Prima hai parlato del gruppo dei fenomenologi, gli allievi di Paci, ossia Guido Neri e gli altri: secondo te qual è stata la loro importanza nel successivo sviluppo delle varie esperienze politiche non solo a Milano ma in generale?
L'importanza del gruppo di assistenti, di studenti, di studiosi che faceva riferimento a Paci era in questa presa di distanza dalla cultura esistente, e consisteva in una radicale critica della ragione. La fenomenologia nei suoi aspetti migliori, per me, è stata questo, la messa fra parentesi di tutte le ideologie esistenti, cioè la capacità di lasciarle lì, in sospeso per cominciare a connettersi con il presente. È stato il lavoro sulle "Ricerche Logiche", con la critica allo psicologismo e allo storicismo sovrapposti come gusci alle cose stesse (temi che poi ritroverò in Walter Benjamin...) È stato un pensare per concetti liberi da incrostazioni. È stata un nucleo di grandi concetti quali l'"intenzionalità", il "mondo della vita", la "soggettività costituente"... In quel momento ebbero un'importanza cruciale perché permettevano di connettersi con il mondo della presenza senza dover dipendere da categorie e forme ideologiche preesistenti. Si trattò, allora, di un lavoro filosofico di vera e propria scoperta del presente, e in questo senso di un atteggiamento che ci ha permesso, anche, di prender distanza da molta ideologia dei marxismi del tempo. Nella costellazione fenomenologica europea, oltre ad Husserl i riferimenti più importanti saranno poi Sartre e Merleau-Ponty, ma anche dei fenomenologi marxisti come Tran-Duc-Thao, o Karel Kosik, studiati questi ultimi in particolare da Guido Neri. Un argomento a sé, drammatico, sarà invece Heidegger. Questi, in poche parole, i circuiti che Paci con il suo insegnamento e i suoi scritti aveva agglutinato attorno a sé e sollecitato.
Quali erano secondo te le differenze tra la realtà milanese e quella torinese?
A Torino ho fatto tutta l'esperienza del '69, sono venuto su all'inizio dell'anno, in marzo se non mi sbaglio. Nella primavera del '69 erano partite le lotte operaie alla Fiat, e lì ci sto praticamente dalla primavera fino all'autunno, venendo poco a Milano. Sto a Torino tutto il grande periodo, quando c'è l'assemblea operaia delle Molinette alla fine di ogni turno e soprattutto l'assemblea notturna, quella che si teneva da mezzanotte in avanti. Milano e Torino erano due realtà di una intensità e di una forza immense. Prima di andare a Torino (ma poi anche dopo, quando ci torno) avevamo partecipato a Milano a tutte le grandi lotte della Pirelli, della Farmitalia, dell'Alfa. Erano lotte molto politicizzate, soprattutto alla Pirelli e all'Alfa, con dei comitati e con dei gruppi di avanguardie operaie, che lavoravano con noi dei gruppi esterni. Alcuni di questi poi partiranno con Mori e altri a fare anche dei gruppi duri, che poi saranno alla base della nascita delle Brigate Rosse. Noi, a quel tempo lavoravamo con loro in un contatto diretto, in realtà di fabbrica con momenti forti. Torino invece era più grande, cioè la fabbrica in quanto tale era l'universo Fiat, forse meno dura ma più potente, perché c'era questo afflato grande di decine e decine di migliaia di persone che lavoravano assieme tutto il tempo della e nella città-fabbrica. Torino inoltre ha sempre avuto una certa potenza emblematica di dare parole d'ordine e di scatenare eventi il cui significato va ben oltre la città per investire l'intero paese. Gli scontri di Piazza Statuto del luglio 1962 durati tre giorni, il 7, 8 e 9, ne sono l'espressione più alta. Qui, fa la sua prima apparizione politica la figura dell'operaio dequalificato ad alta produttività che si ribella a questo suo destino di pura forza-lavoro e alle condizioni di vita urbane a cui era sottoposto in quanto abitante, lui e i suoi, in periferie squallide. Sette anni prima dell'autunno caldo, a Piazza Statuto lo scontro di fabbrica viene portato fuori, sul suolo urbano, e qui vengono lanciati modi e tempi di quel movimento di autonomia operaia che culminerà a Corso Traiano nel luglio del 1969. Anche Milano avrà con certe lotte alla Pirelli e all'Alfa dei cortei che investono la città, la occupano, la paralizzano, si fanno sentire; però Torino aveva un senso di esemplarità, di emblematicità, di soffio profondo.
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