare con delle cose incredibili, che erano fondamentalmente queste: venivamo dagli anni in cui ad esempio noi avevamo avuto una rappresentazione del potere secondo me veramente banale, lo dico recuperando le teorie foucaultiane della microfisica dei poteri. Andando in quella vallata alpina che era poi la Val Chiavenna mi resi conto che cos'era la microfisica dei poteri della Democrazia Cristiana ad esempio: noi pensavamo che i democristiani fossero un branco di bastardi, cattivi, erano il male assoluto (adesso lo dico per cercare di far capire), e invece lì scoprii che i democristiani erano fondamentalmente tessuto profondo di mediazione e grande capacità di inglobare il processo. Nei fatti è quello che poi ha portato la posizione leninista dell'assalto al palazzo d'inverno ad essere sconfitta, perché tu assalivi il palazzo d'inverno e questo era un luogo vuoto perché i luoghi pieni erano quelli della mediazione sociale, dentro i quali le classi venivano rimescolate. Sono tutte analisi ex post, perché poi negli anni '70 queste cose non erano chiare. Allora scoprii anche quello dentro questo discorso, questa grande capacità della mediazione sociale, questa grande capacità del potere della microfisica dei poteri. Quindi imparai (altra cosa che sottoposi a critica) che il problema non era la punta della piramide ma il potere era la microfisica dei poteri rispetto a questo.
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