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INTERVISTA A MARIA GRAZIA MERIGGI - 21 APRILE 2000


Ho cominciato a lavorare in un consultorio con un gruppo di donne, molte delle quali erano comuniste del PCI: per me lavorare con le donne, sinceramente, ha rappresentato un ripiegamento. Ero nel frattempo borsista Cnr, quindi cominciavo l'avvicinamento all'università, ero iscritta alla CGIL. Ho vissuto due battaglie, a questo punto molto più appartata politicamente. Ho vissuto come molto importante il movimento di Solidarnosc, sbagliando, ma mi sembrava un movimento operaio spontaneo, con gli stessi aspetti aurorali che aveva il movimento operaio italiano negli anni '80 dell'800. In quegli anni ho scritto il libro sul Partito Operaio Italiano, cioè sulla fondazione del movimento operaio lombardo negli anni '80: mi sembrava che Solidarnosc incarnasse questo nesso diretto tra composizione di classe e orgoglio etico della propria dignità. Poi ci siamo resi conto che non era così, o per meglio dire: c'era anche questo, ma dentro c'era anche la madonna pellegrina, la subalternità alla subcultura del cattolicesimo polacco ,così peculiare. Ma allora a molti compagni gli operai polacchi sembravano incarnare la contestazione dell¹ideologia organicistica del socialismo reale. Il Manifesto fece un titolo che ho a lungo avuto dietro la mia scrivania, ed era un titolo elaborato da Pintor: "Dunque un Dio c'è che non è fallito, è l'operaio che da l'assalto al cielo".
Nell'85 poi ho partecipato con entusiasmo alla campagna per la difesa del punto unico di contingenza una cosa molto importante, anche se certamente lanciata dal PCI per una scelta politicista, contro la pressione fortissima dell' "espansionismo" e annessionismo socialista. Ciò però non mi sembrava importante, imi sembrava molto più importante il contenuto di quella mobilitazione che rappresentava l'ultima trincea di una priorità dei bisogni della vita quotidiana operaia, di un'autorevolezza della rivendicazione operaia sulla società, cioè una capacità, che la classe operaia aveva sino ad allora avuto, di unificare un blocco sociale. Quella sconfitta è stata proprio il segno che questa operazione non riusciva più, perché erano cominciate le grandi ristrutturazioni, erano state sconfitte le lotte sull'organizzazione del lavoro e, quindi, effettivamente cominciava un ritiro degli operai sulla difensiva. Adesso, parlando con dei compagni della Camera del Lavoro di Brescia, essi dicono che trattano ancora per milioni e milioni di redistribuzione salariale, ma ormai non hanno il minimo potere sull'organizzazione del lavoro, sull'amministrazione del tempo. Questo è poi stato il primo passo verso la scomposizione dei rapporti contrattuali, per cui oggi non solo nelle imprese di servizi del terziario avanzato ma, ad esempio, in una fabbrica di divani o di scarpe sportive c'è lo stesso lavoro fatto con quattro regimi contrattuali diversi: pochissimo è fatto da regimi contrattuali stabili, gli altri sono contratto di formazione, partita Iva, rapporto professionale di collaborazione con trattenuta, insomma molti lavoratori hanno contratti che potrebbero far pensare a un lavoro qualificato e invece è solo lo stesso di prima, ma precario. Questo spiega l'assoluta mancanza di tenuta di una capacità del discorso anche conflittuale di uscire dalla propria particolarità e di diventare sguardo sul mondo. Devo dire che, mentre altre cose della vita politica e privata mia viste a posteriori le ho relativizzate, l'importanza dell'85 continua a sembrarmi cruciale. In seguito certo abbiamo perso molto di più, però quella era una battaglia importante. Infatti, allora, tutto sommato la si è persa, ma con il 53% contro il 47%, naturalmente adesso non avremmo più neanche i numeri per contare; allora era comunque una bella battaglia.
Un'altra cosa. Per quanto riguarda gli incontri culturali per me importanti, il mio maestro come storica è stato Stefano Merli, con cui ho collaborato anche nella sua bella rivista, Classe. Questi era un socialista, che però inizialmente era partito da un discorso sulla spontaneità operaia, ha aderito quanto meno all'esperienza teorica che stava dietro ai Quaderni Rossi, anche se lui non vi faceva parte. Da giovane studente Stefano aveva fatto parte del gruppo ormai leggendario di Movimento operaio, la rivista che ha fondato la nostra disciplina. Era molto interessato al lavoro sulla spontaneità e, in fondo, mi ha insegnato a ricercare, con strumenti metodologici molto raffinati, questa spontaneità anche nella storia del '700-'800. Quando l'esperienza di nuova sinistra, a cui Stefano aveva aderito con molto entusiasmo, ha avuto la crisi che abbiamo prima definito, lui è tornato nell'alveo socialista, facendo emergere una visione unilaterale del PCI come polizia del movimento operaio, cosa che gli impediva di vedere la ricchezza organizzativa e la soggettività umana e politica che stava cristallizzata dentro questo orizzonte. Anzi, è arrivato a elaborare un'idea, anche se lui non l'ha mai scritto a dire il vero, quindi forse è scorretto che io lo dica, però stiamo proprio parlando delle nostre vite.

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