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INTERVISTA A GIAIRO DAGHINI - 1 AGOSTO 2000


Allora, io vedo apparire il discorso di classe a Seattle, quando migliaia di persone si riuniscono contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio perché non vogliono che quei rapporti di commercio vengano firmati e che colpiscano via via una serie di realtà produttive e di classe nei paesi; vedo emergere situazioni di classe nei comportamenti delle donne; vedo emergere situazioni di classe nelle lotte per la salute per esempio chi ha le medicine e chi non le ha; e ancora in tutte le operazioni che fa Greenpeace oggi, nei blocchi di resistenza, di minoranza, e all'infinito in tutte queste cose. Qui, nella figura, nella idea di una minoranza che resiste, che si oppone, in tutte le sue singolarità diverse del mondo contemporaneo, vedo emergere il tema della classe. Quindi, più che una universalità è una proliferazione infinita di singolarità di comportamenti di minoranza che sono comportamenti di rivolta, di resistenza, di opposizione: che sono comportamenti di classe.
In questo senso vedo la complessità della cosa. Una situazione di questo tipo ci obbliga a lavorare molto alla Foucault sulle genealogie: come emergono tutte queste situazioni di resistenza, di rivolta e di opposizione? Qual è la loro genealogia? Qual è la genealogia oggi di comportamenti di classe nelle loro infinite singolarità? Oppure, se pensiamo ancora a riferimenti deleuziani, quali sono i territori di una classe oggi? Come una classe oggi si territorializza, si forma in tutti questi eventi? Gli infiniti territori o le infinite territorializzazioni del comportamento di classe sono le infinite territorializzazioni dei comportamenti di resistenza, di opposizione e di rivolta. In questo senso vedo apparire, vivere nei comportamenti di tutte le minoranze il tema della classe. Una minoranza non è tanto una questione numerica, non è che per minoranza si intenda necessariamente pochi. Minoranza è un comportamento, un divenire che fuoriesce dalle condizioni date della propria storia che sono insopportabili. Per esempio il comportamento della gente che sta nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, ma che non hanno sviluppo, sono tantissimi e formano una minoranza rispetto ai valori della cultura bianca, adulta, urbana realizzata nel nostro tempo. Quindi, minoranza vuol dire resistenza; si dà il caso anche che in molte situazioni le minoranze siano poche rispetto ai tanti della moltitudine di maggioranza, si danno tutti i casi.
Quanto all'altra questione, sulle forme nuove del capitalismo io sono assolutamente interessato a tutto il lavoro molto critico e molto forte che fanno (come si dice per andare un po' svelti) i postfordisti e tutti quelli che oggi lavorano sull'innovazione nel tempo contemporaneo (al tempo di Potere Operaio, sul tema dell'innovazione e del valore del lavoro avevo avuto degli incontri bellissimi con Ferruccio Gambino). La costruzione di un mondo e di un universo della globalizzazione è innanzitutto la costruzione di un universo immateriale della comunicazione che permette di localizzare all'infinito sul territorio unità produttive, unità di scambio, logistiche di trasferimento. C'è questa connessione nuova e importantissima tra un universo immateriale della globalizzazione informatico-elettronica che permette di controllare, di fare agire, di impiantare in un'infinità di località tutto quanto serve alla realizzazione di questo mondo molto ampliato. Oggi si dice che l'immaterialità ha tolto sostanza alle cose, permette di essere dappertutto: no, l'immaterialità permette di piazzarsi dappertutto, permette di controllare tutti i luoghi materiali del mondo, permette di connetterli e di farli agire in un altro modo rispetto ai modi antichi. L'immaterialità ha richiesto una logistica nuova, un movimento di connessione, di trasporti e di distribuzione di cose che è diverso dal mondo di prima, e che è possibile appunto con questo mondo della globalizzazione, della immaterializzazione della comunicazione. Tutto questo si accompagna inoltre non solo a dei modi di produzione, ma ai modi con cui noi oggi viviamo. C'è il superamento della forma-città come forma compatta, chiusa, che si differenziava rispetto alla campagna. Prima c'era la città, la campagna, l'opposizione città-campagna. Oggi non possiamo dire che la città è scomparsa, possiamo invece dire il contrario, che noi viviamo dappertutto grumi urbani dissolti e fusi nel territorio. E oggi la territorializzazione dell'urbano corrisponde ad una decentralizzazione e territorializzazione del produttivo. Il trovarsi in tutti i luoghi del mondo luoghi di abitazione, di produzione, di azione che sono connessi da una globalizzazione immateriale della comunicazione, è un modo nuovo di esistere e di vivere, nel bene e nel male: nel bene perché è una possibilità di un'utilizzazione e di un'espansione sul territorio con molta più libertà; nel male perché tutto questo sovente (penso alle scelte di produzione e così via) è distruttiva rispetto a delle possibilità di società, di vita, di culture, anche di sviluppo decente di luoghi, in quanto è legato unicamente a logiche di mercato, di consumo, di redditività e sicuramente non a idee di società. Ma questa realtà contiene anche un universo di maggiori possibilità, solo che questo significa che non bisogna (come dicono i compagni d'assalto di Greenpeace) perdonargliene neanche una a chi prende d'assalto e distrugge la singolarità degli infiniti territori del mondo della vita. E' questo snodo qui oggi che è al centro del discorso: devono essere ripensati i modi di vita attuali, un rapporto nuovo tra natura e artificio, e il diritto a un modo di vita per tutti nel mondo e non solo per quei quattro stronzi che vivono nei paesi industrializzati ai quali apparteniamo...

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