Oggi potremmo avere la stessa situazione di inclusione, però, elementi ideologici ed elementi di sconfitta profonda che ha subito il movimento operaio nella fase precedente fanno in modo che questa grande occasione inclusiva sia persa. Queste due facce potremmo etichettarle con grossonalità, però secondo me abbastanza realistica, come l'adesione a Forza Italia e alla Lega; questa è l'elaborazione simbolica della propria condizione, l'immagine di sé difensiva costruita da tali figure di lavoratori comunque sconfitti, che hanno incontrato queste offerte politiche. Non voglio entrare nella costruzione di un mondo immaginario attraverso la televisione in quanto, secondo me, non si considerano gli altri elementi. Anch'io vedo la tv di Berlusconi, però a me non fa nessun effetto, mica perché ho studiato, ma in quanto ragiono politicamente; a tanti altri non fa lo stesso effetto, perché hanno degli anticorpi. Quindi, la costruzione di un mondo immaginario attraverso la proposta, in fondo, del mondo come uno spettacolo con le ballerine può affermarsi solo perché si è smantellata la forza dove tu radichi i tuoi valori in una pratica di potere: quando hai perso questo orizzonte, allora chiunque ti può raccontare la sua favola, ma deve esserci prima quella perdita di controllo e di potere sulla propria esperienza. Ad esempio, qui a Milano trovi il venditore di collanine, la mendicante, quello con i cani, quello con il bambino (che in genere, per fortuna, sono molto belli e ben tenuti) e c'è sicuramente, da parte di molte persone, un doppio processo. Nella migliore delle ipotesi (che io vorrei sperare qualche volta esistesse) c'è un residuo di partecipazione umana, il senso che tanto non puoi fare niente dandogli mille lire: io dico che non servirà però gliele do, perché le ho e mi sembra anche un dovere darle, però so benissimo che non cambia niente. Invece, ci può essere una reazione del tipo: "Non te le do perché la tua vista mi ricorda la mia impotenza a cambiare la tua vita"; questo nella migliore delle ipotesi, mentre nella peggiore c'è un'incapacità di figurarsi la sofferenza degli altri. Un caro amico che è anche un bravissimo storico, David Bidussa, ha scritto che a Varsavia, durante l'occupazione, vicino al ghetto dove i bambini morivano di fame abbandonati nelle strade, non c'era cibo, la gente moriva di epidemia a decine al giorno, sorgeva una giostra per bambini. I cittadini di Varsavia non sentivano la sofferenza dei loro concittadini Ebrei come loro: non se la immaginavano. E questa incapacità (che è poi anche una delle peggiori forme di stupidità) è una componente essenziale del razzismo. Ma se, invece, ci spostiamo nelle zone produttive industriali, gli extracomunitari è gente che lavora e fatica come i bergamaschi, i comaschi e i varesotti, che ha riempito i buchi della siderurgia locale, che spesso, siccome è più scolarizzata, il padroncino li cerca, in quanto ha una capacità di imparare mestieri nuovi che a volte il ragazzo delle valli non scolarizzato non ha, poiché trova facilmente lavoro. Eppure, c'è un residuo quasi pavloviano di insofferenza che poi si sedimenta nel voto, e tutto questo ci pone un problema secondo me enorme. Credo che comunque una maggiore immersione della sinistra nelle miserie sociali della propria base e una maggiore radicalità nel contrastarle (e la xenofobia è una miseria sociale) potrebbe far molto a lungo termine. Ma per superare questo handicap, il rimprovero alla sinistra liberale di essere sinistra liberale non serve a niente: certo, lei vuole esserlo. Però, non è che quando abbiamo detto quanto D'Alema è ottuso e quanto Veltroni è scemo abbiamo fatto un passo in più. D'altra parte, ancora oggi dentro al voto ai DS, e persino a non pochi organizzati tra i DS, sta un'idea quanto meno di resistenza civile alla barbarie che non ci si può permettere di non utilizzare, perché non sono chiari di luna in cui si ha del lusso, si va per la strada e si trovano soggettività straordinarie. Poi c'è il mondo dei centri sociali. Secondo me, è un mondo davvero non unitario, in cui, quando mi capita di incontrarli (e mi capita), io trovo in fondo un po', con altre categorie linguistiche, le stesse divisioni che c'erano nei movimenti degli anni '60 e '70: da un lato l'esaltazione della fuga, in fondo il postmoderno, e dall'altra una tenacia nel radicamento. Quindi, quello è certamente un patrimonio, però non li vedo come un pezzo, io detesto poi l'espressione "pezzi di", cioè un po' di centri sociali, un po' di volontariato, un po' di donne (che poi non si capisce perché non dovrebbero essere distribuite in tutto ciò), emulsioniamo e abbiamo qualcosa. Non è così, nei centri sociali secondo me c'è una battaglia politica molto importante, ma che è politica a pieno titolo, non è un mondo da aggregare insieme ad altri.
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