Sempre mantenendo questo carattere di traccia da approfondire in seguito, rispetto alla soggettività politica quali sono stati secondo te le ricchezze e i limiti (o almeno alcuni di essi) che si sono espressi in quel ciclo che hai individuato tra la metà degli anni '60 e il finire degli anni '70?
La cosa bella è stata quella di lavorare fuori dalle forme, da tutte le forme date, e cercare di cogliere tutto il lavoro di opposizione, di rivolta, di resistenza, in un certo senso tutto il lavoro minoritario rispetto ai valori egemonici del proprio tempo. Questa è stata la cosa più bella ed è quello che si vede fin dall'inizio nella proliferazione dei gruppi politici, dei centri operai e non subito dei partiti. I gruppi di uomini e donne che nelle diverse fabbriche, nelle diverse città, nelle diverse regioni e culture del paese esprimono o fanno esprimere fino in fondo, in modo radicale delle singolarità di lavoro, di opposizione, di invenzione, di alterità da quello che esiste. Poi in un'altra fase c'è la questione dei gruppi che vanno oltre il loro essere locali (i toscani, i pisani, i padovani, i milanesi e così via) e cominciano a pensare in termini di movimento nazionale e poi in forma di partito, di neo-partito… C'era l'ambizione giusta di voler mettere assieme la singolarità delle esperienze che venivano fatte nelle fabbriche, nelle città, in luoghi e in regioni diverse, per connetterle, farle diventare un grande flusso, dar loro quella potenza immensa delle connessioni di forze politiche che possono sfociare in movimenti di programma e di organizzazione e che sono qualcosa di più dei singoli gruppi. Anche questa fase costituente, che si appoggia e si ispira alle lotte operaie e sociali in corso e che è instaurativa di tutti questi divenire nel mondo, è un altro aspetto molto importante, che permette di collegare i gruppi di Padova con i torinesi e questi con i pisani, i calabresi con i romani e questi con i milanesi a Torino, e con i campani e con i siciliani…. e che mette in giro per l'Italia tanti nomadi politici, tante energie che si connettono e che si fluidificano. Il che poi è l'espressione a livello nazionale dei grandi movimenti e dei grandi flussi dentro la fabbrica, da reparto a reparto, da unità di produzione a unità di produzione, questa unificazione sovversiva di tutte le esclusioni, di tutte le divisioni. E poi c'è la questione di quei movimenti che mirano a diventare partito per la questione del potere, del prendere il potere. C'è una fase preparatoria, all'inizio degli anni '70, in cui prende forma l'idea di partito come necessità di dare una struttura organizzativa ai processi delle autonomie di fabbrica e di società che si erano venute formando nel '68-'69. Il passaggio dal La Classe a Potere Operaio si fa su questo. Nel primo numero, accanto alla pianta della città-fabbrica-Mirafiori e al testo sullo scontro politico che racconta le fantastiche invenzioni di circuiti-flussi-tempi-obiettivi delle lotte operaie, l'editoriale pone l'obiettivo di dar forma d'organizzazione a tutto quel movimento deciso e diretto dai Comitati, affinché possa durare nel tempo, affinché possa diventare una effettiva direzione operaia del ciclo e sappia connettere le avanguardie di classe alle lotte di popolo. E già si parla di stabilire connessioni di lavoro politico al Sud. Altri lavorano su direzioni diverse, ma il centro della questione resta quello di dare forme organizzate a questa miriade di singolarità molecolari delle autonomie. Dentro Potere Operaio, dopo aver teorizzato l'importante figura dell'operaio sociale, cioè la sussunzione di tutte le figure del lavoro dentro la struttura del salario, Toni Negri lavora e fa lavorare alla costruzione della forma-partito, a un partito neo-leninista con quest'idea della presa del potere. La teorizzazione di Toni sulle necessità dell'organizzazione, di una neo-organizzazione, era certamente fondata, e con lui a Potere Operaio l'abbiamo portata avanti per un certo tempo, fino al suo fallimento quando l'organizzazione con un salto avventuroso si scioglie nel mare tempestoso di Autonomia organizzata. Quando Negri propone la forma-partito ha ragione, ma poi a un certo punto non più, perché il movimento reale era diventato più ampio e più ricco della sua idea di organizzazione. Dunque, lì le cose diventano molto complesse: perché? Perché tutte queste innovazioni che come gruppi, anche unificati a livello nazionale, avevamo portato, e tutto il divenire delle cose che questi eventi portavano in sé, in un certo senso rischiano di essere congelati, imprigionati dentro forme partitiche che sono le stesse di quelle che avevamo criticato.
In un certo senso, e qui mi riconnetto a quello che dicevo prima, quando pensiamo di diventare partito, di nuovo come gli altri partiti ma più forte, diverso, che persegue un'altra politica, che vuole fare la rivoluzione, lavoriamo su un'ipostasi, sull'ipotesi che questi operai, che questa classe operaia sia ancora il soggetto rivoluzionario del nostro tempo, e non ci accorgiamo che invece, in realtà, si sta trasformando, si sta trasmutando in una miriade di soggettività, di divenire rivoluzionari (i giovani, la differenza sessuale, le donne, le diverse forme di lavoro) che non sono più riducibili in qualche modo dentro una forma-partito. E tuttavia quando pensiamo alla forma-partito pensiamo ancora alla forma-partito in cui il soggetto operaio è rivoluzionante a nome di tutti.
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