Per esempio una volta capitò che lui era andato con il bambino piccolo alle giostrine, io ero andata con il ragazzo grande alla manifestazione, sono tornata a casa per fare da mangiare (perché io ho sempre amato svolgere il mio ruolo femminile fino in fondo) e gli ho detto: "Vedi, non è successo niente"; poi accendiamo la televisione e sentiamo che era stato ucciso l'agente Custrà. Questo perché la manifestazione era lunga e anche questo non si ricorda: la situazione era talmente fluida che se tu stavi a chilometri di distanza non ti rendevi conto di quello che succedeva fino in fondo. Allora, in quella situazione in cui si girava, si andava e si veniva da tutte le parti, io assistetti ad una scena di questo tipo: era stata appena uccisa Giorgiana Masi, in un collettivo di un quartiere di Milano arrivò un giovane operaio, forse della Face Standard o comunque di una fabbrica di medie dimensioni, che disse: "Io volevo andare assolutamente alla manifestazione per i funerali di Giorgiana e, siccome nessuno mi veniva dietro, io mi sono messo in malattia e sono andato". Va benissimo, però lui lo diceva come una cosa che valeva come aver fatto scioperare i suoi compagni; io pensavo allora: "Ma come, cosa vuol dire? Se tu ti metti in malattia, che poi vada ai funerali di Giorgiana o che vada a fare un incontro d'amore con la tua fidanzata, ha la stessa uguale rilevanza politica: la tua sconfitta, eventualmente, è non essere riuscito a farli scioperare. Dopo di che, quando ti metti in malattia, va benissimo, ti riprendi il tuo tempo, ma non vedo il rilievo". Di questo tipo di figura operaia giovanile certamente ce n'erano molte nel '77; può darsi che io sia afflitta da un moralismo ortodosso e vetero, anzi, mettiamocelo sicuramente perché è così, però ognuno ha la sua storia politica e anche umana. Quindi, in quel contesto io ci ho pensato un anno, nel '78 a lungo ho meditato, sono andata a delle riunioni sempre con Aut Aut a Venezia con Cacciari, con Tronti. Per me "Operai e capitale" è un libro che dire importante è poco, inizialmente per me era come se si fosse scritto da solo, lo leggevo come un punto di vista collettivo; c'è voluto molto tempo perché potessi discutere con Mario Tronti (che è una persona modestissima e dolce) da pari a pari (o quasi).
Nel corso del '78 io ho meditato una riconversione totale dei miei studi, perché mi erano apparse due cose. Una è la densità e il peso della sociologia sulla dinamica di classe, cioè il peso della storia, degli eventi singoli, delle determinazioni secondarie, che però poi si rivelano quelle che fanno fare alla storia una svolta o un'altra. Se dobbiamo distinguere la determinante in ultima istanza dalle contraddizioni secondarie, mi era sembrato che le storie personali, politiche e organizzative finivano poi per spiegare i comportamenti, anche se certamente le grandi svolte non erano leggibili al di fuori della composizione di classe, io di questo ne resto tuttora convinta; ma poi, per spiegare come le cose vanno, si deve tenere conto di quelle altre opacità, del peso della storia, dentro a cui ci sono le scelte economiche, quelle politiche, gli stati, i partiti, le affiliazioni religiose, quello che fa diversi e non quello che fa uguali gli uni dagli altri gli operai, i borghesi, i piccoli-borghesi. Questo voleva dire passare dallo studiare il marxismo allo studiare la storia. Io avevo sempre fatto moltissime letture di storia del movimento operaio e del comunismo, a quel punto si trattava di cominciare invece a conoscere la storia totale. Ho quindi vinto una borsa del Cnr per un dottorato a Parigi e ho fatto degli studi di un primo dottorato, poi ho conseguito quello di Stato: qui ho imparato molte cose, ma in fondo ho soprattutto organizzato il mio pensiero, ho abitato a Parigi un anno, con dei grandi week-end con il mio ex marito che non l'ha mai vista come allora, ci siamo quindi anche divertiti. Quando sono tornata, nel frattempo era successo il 7 aprile, che, devo dire, io non ho vissuto come una cosa che mi toccasse così profondamente, forse perché ero stata in parte distante. Quello che mi ha sconvolto sono stati i licenziamenti degli operai della Fiat alla fine del '79, sono andata a Torino alle manifestazioni e tutto quanto. Lì ho visto che cominciava qualcosa di terribile, di quello ero certa, me ne sono accorta subito. Detta sinteticamente, il '77 aveva rivelato la difficoltà, per non dire l'impossibilità, in quella fase, di organizzazioni di nuova sinistra di incidere nel corpo degli operai comunisti e di spostarli sulle nostre posizioni. Non credevo allo scontro tra nuova e vecchia classe operaia, cioè, credevo che esistesse, ma che fosse letale per entrambe, che questo avrebbe letteralmente criminalizzato il movimento dei cosiddetti non garantiti e che avrebbe poi di fatto isolato, come poi è avvenuto, il corpo organizzato della classe operaia, isolandolo dal suo consenso. Era dunque una sconfitta gravissima di fase, e allora non si poteva pensare quello che sarebbe successo dopo, ed è stato meglio che non l'abbiamo previsto
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