Di questa esperienza, degli infiniti incontri e scambi, dei tanti volantini scritti, degli interventi alle porte, soprattutto alla porta due di Mirafiori, di tutto questo mi preme sottolineare quell'evento appassionante di creatività che è stata l'Assemblea delle Molinette, che si teneva ogni notte, con gli operai che uscivano dai turni e noi dei gruppi esterni. Ricordo quell'assemblea come il luogo di una pratica politica, quella dei comitati operai, come la costituente delle soggettivazione dell'autonomia, come un'esperienza assoluta di democrazia diretta creativa di teoria, come una realtà in fusione e un processo continuo di uscita dalle forme istituzionali date. Che cosa c'è di più importante di un sapere legato a un'esperienza che ti cambia perché ti mette in gioco, perché ne va di tutto ciò che ti esiste intorno come valore consolidato? In quel periodo faccio l'esperienza in diretta di ciò che è l'estraneità e il rifiuto. L'estraneità alla fabbrica, a quel lavoro lì di fabbrica in cui ti vengono sottratti segmenti di vita come frammenti di valore, per il valore; estraneità alla città, a quella città lì delle periferie-dormitorio e a quella società che le contiene; estraneità alla mediazione e a alla rappresentanza politica e quindi allo Stato. Un'insurrezione di sovranità nel centro della produzione, nel luogo stesso della sua produzione. Lì abbiamo vissuto e pensato che il divenir rivoluzionario era fare, interpretare, capire, agire queste cose, perché i movimenti di classe dentro la fabbrica avevano un'importanza che andava oltre ad essa, perché irrompevano sul di fuori, sulle forme della società, sulle forme del pensare, del consumare, del produrre, del vivere il proprio tempo, le proprie passioni. In questo senso parlo di un divenir rivoluzionario, non solo di una modificazione persistendo nel proprio stato, ma di un divenir altro nel modo di vivere. Anche se tutto questo non è sfociato in una rivoluzione delle forme politiche o delle forme statali. Sono convinto però che in quegli anni noi abbiamo praticato e vissuto in diretta questo divenire rivoluzionario come appropriazione e apertura del presente, ed è stata la cosa più bella, più forte, più pazzesca di quegli anni. Dopo le cose non sono più state le stesse dentro il modo di lavorare, ma anche nei rapporti. Però noi, allora, pensavamo che fosse un inizio e invece adesso, guardando con occhi sgombri da illusione e poi considerando bene anche le forme nuove del produrre, del fare, delle forze in gioco, si può dire oggi che quella è stata la chiusura di una storia, ma solo perché se ne aprisse un'altra, in cui si dessero altri divenire. È stata la chiusura di un periodo, dopo si sono cambiate le composizioni delle classi, si sono cambiati i modi del produrre con l'uscita dal fordismo e l'entrata nell'universo delle macchine informatiche, i modi del pensare e si sono espressi anche in tutta la loro negatività i blocchi storici del socialismo realizzato, che implodono dentro le loro forme congelate. Coloro che si affermano come forme realizzate finiscono col pensare e con l'agire come dei simulacri, come delle cose che oramai sono morte dentro la propria forma. Il grande ciclo lo vedo partire fine anni '50 inizio '60. Lì c'è l'apparizione di Classe Operaia e Quaderni Rossi, poi gli eventi dei due anni cruciali di classe e di società del '68 e del '69, poi tutti gli anni '70 attorno alla Fiat, attorno alle grandi fabbriche e nelle città. Lì i tentativi di organizzazione politica (l'idea di partito) dell'opposizione di sinistra e la presenza di Potere Operaio e di Lotta Continua; ma anche l'emergere di tutte le nuove soggettività: le donne, con le problematiche della differenza sessuale; generazionali, con i giovani operai e con gli studenti, e poi gli indiani metropolitani, e poi i disoccupati, e poi i centri sociali; produttive, con il lavoro autonomo... Bologna nel '77 sarà uno dei momenti di fioritura e di apertura di queste soggettivazioni, ma sarà anche il luogo in cui una parte dei gruppi e o dei movimenti tenteranno l'opzione armata, una scelta già perdente. Con l'inizio degli anni '80 la grande parabola dell'operaismo declina, diventerà un'altra storia, con altri divenire.
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