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INTERVISTA AD ALDO BONOMI - 17 OTTOBRE 2000


Mi ricordo ancora il primo incontro in cui De Rita sorridendo mi disse: "Va be', sei matto, mi sembra una cosa folle, io ho già provato a fare queste cose trent'anni fa quando facemmo gli operatori di comunità - stiamo parlando degli anni cinquanta, erano operatori che andavano nella comunità locale, si occupavano di sviluppo e di tutte queste cose - fu un fallimento; però, se ce la fai, prova, io ci sto a fare parte del comitato scientifico". Tanto è vero che mi ritrovai con questo progetto tecnici per lo sviluppo del territorio che aveva come comitato scientifico De Rita, Lombardini e Mottura, ecco un altro che ritorna dei Quaderni Rossi. Però, la componente dei Quaderni Rossi, era contaminata da che cosa? Dalla parte del discorso dell'agricoltura pugliese, del territorio, Napoli, dalla parte napoletana, non solo Fiat, cioè Mottura che è un'altra parte fondamentale. E questo "baraccone" con un progetto dell'Europa formò venti tecnici per lo sviluppo del territorio di cui c'è ancora memoria qua, ho ancora le ricerche, facemmo le ricerche su tutto il territorio delle comunità montane. Dal punto di vista teorico scopersi allora il meccanismo della ricerca-azione, quella che Alquati chiama la ricerca partecipata, nel senso che mi resi conto che una figura di questo genere, che era un mix tra un militante, un professionista, un generalista, perché poi era un militante di territorio, per applicare il meccanismo di ricerca doveva non più avere a che fare con il metodo quantitativo classico, i dati statistici, ma doveva incominciare ad occuparsi del posizionamento degli attori, gli attori sociali erano i nostri referenti, quindi ovviamente il problema era ricercare assieme agli attori sociali, sviluppare un meccanismo di empatia e coinvolgimento con gli attori sociali e da lì andare avanti. Quindi anche dal punto di vista teorico lì incominciai a ragionare sui processi della ricerca-azione che per me sono stati un processo in cui ho riportato assieme il metodo dell'inchiesta di fabbrica rivista rispetto al territorio e rispetto al problema del conflitto: l'inchiesta di fabbrica era solo orientata a cogliere la dimensione del conflitto, la ricerca-azione era più ambigua da questo punto di vista, nel senso che ovviamente accompagnava i soggetti all'inclusione, allo scambio, al conflitto, ma anche a tante cose, quindi abbassare il tasso di ideologia interpretativa da questo punto di vista fu assolutamente importante. Quello con De Rita fu per me il primo incontro con l'establishment della ricerca, del potere, però anche qua un establishment né pecchioliano né accademico, ma establishment che viene dalla cultura, di nuovo un mix tra cultura cattolica e comunitarista italiana. Alla fine di questa esperienza di ricerca e formazione tra venti allievi, questo comitato scientifico con tutti quanti noi assieme, nasce (siamo mi pare negli anni '83-84) il problema: "va be', abbiamo fatto tutto sto bel casino, adesso cosa facciamo?". L'AASTER nasce lì, sotto forma di associazione, nel senso che io, Berti, Magnaghi eccetera con un gruppo di nostri allievi che avevano fatto con noi l'esperienza decidemmo di formare in primo luogo un'associazione culturale, Associazione Agenti Sviluppo Territorio, e dopo di che di formare l'impresa. Apriti cielo! Formare l'impresa dentro la cultura della sinistra significa diventare chissà che cosa. Anche qui anticipando i tempi, nel senso che siamo negli anni '83-'84. Questa roba dell'anticipo dei tempi mi ha sempre portato dei problemi di invidia, da quello che so (è una cosa di cui non me ne curo) ci sono anche malelingue rispetto a questo, nel senso che quando tu sei un po' troppo avanti vai incontro a queste cose. Mi ricordo allora che tutti quanti dicevano "va be', questi li abbiamo persi", detto da dei compagnucci duri, puri e forti che poi magari oggi lavorano per Berlusconi, questo fa molto ridere, che oggi si sono venduti completamente e che però in quegli anni ti facevano un culo così perché dicevano "ah, ecco qua, traditori della classe operaia, hanno fatto l'impresa nell'84, sono venduti al capitale ecc.". Poi si è visto nel corso degli anni chi si è venduto e chi non si è venduto, però questo è un problema di cui ormai non mi occupo più; devo dire che sono cose che mi hanno fatto anche soffrire dal punto di vista personale, sempre partendo dal punto di vista della passione. Comunque, ci demmo la forma impresa, senza nessun problema, e la forma impresa del lavoro autonomo e del lavoro indipendente. Siamo nell'84, quando nessuno pensava a questa cosa qui, anticipando i tempi: si pensi a quante sono oggi le forme di autorganizzazione sociale rispetto a queste cose. Faccio solo un inciso: devo dire che questa mia esperienza fu quella che mi convinse di avere delle cosa da dire a un certo punto, negli ultimi anni di vita di Primo, quando questi (che lavorava all'AASTER, che stava dentro questo processo qua) mi convinse, siccome io avevo perlomeno intuito quello che stava avvenendo dentro i centri sociali, di porre questa famosa questione, "centro sociale: impresa o ghetto?".

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