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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 17 OTTOBRE 2000 |
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Quindi, la dimensione territoriale come luogo della crescita di una nuova composizione sociale, di nuovi modelli produttivi ecc. Insomma, i Quaderni Rossi degli anni 2000 sono i Quaderni del Territorio, non sono i quaderni della Fiat, per usare la metafora da cui siete partiti voi con Tronti. Tra l'altro i Quaderni Rossi noi li ripubblicammo con un'altra casa editrice alla fine degli anni '80. Questo è il primo paradigma, il secondo è che tra Stato e mercato, proprio perché abbiamo a che fare con una composizione sociale completamente mutata, si insinua prepotentemente il problema del valore dei legami. Questa cosa va spiegata: se la società è una società del frammento, una società della scomposizione sociale definitiva, una società dell'individualismo proprietario (per dirla con Pietro Barcellona), il vero problema è che prima ancora di porsi la questione del soggetto (la questione degli anni '70) bisogna porsi il problema di che legame si ricrea all'interno della composizione sociale. Quindi, il vero problema è che il valore di legame è fondamentale.
E qui viene il problema dell'organizzazione, che è molto semplice: io credo, ne sono profondamente convinto, che i modelli organizzativi vengano dal basso e non vengano dall'alto. Dunque, in questo io sono proprio molto liquidatorio rispetto a qualsiasi modello leninista di calata dall'alto dei modelli organizzativi, la forma-partito, l'organizzazione ecc. Quindi, ecco perché c'è questa grande attenzione per tutta quella spontaneità nascente rispetto a questi processi, anche perché poi dietro ci sta un ragionamento molto semplice: credo che dal punto di vista epocale dalla transizione dal fordismo al postfordismo stia avvenendo quello che è avvenuto nella transizione dall'agricoltura al capitalismo urbano industriale, al fordismo. Allora, vengono deportati migliaia di soggetti che prima stavano nelle campagne verso il lavoro urbano industriale, questo meccanismo di deportazione è simile al meccanismo di deportazione che c'è oggi da dentro le mura a fuori dalle mura. Ciò è avvenuto con la classe operaia, perché è stata deportata, le espulsioni, la cassaintegrazione ecc. è stata la deportazione sui processi produttivi territoriali. Il vero problema è che allora non c'era ancora nei primi del '900 né il sindacato né il partito, e incominciarono a porsi dentro questa nuova composizione sociale forme di mutualismo, di autorganizzazione, di università popolari per la socializzazione dei saperi ecc. Io credo che se si hanno le lenti per guardarli sono in atto gli stessi processi, ovviamente in forma completamente diversa. Le comunità che si formano su Internet oggi come oggi, se si parla con Formenti, sono le equivalenti di quelle che erano un tempo le università popolari in cui la maestrina dalla penna rossa insegnava ai contadini a leggere e a scrivere; ma questo fenomeno di aggregazione di grappoli comunitari dentro il linguaggio della rete in cui cerchi di autodeterminarti, che cosa è se non un luogo neutro in cui tu cominci a imparare a socializzare il sapere per navigare e per stare dentro a una composizione di questo genere? Altrettanto dicasi del problema che i lavoratori autonomi si pongono di nuove forme di mutualismo, di solidarietà, di rappresentazione attualmente embrionali, è molto più evidente quelle che sono l'azione di mercato delle assicurazioni, però questo problema è posto all'ordine del giorno e mi pare che sia un'altra grande questione. Quindi, io dico attenzione a tutte queste forme di autorganizzazione dei soggetti dal basso. Dunque, il problema dell'organizzazione lo risolvo in questo modo, in maniera molto spontanea tanto per capirsi, molto meno leninista, ma anche questo credo in sintonia (se vogliamo dire qualcosa della cultura degli anni '70) di quella cultura di radicalità che ha avuto una sciagura, io me ne rendo conto che si possa dire oggi: insomma, se il movimento degli anni '60 e '70 avesse continuato la sua sperimentazione originaria dentro la composizione sociale in divenire e mantenendo lo slogan "la fantasia al potere" avrebbe certamente prodotto molto di più del fatto che poi a un certo punto invece qualcuno gli ha detto che il problema vero era mettere il leninismo al primo posto, e lì ci hanno fottuto tutti. Credo che questo sia il bilancio conclusivo dell'esperienza. Quando noi abbiamo incontrato Lenin invece che i processi dell'autorganizzazione siamo diventati come tutti gli altri, una serie di partitini che si scannavano tra di loro in nome della purezza della linea, ne abbiamo visti di tutti i colori dal punto di vista dell'egemonia. Credo che questo si possa dire con il senno di poi, però questo è un bilancio forte, so che Revelli sta scrivendo quest'ultimo libro sul '900 in cui parla della maledizione del leninismo, questo è il quadro.
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